Iran e tunnel terroristici al tempo della riconciliazione palestinese

Sorgono domande cruciali sul ruolo di Teheran, nel momento in cui Abu Mazen sta per assumere la gestione della sicurezza nella striscia di Gaza

Un tunnel terroristico che le Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, si vantano d’aver costruito dopo la guerra dell’estate 2014 (foto d’archivio)

Le Forze di Difesa israeliane hanno distrutto, lunedì scorso, un tunnel per attacchi terroristici che si allungava dalla località di Khan Younis, nella striscia di Gaza meridionale, fin dentro il territorio israeliano, arrivando a poco più di un chilometro del kibbutz Kissufim, un fatto di per sé definito da parte israeliana “una chiara aggressione”. Secondo le fonti militari, la costruzione del tunnel, che era ancora in corso, è iniziata dopo la conclusione delle sette settimane di campagna anti-terrorismo dell’estate 2014. Le fonti militari israeliane non hanno detto chi abbia scavato il tunnel terroristico, ma hanno sottolineato di ritenere in ogni caso Hamas responsabile per tutti gli atti di violenza che originano dalla striscia di Gaza in quanto è Hamas l’autorità che la controlla. Il portavoce militare israeliano ha specificato che “l’esplosione si è verificata all’interno del territorio israeliano” e con mezzi convenzionali. Nove terroristi risultano morti nel tunnel (più cinque dispersi). Tra i morti, due membri di alto rango della Jihad Islamica palestinese. Due importanti membri di Hamas, anch’essi morti nel tunnel, sono rimasti uccisi da crolli successivi o da esplosioni secondarie di munizioni ammassate nella sezione della galleria sotto la striscia di Gaza. Le fonti militari israeliane hanno tenuto a sottolineare che l’obiettivo specifico dell’operazione era la distruzione del tunnel terroristico che, penetrando in territorio israeliano, rappresentava una minaccia immediata e una evidente violazione della sovranità israeliana.

A posteriori, l’establishment della difesa israeliana sta valutando una serie di interrogativi suscitati dalle circostanze dell’incidente, a cominciare dalla presenza di alti comandanti sia di Hamas che della Jihad Islamica, un fatto che sembra indicare un nuovo livello di cooperazione fra i due gruppi, presumibilmente ricollegabile agli iraniani con i quali Hamas sta cercando di ricostruire rapporti di collaborazione. All’inizio di ottobre una delegazione di Hamas è stata in visita a Teheran con l’obiettivo di stabilire legami più stretti e ricevere ulteriori finanziamenti a sostegno delle sue ambizioni militari contro lo stato ebraico.

La colonna di fumo sopra il tunnel distrutto lunedì dalle Forze di Difesa israeliane a poco più di un km dal kibbutz Kissufim

Vi è anche la possibilità è che sia in atto una tattica del tipo “poliziotto buono/poliziotto cattivo”, con la quale Hamas cercherebbe di mascherare il proprio coinvolgimento nel terrorismo allo scopo di preservare il processo di riconciliazione con Fatah e Autorità Palestinese e il suo posto nel futuro governo di unità nazionale palestinese. La Jihad Islamica costituirebbe il partner ideale per questo stratagemma.

Dal punto di vista dell’Iran, tutti gli scenari appaiono “vincenti”. Da una parte estende la sua influenza a Gaza; dall’altra, consolida il suo controllo sul governo libanese tramite l’organizzazione terroristica Hezbollah, che gli garantisce anche capacità di penetrazione nella Siria meridionale. Non a caso, un portavoce del Ministero degli esteri iraniano ha condannato “il sanguinario regime sionista” per aver distrutto il tunnel, un atto che ha definito animato dal desiderio di “garantirsi la sicurezza uccidendo giovani palestinesi”.

Secondo Yaakov Lappin, analista e corrispondente militare israeliano, “è almeno dal 2014 che la Jihad Islamica palestinese ha un proprio programma di tunnel, e quello distrutto lunedì sembra che facesse parte di tale rete. Anche in questo caso, tuttavia, è molto improbabile che Hamas non ne sapesse nulla. Negli ultimi anni – spiega Lappin a Media Line – i due gruppi hanno collaborato e hanno coordinato le loro azioni contro Israele in base alla consapevolezza che qualsiasi azione indipendente da parte di una fazione può spingere entrambe verso un’escalation di guerra non necessariamente voluta in quel momento”. Lappin ipotizza che l’Iran abbia dato istruzione ai suoi subalterni di scavare deliberatamente in territorio israeliano come una forma di provocazione. “Agli iraniani piacerebbe molto trasformare Gaza in una delle basi utilizzate per prendere di mira Israele e utilizzare l’enclave come punto di partenza per penetrare in Cisgiordania, un obiettivo che perseguono da anni”. Parlando a Media Line, il generale riservista Yosef Kuperwasser, capo del Regional Research Project presso il Jerusalem Center for Public Affairs, conferma che “lo sforzo in questo senso risale ai tempi della seconda intifada (il periodo di intensi attentati stragisti suicidi palestinesi degli anni 2000-2005). Teheran ha cercato di farlo sia mediante la Jihad Islamica, che ha creato e che controlla totalmente, sia finanziando Hamas”.

I ritratti del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sissi e del presidente palestinese Abu Mazen affissi mercoledì al valico di frontiera di Rafah fra Egitto e striscia di Gaza, in occasione del passaggio del controllo da Hamas all’Autorità Palestinese

Eitan Shamir, ex direttore del Dipartimento per la Dottrina della Sicurezza Nazionale presso il Ministero degli Affari Strategici israeliano, concorda sul fatto che la Jihad Islamica e, per estensione, l’Iran si stanno affermando nella striscia di Gaza. “È chiaro che la Jihad Islamica sta assumendo un ruolo più attivo, mentre Hamas ultimamente ha cercato di assumere un atteggiamento relativamente ‘moderato’. Sebbene siano entrambe votate alla ‘resistenza’ (cioè alla lotta armata anti-israeliana), Hamas è più vincolata dalle circostanze politiche”. In ogni caso, secondo Shamir “il tunnel che è stato distrutto era verosimilmente noto a Hamas, per cui o Hamas ha preferito ignorare questi scavi o forse cerca di agire sotto la copertura della Jihad Islamica. In generale, Hamas non può mettersi nella posizione di frenare la Jihad Islamica poiché entrambe sono finanziate dallo stesso protettore”.

La scoperta di questo tunnel per attacchi terroristici – che fosse costruito con la tacita approvazione di Hamas o per sua direttiva esplicita – pone nuovi problemi alla luce dell’accordo di riconciliazione firmato da Hamas con Fatah, la fazione di Abu Mazen. Sul fronte diplomatico, Gerusalemme ha più volte ribadito che non intende impegnarsi in negoziati di pace con un governo palestinese che includesse Hamas. Il tunnel appena scoperto e distrutto in territorio israeliano probabilmente consoliderà questa posizione, anche se intanto Israele continua a collaborare con Abu Mazen a vari livelli in Cisgiordania. Dopo tutto, è nell’interesse di entrambe le parti garantire che Hamas non sia in grado di espandere la portata delle sue operazioni terroristiche. Inoltre, ci si aspetta che la più volte annunciata iniziativa di pace dell’amministrazione Trump fornisca qualche “scappatoia” per tenere fuori Hamas dai futuri colloqui.

La situazione è invece più complessa – e potenzialmente esplosiva – dal punto di vista della sicurezza, con Abu Mazen che dovrebbe assumere il controllo totale su Gaza entro il primo dicembre (e quello sui valichi di frontiera fra Israele e Gaza già dal primo novembre). Vi sono molti dubbi che egli possa davvero impedire a Hamas e Jihad Islamica di continuare ad armarsi fino ai denti, con l’assistenza dell’Iran, e a minacciare Israele con i tunnel per attacchi terroristici. Lappin condivide la previsione che Hamas rimarrà la presenza militare dominante a Gaza nel futuro prevedibile. “Abu Mazen – spiega – non sarà in grado di inviare una considerevole forza di sicurezza nell’enclave. L’idea è piuttosto che l’ala armata di Hamas prometta fedeltà al governo di unità palestinese. Ma Abu Mazen non si fa illusioni: conosce bene i limiti”. Secondo Kuperwasser, “la lezione per Israele è che non deve lasciarsi tentare dall’illusione che l’accordo Fatah-Hamas comporti meno terrorismo da Gaza”. Anzi, Gerusalemme “dovrebbe presentare alla comunità internazionale il caso del tunnel come prova di ciò che Hamas è e continuerà ad essere”. Kuperwasser conclude sottolineando i pericoli di una dinamica che a Gaza è in continua evoluzione: “Cosa sarebbe successo se l’Autorità Palestinese avesse già assunto la responsabilità sulla striscia e la Jihad Islamica avesse reagito alla distruzione del tunnel lanciando razzi su Israele? E se poi ci fosse stata un’ulteriore escalation dopo la risposta israeliana? Abu Mazen, preso nel mezzo, cosa avrebbe fatto in una situazione così ingestibile?”

(Da: Jerusalem Post, Times of Israel, 1.11.17)