Insegnare falsità per promuovere obiettivi politici è una forma di abuso sui minori

L’amara testimonianza di chi negli anni ’90 negoziò per una “cultura della pace”

Di Daniel Taub

Sicché ancora una volta l’organizzazione delle Nazioni Unite incaricata di promuovere la comprensione interculturale e la conservazione del patrimonio culturale dell’umanità ha sbianchettato il legame tra il popolo ebraico e i suoi siti più sacri.

L’Autorità Palestinese, che ha guidato la campagna, ha celebrato come un importante successo la risoluzione del Consiglio esecutivo dell’Unesco che prevede il riconoscimento dei siti di Gerusalemme “santi per l’islam”, ma guarda caso non per l’ebraismo.

In termini strettamente politici, per la verità, la risoluzione non è stata un gran successo per i palestinesi dal momento che ha ricevuto il sostegno solo di una minoranza dei membri della commissione, mentre la maggioranza ha votato contro, si è astenuta o si è prudentemente assentata dal voto.

Su un altro piano, poi, i palestinesi che usano la testa dovrebbero nutrire molti dubbi circa i pregi a lungo termine dei loro continui sforzi di sovvertire i fatti della storia per piegarli al servizio di un programma politico. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda l’istruzione dei giovani palestinesi.

Come dimostrano le mappe riprodotte in questi disegni di scolari palestinesi, nelle scuole palestinesi si insegna che “tutto Israele è Palestina” e che Israele deve essere cancellato dalla carta geografica

Come dimostrano le mappe riprodotte in questi disegni di alunni palestinesi, nelle scuole palestinesi si insegna che “tutto Israele è Palestina” e che Israele deve essere cancellato dalla carta geografica

Si consideri la campagna palestinese volta a ridefinire la tomba di Rachele. Fino agli anni ‘90 i testi scolastici palestinesi facevano riferimento a questo sito, che si trova alle porte di Betlemme, come “la Tomba di Rachele”, e gli studiosi musulmani spesso la menzionavano con la locuzione araba per “la Cupola di Rachele, luogo di culto ebraico”. A partire dalla metà degli anni ‘90, in contemporanea con una serie di violente aggressioni fisiche al sito, la tomba venne ri-etichettata come “la moschea di Bilal ibn Rabah”, e i libri di testo palestinesi vennero riscritti adottando il nuovo termine. Questa riscrittura della storia è in totale contraddizione non solo con la secolare tradizione ebraica, ma anche con gli insegnamenti islamici che avevano sempre affermato che Bilal ibn Rabah, il primo muezzin di Maometto, è stato sepolto a Damasco e avevano sempre venerato la tomba presso Betlemme come il luogo di sepoltura della matriarca Rachele. Nell’anno 2000, il quotidiano dell’Olp Al-Hayat al-Jadida dichiarava esplicitamente “falsa” la designazione del sito come “Tomba di Rachele”, sostenendo che in origine era una moschea musulmana: una pretesa incredibilmente adottata dall’Unesco nel 2010 e ribadita nel 2015.

Mentre avveniva questa orwelliana riscrittura della storia, mi trovavo a capo della squadra israeliana per i negoziati con i palestinesi sulla “Cultura della pace”. Il nostro team aveva il compito, fra l’altro, di esaminare il ruolo eventualmente svolto dai libri di testo scolastici e dai sistemi di istruzione nel perpetuare il conflitto. Esaminando i libri di testo, prestammo particolare attenzione alle deliberate distorsioni della storia per fini politici, tenendo a mente il famoso detto del compianto senatore Daniel Patrick Moynihan: “Ognuno ha diritto alle proprie opinioni, non ai propri fatti”. Il forte accento sull’esattezza nel campo dell’istruzione ricevette ulteriore impulso quando, insieme al mio interlocutore palestinese nei negoziati, Sufian Abu Zaida, visitai l’Irlanda del Nord per apprendere dall’esperienza del processo di pace del Venerdì Santo (avviato a Belfast il 10 aprile 1998). Una delle cose più notevoli e sorprendenti che venimmo a sapere era che i leader di entrambe la parti del conflitto irlandese avevano insistito affinché la storia venisse insegnata ai loro scolari in modo onesto e senza infingimenti. Per entrambi i campi, offrire ai loro figli i veri fatti della storia faceva premio sui ristretti profitti della propaganda politica. Al nostro ritorno, ispirati da quello che avevamo visto, elaborammo un programma che prevedeva la revisione dei libri di testo scolastici di entrambe le parti ad opera di un comitato indipendente di esperti. Purtroppo, quando il programma divenne di pubblico dominio venne seccamente respinto dalla dirigenza palestinese.

Il famoso detto di Golda Meir “la pace verrà quando i nostri vicini ameranno i loro figli più di quanto odiano noi” viene solitamente letto nel contesto del terrorismo che mette intenzionalmente in pericolo i civili di entrambe le parti. Ma ha anche una dimensione intellettuale: distorcere deliberatamente i fatti della storia e insegnare falsità al solo scopo di promuovere obiettivi politici è una forma di abuso sui minori.

Di più. Indottrinare anziché educare significa diffondere il tacito messaggio che la verità storica è qualcosa da temere e da evitare anziché da affrontare, e deruba le prossime generazioni degli strumenti fondamentali per costruire una società salda e funzionante. Persuadere l’Unesco a farsi complice della riscrittura della storia può sembrare, oggi, un successo politico agli occhi della dirigenza palestinese. Ma un domani i palestinesi potrebbero scoprire che il prezzo delle distorsioni e delle falsità si ritorce contro di loro e i loro figli.

(Da: Jerusalem Post, 16.10.16)