Il voto anticipato allenterà le pressioni internazionali su Israele, per un breve momento

Sicurezza, economia, diplomazia saranno i temi al centro della campagna elettorale

Shlomo Cesana

Shlomo Cesana

Scrive Shlomo Cesana, su Israel HaYom: «La campagna elettorale che dominerà il discorso pubblico nel corso dei prossimi mesi si concentrerà ovviamente su più temi, ma rimane la domanda: quale tema prevarrà sugli altri, le questioni diplomatiche e di sicurezza o i problemi socio-economici?

Ci si attende che alle elezioni del 2015 prenda parte un nuovo partito guidato dall’ex ministro del Likud Moshe Kahlon. Tale partito probabilmente promuoverà un’agenda socio-economica, con particolare attenzione all’alto costo della vita in Israele. Kahlon corteggerà gli elettori di Yesh Atid, e il leader di Yesh Atid, Yair Lapid, cercherà verosimilmente di enfatizzare la sua agenda socio-economica. Come ex ministro delle finanze, è probabile che vanterà le poche riforme varate dal suo ministero, e cercherà di presentare come una buona proposta legislativa la sua proposta dell’Iva a zero per cento che è stata bloccata dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

Nel corso una conferenza stampa tenuta martedì a Gerusalemme, Netanyahu – che è stato ministro delle finanze tra il 2003 e il 2005 nel governo del primo ministro Ariel Sharon, e che introdusse diverse riforme innovative che hanno aiutato l’economia israeliana a riprendersi dal punto basso toccato con l’intifada delle stragi del 2000 – ha descritto Lapid come un ministro delle finanze “fallimentare”. La campagna del Likud molto probabilmente sottolineerà le politiche sbagliate di Lapid, che non non sono riuscite ad alleviare l’alto costo della vita, ma hanno portato a un rallentamento dell’economia che a sua volta ha indotto l’agenzia di rating Fitch a declassare la prospettiva di Israele da “positiva” a “stabile”.

Lapid dal canto suo ha mosso dure critiche al settore ultra-ortodosso ed è stato attaccato dal Likud per la sua reazione automatica e demagogica “anti ultra-ortodossi”. Parlando martedì a una conferenza sull’energia a Tel Aviv in quello che è stato già considerato come un discorso elettorale, il presidente di Yesh Atid ha biasimato Netanyahu per il suo presunto “accordo con i partiti religiosi”, per aver “guastato le relazioni Israele-Usa” e per “la non vittoria nella guerra a Gaza”. “Il primo ministro preferisce aumentare le tasse e far mettere mano al portafoglio alla classe media israeliana per rimunerare al più presto gli ultra-ortodossi – ha tuonato Lapid – Si tratta del vecchio, pessimo accordo con gli ultra-ortodossi, del tentativo di svendere l’eguaglianza della leva militare, la riduzione delle sovvenzioni alle scuole talmudiche e l’introduzione delle materie d’insegnamento basilare nelle scuole ultra-ortodosse per evitare che un’intera generazione di ultra-ortodossi continui a vivere una vita di povertà e assistenzialismo”.

Netanyahu ha già dichiarato che è contrario all’imposizione di sanzioni penali per gli studenti delle scuole talmudiche che si rifiutano di prestare il servizio militare obbligatorio, ma ha anche ribadito di non aver stretto nessun accordo con i partiti ultra-ortodossi per le prossimi elezioni».

(Da: Israel HaYom, 3.12.14)

Raphael Ahren

Raphael Ahren

Scrive Raphael Ahren, su Times of Israel: «Avviandosi nuovamente alle urne, Israele si ripiegherà su stesso abbandonando temporaneamente i guai diplomatici a vantaggio di sondaggi, primarie e altri aspetti della politica interna tipici delle campagne elettorali. Nei mesi a venire passerà in secondo piano tutto ciò che ha a che fare con i palestinesi, compresi gli sforzi per responsabilizzare la comunità internazionale nell’impedire che la striscia di Gaza e Hamas si riarmino alla grande e che l’Autorità Palestinese prosegua sulla strada degli inutili e controproducenti riconoscimenti unilaterali. E per quanto la comunità internazionale voglia vedere israeliani e palestinesi nuovamente seduti al tavolo negoziale, la pressione sulle due parti si allenterà. Nessuno si aspetta che Israele faccia qualsiasi mossa su questo fronte nel bel mezzo di una campagna elettorale. Non è che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) fossero sul punto di riavviare colloqui sostanziali, tutt’altro. Ma ora anche gli stanchi appelli alla ripresa delle trattative regolarmente lanciati, più o meno sinceramente, da tutti i politici e diplomatici che vengono qui in visita, cadranno nel silenzio. Probabilmente per tutta la durata della campagna cesseranno pressioni e minacce, come quella di sanzioni ventilata di recente dall’Unione Europea. Come ha detto settimana scorsa un alto funzionario israeliano, i paesi che perseguono il riconoscimento unilaterale dello stato palestinese sostengono di farlo per esercitare pressioni su Israele a fare concessioni. Ma sanno che questo strumento, ammesso e non concesso che abbia qualche efficacia, non l’avrà di certo nel bel mezzo della stagione elettorale israeliana. I parlamenti stranieri che hanno già in programma il voto sul riconoscimento della “Palestina” senza accordo con Israele è improbabile che lo annullino solo perché Israele deve votare, ma le mozioni votate da questi parlamenti conteranno ancora meno di prima perché nessuno si aspetta che gli israeliani prendano decisioni sulla questione palestinese prima d’aver deciso quale sarà il loro prossimo leader.

Da sinistra, Yair Lapid (Yesh Atid), Benjamin Netanyahu (Likud), Tzipi Livni (HaTnua)

D’altra parte, le elezioni 2015 probabilmente si concentreranno sui temi diplomatici più di quanto non sia avvenuto alle ultime elezioni di meno di due anni fa. Allora il processo di pace con i palestinesi venne a malapena menzionato. Quella campagna fu piuttosto dominata dalle proteste sociali dell’estate 2011 e dai temi socio-economici. Alla vigilia delle elezioni del gennaio 2013 il partito HaTnua, appena creato da Tzipi Livni, fu praticamente l’unico a incentrare la propria campagna sulla questione palestinese. Come ministra della giustizia e capo negoziatore con l’Autorità Palestinese, Tzipi Livni è oggi un membro chiave del governo e probabilmente metterà al centro della propria campagna il suo appello per un accordo di pace (ma i sondaggi non promettono molto bene per HaTnua). Nella scorsa tornata elettorale l’allora capo del partito laburista Shelly Yachimovich si rifiutò di affrontare la questione palestinese, concentrando tutta la sua campagna su questioni di giustizia sociale. Isaac Herzog, il suo successore alla guida del più importante partito di centro-sinistra israeliano, è molto più interessato al processo diplomatico e in generale alla posizione di Israele nel mondo, e certamente farà leva su quello che considera il fallimento del primo ministro in questo campo. E poi, l’operazione “Margine protettivo” della scorsa estate è ancora fresca nella mente degli elettori.

Ma le elezioni 2015 non ruoteranno solo su questioni diplomatiche. I centristi di Yesh Atid sicuramente cercheranno di presentarsi come il partito della lotta contro l’alto costo della vita e di difendere i piani del ministro delle finanze Yair Lapid per la casa a prezzi accessibili. Quello che Yesh Atid aspira ad essere per il grande centro dell’elettorato israeliano, il partito Shas lo è già da tempo per il suo elettorato, gli ebrei sefarditi ultra-ortodossi. Anche il nuovo partito ancora-da-formare dell’ex ministro Likud Moshe Kahlon, che secondo molti osservatori potrebbe rappresentare in questa tornata elettorale la novità che rappresentò Yesh Atid in quella precedente, isserà la bandiera della giustizia sociale.

In ogni caso la tregua nelle pressioni internazionali sarà di breve durata. Non appena i voti saranno stati contati e concluse le contrattazioni per il varo del nuovo governo, la comunità internazionale si sveglierà dal breve letargo e ricomincerà a fare pressioni sul primo ministro israeliano, qualunque esso sia, come se la pace dipendesse tutta e solo da Israele e dal suo governo, e nulla dagli altri protagonisti dell’agitatissimo Medio Oriente».

(Da: Times of Israel, 3.12.14)