Intifada a Parigi

La Francia, a differenza degli Usa, non può essere accusata di posizioni filo-israeliane.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_954Subito dopo gli attacchi dell’11 settembre, i mass-media americani iniziarono ad arrovellarsi intorno a una domanda cruciale: “Perché ci odiano tanto?”. Gente obiettiva, gli americani erano convinti che ci dovesse essere una valida spiegazione razionale perché diciannove giovani uomini, istruiti ed economicamente agiati, scagliassero degli aerei contro degli edifici uccidendo se stessi e migliaia di innocenti. Tra le varie ragioni avanzate una apparve in modo particolarmente frequente, suscitando preoccupazione a Gerusalemme: era quella per cui tutto era dovuto all’appoggio degli Stati Uniti per Israele. Se solo gli Stati Uniti si fossero attenuti a una linea più filo-araba e filo-palestinese – questo era il ragionamento – allora le masse arabe e musulmane non li avrebbero odiati così tanto.
Gli eventi in corso a Parigi negli ultimi dodici giorni si sono incaricati di dimostrare l’infondatezza di questo argomento.
Sin dalla metà degli anni ’60 la Francia è stata uno dei paesi più coerentemente filo-arabi di tutta l’Europa occidentale. In effetti si può ragionevolmente sostenere che uno dei motivi per cui il presidente francese Jacques Chirac è stato così contrario all’intervento militare Usa in Iraq risiedeva nel fatto che era convinto che tale posizione avrebbe garantito alla Francia uno status speciale fra i musulmani di tutto il mondo.
La Francia, a differenza degli Stati Uniti, non può certo essere accusata di posizioni filo-israeliane. Nondimeno i giovani musulmani stanno mettendo a ferro e fuoco le banlieues parigine. Benché sia troppo presto per un’analisi approfondita di questa “rivolta” ancora in corso in Francia, una cosa si può già dire: questi rivoltosi odiano la Francia, altrimenti non ne distruggerebbero i beni e non ne incendierebbero città e periferie. E questo odio per la Francia non ha nulla a che fare con Israele.
Perché è tanto importante sottolineare questo aspetto? Perché per troppo tempo tanta parte dell’occidente, con la Francia in testa, ha cercato di occultare il suo proprio conflitto con l’estremismo islamico sostenendo che tutto sarebbe andato benissimo, e che l’ostilità islamica sarebbe scomparsa, se solo si fosse trovata una soluzione al conflitto arabo-israeliano.
Non è così. I giovani musulmani in Francia non si rivoltano per solidarietà con i loro fratelli palestinesi o iracheni. Si rivoltano in gran parte perché si sentono discriminati, alienati e tagliati fuori dalla grande torta francese della “libertà, uguaglianza e fraternità”. I francesi dovrebbero prestare attenzione al fatto che le fiamme dell’alienazione vengono alimentate e incrementate, a loro uso e consumo, da estremisti islamici che, come hanno dimostrato gli attentatori “locali” di luglio a Londra, si diffondono per le strade d’Europa.
Si possono individuare dei paralleli con la realtà mediorientale. Un tempo il conflitto arabo-israeliano si presentava prevalentemente come un conflitto territoriale. In effetti, era questa la concezione alla base della risoluzione 242 (1967) del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che creò il concetto di “pace in cambio di territori”. Ciò che veniva trascurato era la dimensione religiosa e ideologica del conflitto. Non è una coincidenza se il recente parossismo di violenza palestinese da queste parti è diventato noto con il nome di “intifada di al-Aqsa”, e non – per esempio – con quello di “intifada di Gaza” o “intifada di Cisgiordania”. Dando alle violenze il nome della moschea sul Monte del Tempio di Gerusalemme, e non quello di un territorio conteso, se ne voleva sottolineare la componente religiosa: una componente che – con l’aiuto dell’Iran, di Hezbollah, di Hamas e della Jihad Islamica – ha reso il conflitto molto più violento, ingovernabile e irriducibile. Terra in cambio di pace, per i gruppi estremisti islamisti, è sempre stato un concetto del tutto obsoleto.
La Francia – sì, paradossalmente proprio la Francia – si ritrova ora a fronteggiare un dilemma analogo. La reazione istintiva, in Francia, di fronte ai tumulti è stata duplice, con l’impegno a ristabilire la sicurezza e ad affrontare le “cause” delle sommosse: privazioni, discriminazioni, alienazione e sradicamento di questa gioventù scatenata, in gran parte musulmana. Impossibile non essere d’accordo con entrambi gli obiettivi. Ma i politici francesi sbaglierebbero a trascurare le dimensioni religiose e ideologiche dello scontro, e il modo con cui gli estremisti islamici che predicano dalle moschee e che riversano odio via internet riescono ad approfittare di questo disagio, e a diffondere in Francia e nel cuore d’Europa una ideologia velenosa. Certo, le attuali sommosse in Francia possono essere legate alla mancanza di radici e all’alienazione dei giovani di una minoranza, ma esse non hanno a che fare soltanto con alienazione e mancanza di radici. Della miscela fa parte anche l’islamismo estremista, e i francesi possono ignorarlo solo a proprio rischio e pericolo.

(Da: Jerusalem Post, 7.11.05)