Immigrati illegali in Israele: le politiche del governo, le proteste, le strumentalizzazioni

«Israele è l'unico stato occidentale che ha una frontiera di terra con l'Africa: senza una politica coerente, rischiamo di perdere l’unico paese che abbiamo»

Commenti dalla stampa israeliana

Immigrati africani all’ufficio immigrazione di Tel Aviv

Immigrati africani all’ufficio immigrazione di Tel Aviv

«Negli ultimi anni – si legge in un comunicato del portavoce del ministero degli esteri israeliano – lo Stato di Israele, come molti altri paesi sviluppati, ha visto un afflusso di persone che entrano illegalmente, soprattutto attraversando il confine israelo-egiziano. Il numero totale degli immigrati illegali entrati in Israele dal 2006 è stimato in più di 64.000. Alcuni hanno fatto ritorno volontariamente al proprio paese d’origine, portando il numero attuale a 53.600. I semplici numeri e la gamma di questioni collegate pongono una sfida formidabile ai servizi economici e sociali d’Israele, la cui popolazione totale è di 8 milioni di persone. La situazione in Israele è molto più complessa di quella in altri paesi sviluppati. Israele è l’unico paese sviluppato che ha una frontiera di terra con l’Africa, il che lo rende relativamente più accessibile a coloro che desiderano entrare. Inoltre, a causa della particolare situazione geo-strategica di Israele e dell’attuale instabilità politica che circonda i suoi confini, diventa praticamente impossibile sviluppare soluzioni cooperative regionali con i paesi di origine e di transito degli immigranti, come invece possono fare altri paesi sviluppati come quelli europei e gli Stati Uniti. Israele cerca un difficile equilibrio fra la necessità di tenere sotto controllo i propri confini e quella di tutelare i diritti umani di coloro che entrano. Attenendosi al diritto internazionale, Israele ha accordato protezione a circa 60.000 persone senza che dimostrassero evidenza d’avere individualmente titolo a rimanere in Israele. Costoro costituiscono circa il 95% di tutti gli individui che sono entrati illegalmente in Israele attraverso il confine meridionale. La Authority per Popolazione e Immigrazione, attraverso la sua Unità per la Determinazione dello Status di Profugo, ha esaminato centinaia di richieste d’asilo, in coordinamento con l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati che ha anche contribuito alla formazione del personale dell’Unità israeliana. Tutte le domande seguono un iter completo, con priorità per quelle presentate da immigrati illegali che soggiornano nelle strutture di raccolta di Saharonim e Holot. L’esame viene effettuato in conformità agli obblighi giuridici internazionali d’Israele sulla base alla Convenzione Onu sui Rifugiati (1951), e l’applicazione viene effettuata sulla base della legge israeliana e in conformità con le sentenze della Corte Suprema. Qualunque presa di posizione sulla questione degli immigrati che non tenga conto di tutti questi elementi – conclude il comunicato di Gerusalemme – non è di alcun aiuto e non contribuisce a chiarire la complessità del tema, che il governo d’Israele sta trattando con la responsabilità e la serietà che la situazione richiede». (Da: MFA, 6.1.14)

Scrive Yoaz Hendel, su Yediot Aharonot: «Senza una politica di migrazione coerente, i poveri d’Africa continueranno ad arrivare nello Stato di Israele. Israele è un paese prospero, che fiorisce in una regione molto difficile; la sua democrazia è confortevole, ed è un paese che offre opportunità. Le autorità di governo hanno chiuso gli occhi e lasciato che si creasse il problema che ora sono tenute a risolvere. Non c’è scelta: non vi sono soluzioni buone, soltanto soluzioni ragionevoli. Non abbiamo inventato niente: è una cosa che non viene bene nelle fotografie prese in Italia, in Spagna, negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Non verrà bene nemmeno nelle fotografie prese qui. Le decisioni del governo passano al vaglio della l’Alta Corte di Giustizia, gli argomenti di merito a quello dell’opinione pubblica». (Da: Yediot Aharonot, 7.1.14)

Noah Klieger

Noah Klieger

Scrive Noah Klieger, su YnetNews: «Non occorre sottolineare che gli immigrati clandestini dall’Africa pongono un problema critico ed estremamente complicato, per il quale è difficile trovare una soluzione razionale ed accettabile. Tuttavia Israele deve trovare una soluzione del genere, perché è chiaro a tutti che la situazione attuale non può andare avanti. Il problema non fa che crescere ogni giorno. Sin dalla sua fondazione, Israele ha dovuto lottare per la sua stessa esistenza contro centinaia di milioni di suoi vicini-nemici e i loro sostenitori in tutto il resto del mondo, e semplicemente non può prendersi decine di migliaia – in futuro anche centinaia di migliaia – di immigrati clandestini. Ogni persona sensata capisce che questo non è un problema di razzismo, ma di sopravvivenza. Il fatto che migliaia di immigrati illegali possono tenere una manifestazione di protesta nel cuore di Tel Aviv dimostra al di là di ogni dubbio che Israele è un paese democratico e liberale, forse unico nel suo genere. In altri paesi i diversi tipi di immigrati non oserebbero protestare, e in ogni caso le autorità non glielo lascerebbero fare in questo modo. Israele è anche l’unico paese che ha pagato, ed è disposto a pagare ulteriormente, ingenti somme a diversi paesi africani per aiutarli ad accogliere gli immigrati che si impegnano a ripartire volontariamente. Che gli altri paesi e le varie anime belle non vengano ad accusarci di razzismo. Che si rivolgano a paesi ben più grandi e più forti di Israele, quelli che danno prova quotidianamente di quanto siano poco liberali e umani nel loro “trattamento” degli africani. Ma per completare il quadro, voglio anche sottolineare lo sventurato fenomeno, che trovo scandaloso, di quegli enti, ristoranti, caffetterie e aziende varie che impiegano immigrati senza permesso di lavoro pagando loro salari minimi: non solo violano la legge, ma favoriscono anche l’arrivo di altri immigrati illegali. Per molto tempo non abbiamo avuto una politica definita riguardo a questo problema, ma ora è necessario impostare norme e piani d’azione al fine di trovare una possibile soluzione che sia adatta sia per noi che per loro». (Da: YnetNews, 7.1.14)

Protesta di immigrati illegali davanti alle ambasciate straniere a Tel Aviv

Protesta di immigrati illegali davanti alle ambasciate straniere a Tel Aviv

Scrive l’editoriale del Jerusalem Post: «È stata annunciata come la più grande manifestazione mai tenuta dalla comunità di immigrati africani in Israele. Decine di migliaia di africani provenienti da Eritrea e Sudan venuti in Israele in cerca di asilo e di posti di lavoro si sono riuniti domenica in Piazza Rabin a Tel Aviv con slogan come “Siamo rifugiati, non infiltrati” e “Basta galera”. I manifestanti sono indubbiamente scontenti delle politiche israeliane che mirano a scoraggiare potenziali immigranti africani dal tentativo di venire in Israele, ma il motore e la logistica organizzativa dietro alla manifestazione di domenica scorsa sono stati garantiti da alcune precise Ong (organizzazioni non governative) estremiste. Nel corso degli anni, queste Ong hanno continuato a diffondere disinformazione sugli immigrati nel tentativo di promuovere un’agenda politica “post-sionista” che mira a spogliare Israele del suo carattere di stato nazionale del popolo ebraico. Hanno iniziato coi riferimenti alla Shoà, al genocidio, nel tentativo di sfruttare la sensibilità ebraica su questi temi. Ci hanno detto che questi immigrati erano profughi provenienti dal Darfur dove rischiavano lo sterminio, e per po’ ha funzionato. Nel 2007 un editoriale di Ha’aretz scriveva che “il primo comandamento morale dello Stato degli ebrei è che non ha il diritto di chiudere la porta in faccia a profughi in fuga da un genocidio”. Tuttavia divenne presto evidente che la stragrande maggioranza degli immigrati non venivano affatto dal Darfur. La maggior parte (circa il 70%) provengono dall’Eritrea, e non dal Sudan. E anche quelli che arrivano dal Nord Sudan non sono generalmente originari delle zone in cui è stato perpetrato un genocidio. Ma la tattica forse più spregevole è stata quella di rivelare la circostanza che Israele era riuscito a convincere centinaia di migranti a tornare a casa attraverso un paese terzo: una rivelazione che ha messo a rischio proprio gli migranti. Ma le Ong estremiste anti-sioniste erano ben disposte a mettere in pericolo i migranti e non hanno avuto scrupoli a sfruttare il tema della Shoà pur di “spacciare” la loro causa. Per loro, i migranti sono non sono altro che pedine in una lotta più ampia: quella contro il carattere ebraico dello Stato d’Israele. Un rapporto del marzo 2011 dell’Alto Commissario Onu per i Rifugiati cita un operatore di una di queste Ong che afferma che la sua organizzazione e altre analoghe si battono per consentire agli immigrati di rimanere in Israele e “patrocinare una percezione di cittadinanza universalistica. Essi non considerano la questione della nazionalità ebraica come pertinente, ma la cosa non viene pubblicamente affermata perché non sarebbe utile alla loro battaglia”. In altre parole, molte di queste Ong si sforzano di minare il carattere di Israele come stato nazionale del popolo ebraico battendosi per mantenere in Israele il maggior numero possibile di immigrati africani e incoraggiando altri a venire. Ma di rado dichiarano pubblicamente le loro vere intenzioni perché sanno che, facendolo, perderebbero il sostegno dell’opinione pubblica israeliana. Lo stesso operatore Ong citato nel rapporto dell’Alto Commissariato Onu afferma che “la questione centrale, qui, è la natura della società civile israeliana: la battaglia è sul carattere di Israele come Stato”. La verità è che per la stragrande maggioranza gli immigrati africani sono spinti a fare il viaggio verso Israele perché vedono l’opportunità di guadagnare quelle che per loro sono considerevoli somme di denaro. Come ricorda Yonatan Jakubowicz, direttore delle pubbliche relazioni presso il Centro Israeliano sulla Politica Immigratoria, una Ong che è favorevole alle politiche del governo, lo stipendio medio in Eritrea è 420 dollari l’anno, e un terzo del Pil dell’Eritrea proviene dalle rimesse degli espatriati. Non ci sono molte opportunità economiche per i giovani più volonterosi che vivono in Eritrea, Sudan e in parecchi altri paesi africani. E si può ben comprendere il loro desiderio di migliorare la propria condizione migrando altrove. Ma Israele, creato per essere l’unico Stato al mondo dove gli ebrei possono esercitare l’autodeterminazione, non potrà mai risolvere i mali socio-economici dell’Africa. Tuttavia rischia di perdere la sua solida maggioranza ebraica se continua ad assorbire decine di migliaia di migranti africani. È proprio quello che alcune Ong vorrebbero. La politica immigratoria del governo, invece, è pensata per scongiurare tale scenario». (Da: Jerusalem Post, 6.1.14)

Gideon Saar, ministro israeliano dell’interno

Gideon Sa’ar, ministro israeliano dell’interno

Scrive Gideon Sa’ar, ministro israeliano dell’interno, su Israel HaYom: «Lo sciopero generale indetto dagli immigrati illegali africani ha svelato in un sol colpo l’ennesima menzogna diffusa dalle organizzazioni che operano a loro nome, e cioè quella secondo cui agli immigrati verrebbe impedito di lavorare. E invece lavorano (tanto che ora scioperano) e nessuno ha mai impedito loro di lavorare in Israele. Anzi, questo è proprio l’obiettivo che si sono prefissate le migliaia di persone venute qui in Israele, la stragrande maggioranza delle quali sono immigrati economici, e non profughi. Con la loro protesta, gli immigrati illegali chiedono il riconoscimento collettivo come rifugiati, una pretesa che non ha basi nel diritto internazionale. Contrariamente a quanto viene sostenuto, Israele conduce un esame dettagliato di ogni singola domanda di asilo. “Non sono immigrati illegali, sono richiedenti asilo” dicono coloro che si ergono a loro paladini. Un’affermazione smentita dal fatto che ogni mese, grazie a incentivi economici, centinaia di questi immigrati ripartono volontariamente da Israele per tornare nei loro paesi. Ma se anche così fosse, forse che quelli che fuggono dalle persecuzioni in Sudan e Eritrea e sono ospiti in territorio israeliano dopo aver attraversato diversi paesi lungo il viaggio, hanno un diritto intrinseco a soggiornare e lavorare a Tel Aviv, Arad o Eilat? [Per il diritto internazionale, i profughi che arrivano dopo aver attraversato più di un confine internazionale, come in questo caso, non sono considerati profughi richiedenti asilo nel terzo o quarto paese in cui approdano]. E’ forse un’ingiustizia creare un centro di raccolta, come hanno fatto tanti altri paesi occidentali, in cui si garantisce un letto, cibo, alloggio e assistenza sanitaria, il tutto a spese di Israele? Gli immigrati illegali, i gruppi per i diritti umani e il parlamentari che li fiancheggiano spingono esplicitamente per il diritto di decine di migliaia di immigrati di soggiornare qui in modo permanente. Chiunque abbia buon senso può capire cosa significa tentennare su questo argomento. Israele è l’unico paese occidentale che condivide una frontiera terrestre con l’Africa: la semplice e dura verità è che se scegliamo di essere l’apripista liberale dell’Occidente su questa materia, perderemo l’unico paese che abbiamo. Con il sostegno del primo ministro Benjamin Netanyahu e di tutto il governo, ho varato di recente una serie di misure per attuare la politica del governo: completamento della normativa sugli immigrati dopo una sentenza della Corte Suprema, creazione del centro di raccolta di Holot per ridurre al minimo la presenza di immigrati illegali nelle città, avvio dell’applicazione del divieto di lavoro per chi non ha il permesso, aumento degli incentivi per spingere gli immigrati a ripartire volontariamente. Gli immigrati illegali e le organizzazioni per i diritti umani che li fiancheggiano capiscono che il governo fa sul serio. Con le proteste davanti alle ambasciate straniere cercano di screditare l’immagine del paese in cui sono entrati illegalmente, e che li ospita sul proprio territorio. La mia lealtà va a Israele, ai suoi cittadini e al loro futuro. Menzogne, calunnie e attacchi personali non mi faranno recedere». (Da: Israel HaYom, 7.1.14)