Impossibile annettere, impossibile spartire

Necessaria la soluzione a due stati per preservare Israele, ma sembra impossibile realizzarla.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_3631La maggioranza della popolazione israeliana sostiene d’idea di una soluzione a due stati per il conflitto israelo-palestinese, ma pensa che non sia concretamente realizzabile. È quanto emerge da un sondaggio condotto dal New Wave Research per conto di Israel HaYom. Al campione rappresentativo di 822 cittadini maggiorenni intervistati fra l’1 e il 3 gennaio, è stato chiesto: “Siete favorevoli o contrari all’idea di due stati per due popoli, cioè alla creazione di uno stato palestinese indipendente a fianco di Israele?”. Il 53,5% si è detto favorevole, il 38% si è detto contrario. Tuttavia, alla domanda su quante chance vi siano che tale soluzione venga effettivamente attuata, i risultati si sono invertiti: il 40,6% dice che è fattibile, mentre il 54,3% ritiene che la soluzione a due stati non sia di fatto attuabile. Il sondaggio indica che la maggioranza degli israeliani non si fida del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), con il 55% degli intervistati che afferma che Abu Mazen non è un interlocutore con cui il conflitto possa essere risolto. Ad una domanda su quale sia il candidato più adatto a ricoprire la carica di primo ministro in Israele il 43,2% ha indicato Netanyahu, a grande distanza dal secondo candidato, Tzipi Livni, indicata dal 12,9%.
(Da: Israel HaYom, 4.1.13)

Scrive S. Daniel Abraham, su Ha’aretz, che Israele rischia di essere distrutto senza che venga sparato un colpo. «Israele – sostiene l’editorialista – ha bisogno che esista uno stato palestinese ancor più degli stessi palestinesi. Senza di esso, Israele non può continuare ad essere uno stato sia ebraico che democratico. Se Israele non arriva molto presto ad una soluzione a due stati con i palestinesi, prima o poi lo stato ebraico come lo conosciamo cesserà di esistere. Senza un accordo di pace, il futuro è chiaro: i palestinesi diventeranno talmente più numerosi degli ebrei che Israele sarà costretto a dare loro (anche in Cisgiordania) il diritto di voto. E la prima legge che verrà approvata da un parlamento a maggioranza palestinese sarà per cambiare il nome del paese da Israele in Palestina. E la seconda sarà una “legge del ritorno” per i palestinesi.
(Da: Ha’aretz, 6.1.13)

Scrive Yoaz Hendel su YnetNews: «L’idea di annettere i territori ci accompagna da 45 anni. Nessun governo di destra l’ha mai attuata e nessun governo di sinistra l’ha mai respinta. Nel dicembre 1981, sei mesi dopo il ritiro dal Sinai, Menachem Begin cercò di definire un confine: estese la giurisdizione israeliana alle alture del Golan attirandosi dure critiche da tutto il mondo. Vi fu una crisi anche con l’America di Ronald Reagan. Il Golan comunque rimase sotto giurisdizione israeliana con un chiaro confine. Dopo di allora, diversi primi ministri israeliani hanno discusso un possibile compromesso territoriale sul Golan nonostante la decisione sulla sovranità israeliana. Lo stesso Netanyahu, ad esempio, lo fece due volte. In effetti, quando il territorio in questione ha scarsa popolazione, l’annessione costituisce più che altro una dichiarazione. La situazione attuale in Siria dimostra che, nonostante tutta l’ira di Washington e del resto del mondo, Begin aveva ragione: meglio avere il Golan che arrivare a una pace (senza Golan) precaria e provvisoria. In Giudea e Samaria (Cisgiordania), d’altro canto, il tema dell’annessione è legato a quello dei diritti politici dei palestinesi: il tallone d’Achille della politica d’Israele. Alcuni di coloro che sono a favore dell’annessione ignorano semplicemente il problema. Altri lo affrontano, ma per lo più se ne fa solo un gran parlare. La realtà è che non si può annettere senza conferire piena cittadinanza agli arabi palestinesi che vi risiedono. La logica ci dice che non possiamo annettere tutto senza rischiare di diventare uno stato bi-nazionale, o per lo meno uno stato che comprende milioni di arabi. Coloro che non gradiscono il fatto che Hanin Zoabi sia membro della Knesset dovrebbero cercare di immaginare un parlamento con altri trenta parlamentari come lei».
(Da: YnetNews, 5.1.13)