Israele – 60 anni: Rientro degli espatriati

Suscita dibattito in Israele un provvedimento adottato alla vigila del 60esimo anno d’indipendenza

M. Paganoni per NES n. 10, anno 19 - dicembre 2007

image_1940Quello degli yordim, gli ebrei espatriati da Israele, è da sempre un tema delicato che tocca nervi scoperti: una scelta di vita che sembra contraddire le fondamenta stesse dell’ideologia sionista ripropone inevitabilmente l’eterno problema dei rapporti fra diaspora e Israele.
Per questo non stupisce la vivacità delle reazioni suscitate in Israele da un progetto relativamente marginale, approvato dal governo ai primi di dicembre su proposta del ministro per gli immigrati Ya’akov Edri: concepito nel quadro delle iniziative per il 60esimo anniversario dell’indipendenza, consiste in una serie di benefici ed incentivi economici pari a 150 milioni di shekel (26 milioni di euro) per favorire il rientro degli israeliani residenti all’estero da non più di due anni.
Difficile dire quanti siano. Secondo recenti stime, gli israeliani all’estero sarebbero circa 700.000: 60% in Nord America, 25% in Europa, 15% nel resto del mondo. Ma quelli espatriati da meno di due anni non dovrebbero superare i 12.000. Per spingerli a rientrare (nel corso del 2007 sono rientrati spontaneamente solo in 4.000), il governo ha deciso di condonare imposte e contributi arretrati, erogare prestiti per nuove attività commerciali, attivare una speciale unità per il collocamento in importanti aziende israeliane.
“Condonare le sanzioni agli espatriati è una buona idea indipendentemente dall’obiettivo di riportarli a casa – commenta un editoriale del Jerusalem Post (9.12.07) – Va bene anche offrire incentivi a chi vuole davvero tornare. Ma tutto l’entusiasmo attorno a questa iniziativa non può nascondere il fatto che il governo sta facendo troppo poco e troppo tardi, dimostrando di non capire le vere difficoltà economiche che hanno spinto gli yordim a partire, né le crisi di identità che devono affrontare all’estero”.
“Gli incentivi economici non sono il fattore decisivo per far rientrare gli espatriati – rincara Moshe Ben-Atar, capo dell’Israel Zionist Council, ramo israeliano dell’Organizzazione Sionista Mondiale – Sforzi e denari dovrebbero essere impiegati piuttosto per incoraggiare l’identità ebraica e i legami fra i figli di yordim e Israele. Chi viene in Israele non lo fa per piccoli vantaggi economici, ma per ritrovare legami familiari, con la terra, con il popolo d’Israele. Bisogna investire nell’educazione ebraica in diaspora e promuovere viaggi di giovani in Israele”. Insomma, incentivi culturali e identitari più che economici.
“In realtà – replicano dal ministero – molti israeliani espatriati sono ottimi sionisti. Non li si può descrivere tutti come gente dai fragili legami con Israele. Molti di loro servono nell’esercito e contribuiscono al paese anche dall’estero. Il motivo per cui sono partiti non è un difetto di identità: in un mondo globalizzato, il semplice desiderio di tornare a casa non basta più”.
Ecco perché, prosegue il ragionamento, insieme agli appelli emotivi e al rafforzamento del senso di appartenenza, bisogna offrire anche concrete opportunità sul piano del lavoro e della sicurezza. D’altra parte, a ben vedere, la sintesi fra idealismo e pragmatismo è sempre stata la cifra caratteristica del movimento sionista.