Iran: quando l’Occidente ha gettato via le opzioni migliori

Ci siamo chiusi nell’angolo da soli quando abbiamo avviato le trattative facendo tre cruciali concessioni

By Alan Dershowitz

Alan Dershowitz, autore di questo articolo

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L’argomento più convincente che offre l’amministrazione Obama per promuovere quello che ammette essere un accordo di compromesso sul nucleare iraniano è questo: meglio l’accordo di tutte le alternative. Questa sorta di pragmatismo piace ai membri del Congresso, in particolare ai democratici scettici che sono alla ricerca degli argomenti per sostenere il loro presidente, e che sono abituati a votare per il minore dei mali nel mondo della real-politick dove le opzioni spesso sono male, peggio, ancora peggio e totalmente pessimo. Ma rimane la domanda: com’è che ci siamo ridotti in una situazione senza nessuna opzione positiva?

Lo abbiamo fatto quando abbiamo avviato le trattative facendo tre importanti concessioni. In primo luogo, abbiamo tolto di mezzo l’opzione militare dichiarando pubblicamente che non è militarmente possibile porre termine in modo definitivo al programma di armamento nucleare iraniano.

In secondo luogo, abbiamo tolto di mezzo il duro regime sanzionatorio in atto quando abbiamo ammesso che, se non avessimo accettato un accordo, molti dei nostri partner più importanti avrebbero iniziato autonomamente a ridurre, se non addirittura a cancellare, le sanzioni.

“Stavamo giocando a scacchi con il popolo che ha inventato gli scacchi…”

Terzo, e più importante, abbiamo tolto di mezzo la possibilità di respingere l’accordo riconoscendo pubblicamente che se lo avessimo fatto ci saremmo trovati in una posizione peggiore di quella in cui ci saremmo trovati accettando un accordo anche molto discutibile. E’ vero, il presidente Obama ha detto che non avrebbe accettato un “brutto accordo”, ma poi ha ripetutamente annacquamento la definizione di “brutto accordo” affermando a più riprese che l’alternativa ad un accordo sarebbe stata comunque disastrosa, portando in questo modo gli iraniani a concludere che noi avevamo bisogno di fare l’accordo più di quanto ne avessero bisogno loro (che pure erano stati costretti dalle sanzioni ad accettare la trattativa).

Queste tre concessioni hanno lasciato i nostri negoziatori con ben poche carte in mano, mentre offrivano alla controparte iraniana lo stimolo a pretendere da noi ogni possibile ulteriore compromesso. Il risultato è che ci siamo chiusi da soli nell’angolo. Per dirla con le parole di Danielle Pletka dell’American Enterprise Institute: “L’accordo in sé è diventato più importante di quello che l’accordo conteneva”. Una valutazione che lo stesso presidente Obama sembra confermare quando dice: “In parole povere, niente accordo significa maggiore probabilità di guerra in Medio Oriente”. Solo il tempo ci dirà se questo accordo avvicina o allontana la guerra. Ma una cosa è chiara: comunicando questa secca alternativa a negoziatori iraniani, abbiamo indebolito la nostra posizione negoziale. Le conseguenze saranno una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente e una maggiore probabilità di guerra.

Intanto in Iran… “E questo cos’è?” – “Il missile della pace! Una volta lanciato, non ci saranno più guerre con Israele!”

La verità è che ci sono sempre state delle alternative, anche se sono diventate sempre meno realistiche man mano che progredivano i negoziati. Avremmo potuto attenerci sin dall’inizio alle nostre originali linee rosse, o richieste non negoziabili. Tra queste, le ispezioni immediate in ogni impianto anziché concedere un preavviso di quasi un mese che permetterà agli iraniani di nascondere ciò che stanno facendo; la chiusura di tutti gli impianti specificamente destinati alla produzione di armi nucleari; il mantenimento dell’embargo su missili e altre armi sofisticate anziché accettare che tale embargo venga gradualmente tolto; e poi, elemento cruciale, una garanzia scritta che la comunità internazionale non permetterà mai all’Iran di sviluppare un arsenale nucleare. L’assortimento attualmente accettato di scadenze indeterminate e variabili permetterà agli iraniani di credere, e proclamare, che presto il loro avventurismo nucleare sarà libero da qualunque vincolo. Se invece abbiamo ceduto presto e molto è perché gli iraniani sapevano che avevamo un disperato bisogno dell’accordo: per implementare la visione del mondo del presidente Obama e ingrandire il suo lascito futuro.

Questo approccio alla trattativa – cedere le proprie carte sin dall’inizio – ha violato i principi basilari di qualunque trattativa bilaterale. Stavamo giocando a scacchi con il popolo che ha inventato gli scacchi, e il loro ayatollah a dato scacco matto al nostro presidente.

Ma i veri sconfitti sono quei paesi nostri alleati che non hanno neppure potuto partecipare ai negoziati. Praticamente tutti i leader del Medio Oriente, ad eccezione del siriano Assad, sono contrari a questo accordo. Né vi si sentono vincolati, dal momento che non hanno avuto modo di votarlo. L’accordo è stato loro imposto, più o meno come venne imposto alla Cecoslovacchia nel 1938 l’accordo Chamberlain-Hitler. La differenza è che la Cecoslovacchia non aveva i mezzi per difendersi, mentre Israele e alcuni dei suoi vicini sunniti hanno le capacità per cercare di impedire all’Iran di sviluppare un arsenale nucleare che i mullah userebbero per accrescere la loro egemonia su tutta l’area e minacciare la sicurezza di Israele (e non solo di Israele) attraverso i suoi surrogati Hezbollah e Hamas: gruppi che diventerebbero ancora più aggressivi sotto la protezione di un ombrello nucleare iraniano.

Ecco perché l’effetto finale di questo accordo lacunoso potrebbe proprio essere, per parafrasare le parole del presidente Obama, “una maggiore probabilità di guerra in Medio Oriente”. Churchill previde correttamente che l’accordo di Chamberlain con Hitler avrebbe portato alla guerra. Possiamo solo sperare che l’accordo con l’Iran, fondato su negoziati viziati in partenza, non finisca col produrre una catastrofe analoga.

(Da: Jerusalem Post, 22.7.15)