Il voltafaccia di Abu Mazen sul rapporto Goldstone

Palestinesi sempre pronti a sacrificare la pace per qualche punto nella guerra della propaganda

di Barry Rubin

image_2647L’Autorità Palestinese deve essere il principale avvocato che preme perché venga accettato il stravagante rapporto Goldstone per demonizzare Israele alle Nazioni Unite oppure farebbe meglio a starsene ai margini aspettando che un paio di dozzine di paesi a maggioranza araba e islamica lo facciano al posto suo? Si tratta – o dovrebbe trattarsi – di una questione del tutto secondaria, e invece si è gonfiata fino a sbattere di nuovo in faccia a tutti quello che è il vero ostacolo a una soluzione del conflitto arabo-israeliano.
Quando il governo americano ha chiesto all’Autorità Palestinese di non mettersi alla testa della campagna per chiedere che alle Nazioni Unite di sanzionare Israele, la dirigenza palestinese ha acconsentito alla richiesta, per poche ore. Poi però, incapace di resistere alla tentazione di sbandierare il suo estremismo e il suo ostruzionismo, ha ben presto tradito l’impegno preso con gli Stati Uniti: una mossa che ha ulteriormente sabotato i tentativi del presidente Barack Obama di far avanzare il processo di pace, vale a dire – a quanto pare – la prima delle sue priorità internazionali. Ancora una volta la dirigenza palestinese si è tirata la zappa sui piedi: sta gettando via una reale occasione per arrivare a uno stato; sta sabotando i suoi rapporti con i suoi protettori occidentali.
Come spiegare questa apparente testardaggine, che un tempo l’allora ministro degli esteri israeliano Abba Eban definì “l’arte di non perdere mai l’occasione di perdere un’occasione”? La risposta è abbastanza semplice: quando si arriva al punto di dover scegliere tra continuare il conflitto, puntando a una vittoria totale che spazzi via Israele dalla carta geografica, oppure fare la pace e ottenere uno stato, la dirigenza palestinese opta sempre per la prima opzione. E quando si tratta di scegliere fra essere un tantino più moderati, guadagnandosi il sostegno occidentale, oppure essere demagogicamente estremisti allettando le forze più estremiste, la dirigenza palestinese sceglie sempre questa seconda opzione.
L’Autorità Palestinese controllata da Fatah non vuole la pace con Israele; preferisce la pace con Hamas, il suo rivale che non solo uccide e tortura quelli di Fatah ma – per colmo di ironia – è anche il maggiore beneficiario del rapporto Goldstone.
Gli eterni illusi facciano attenzione: la realtà bussa di nuovo alla porta. L’amministrazione Obama sta cercando di fare la pace e vuole la cooperazione dell’Autorità Palestinese. Se adesso le Nazioni Unite andranno fuori di testa e condanneranno Israele come un malvagio e illegittimo criminale di guerra – sulla base nientemeno che della propaganda di Hamas, che in sostanza è ciò che la commissione Goldstone veicola – questo certamente non aiuterà la causa della pace e farà anzi naufragare la politica degli Stati Uniti. Israele rifiuterà di fare ulteriori concessioni; gli stati arabi troveranno un’ulteriore giustificazione per non fare la pace e chiederanno al mondo di punire Israele con sanzioni o addirittura la sua estinzione.
L’amministrazione Obama ha sostanzialmente detto all’Autorità Palestinese: “Guardate, noi vi stiamo dando un sacco di soldi e di appoggio diplomatico sulla base del presupposto che voi vogliate arrivare alla pace. Nessun presidente americano nella storia è mai stato con voi più comprensivo e indulgente. Perciò state fuori da questa faccenda per alcuni giorni, fateci questo piccolo favore”.
Ma anche questo era troppo per l’Autorità Palestinese, che si è trovata ad affrontare rabbiose proteste e condanne sul fronte interno per aver osato fare questa minima concessione tattica priva di implicazioni pratiche. Se l’Autorità Palestinese non può esimersi neanche da questo tipo di condotta a causa del dissidio interno e della pressione popolare, come ci si può aspettare che un giorno possa fare compromessi sul territorio, sulle misure di sicurezza, sulla fine del conflitto, sull’insediamento di tutti i profughi palestinesi (e loro discendenti) in Palestina/Israele?
Si consideri per un momento il fatto che questa è almeno la quarta volta, nella breve storia dei primi nove mesi della nuova amministrazione Usa, che arabi e palestinesi fanno questo scherzo a Obama. Precedentemente infatti:
– il leader dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) era arrivato per la sua prima visita a Washington dicendo che non aveva alcuna intenzione di fare compromessi su nulla e che avrebbe solo aspettato finché gli Stati Uniti non gli avrebbero presentato un Israele costretto a cedere su tutto;
– nonostante i disperati sforzi di Obama di far ripartire i colloqui, Abu Mazen si è rifiutato di negoziare con Israele finché non vi sarà un congelamento totale delle attività edilizie in tutti gli insedianti, senza eccezioni (una condizione che non era stata posta per tutti i negoziati degli anni scorsi);
– gli stati arabi, cui era stato chiesto di fare qualche passo verso Israele per creare un clima di maggiore fiducia e aiutare gli sforzi del presidente Usa, hanno risposto semplicemente: “no”.
Con tanti saluti alle richieste di scuse di Obama, ai suoi discorsi del Cairo e all’Onu, alle vigorose parole di sostegno ai palestinesi (il popolo che dovrebbe essere in una situazione assolutamente intollerabile e disperatamente alla ricerca di un suo stato) e ai suoi panegirici dell’islam. L’adulazione, signor presidente, non la porterà da nessuna parte. È una strategia che non fa che alimentare l’estremismo. Purtroppo il processo di pace degli anni ’90 e il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza del 2005 hanno fatto la stessa cosa. Più concessioni alimentano ulteriori violenze, più richieste di scuse alimentano ulteriori pretese.
Non si dimentichi che il processo di pace è finto quando il leader dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat rifiutò uno stato, insieme ad aiuti per 23 miliardi di dollari.
Non si dimentichi che i palestinesi, quando hanno ricevuto tutta la striscia di Gaza, ne hanno fatto una base di lancio per razzi puntati contro Israele anziché farne un modello per l’avvio del loro stato e della pace.
Non si dimentichi che, proprio mentre l’amministrazione Bush cercava di aiutare d’aiuto, l’Autorità Palestinese fece un accordo con l’Iran, attraverso Hezbollah, per importare massicce quantità di armi via nave: la scoperta di come l’Autorità Palestinese l’aveva imbrogliata fu ciò rivolse quell’amministrazione contro di loro.
Non si dimentichi che nel 1989, quando gli Stati Uniti iniziarono a dialogare con l’Olp sulla base della sua rinuncia al terrorismo, l’Olp invece mandò un commando terrorista a sparare ai civili sulla spiaggia di Tel Aviv: quell’azione fu ciò che portò all’interruzione del dialogo.
Sveglia, gente. La pace è sicuramente preferibile, se possibile. La pace è un bellissimo sogno. Ma quel sogno continua ad essere interrotto da incubi ricorrenti. Quelli che sono alla guida delle nazioni e sono responsabili della vita e del benessere delle rispettive popolazioni, quelli il cui dovere è informare la gente, quelli che si pronunciano pubblicamente – tutti costoro hanno il dovere di abbandonare le pie illusioni e guardare il faccia la realtà per come emerge da così tanti esempi e precedenti storici, e cioè:
– la pace fra israeliani e palestinesi è ancora lontana;
– l’Autorità Palestinese non è in grado e non ha la volontà di fare la pace;
– la debolezza nell’affrontare questa questione alimenta il disprezzo; le concessioni unilaterali creano ulteriore violenza ed estremismo;
– una politica responsabile è quella che punta a massimizzare la stabilità, impedendo a Hamas di prendere il controllo sulla Cisgiordania e cercando di rovesciare il suo dominio sulla striscia di Gaza; che punta a limitare il più possibile la violenza appoggiando il diritto di Israele all’autodifesa; e che fa di tutto per elevare lo standard di vita dei palestinesi.
Ora anche Obama e i leader europei hanno fatto la loro esperienza: ne traggano il giusto insegnamento.

(Da: Jerusalem Post, 12.10.09)

Nella foto in alto: Barry Rubin, autore di questo articolo