Israele saluta il suo enfant terrible

Condottiero eroico e controverso, seppe individuare il nuovo elettorato trasversale israeliano: favorevole alla pace a due stati, ma senza compromessi sulla sicurezza

Commenti dalla stampa israeliana

Gerusalemme, di fronte alla Knesset, 12 gennaio 2014

Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «Ariel Sharon è morto come è vissuto: fuori dal consueto, sfidando ogni aspettativa, deviando dai piani. Per otto anni ha ricevuto assistenza medica 24 ore al giorno a causa del devastante ictus subito nel 2006. Ma quando i medici hanno detto che era sul punto di morire, il suo corpo aveva altri piani. Solo dopo che i più brillanti medici erano ormai diventati materia per comici e vignettisti, ha esalato il suo ultimo respiro. I suoi 85 anni potrebbero riempire due voluminose biografie, assai diverse fra loro, per raccontare le sue azioni, i suoi successi, le sue lacune e i suoi errori. Quasi ogni passo che ha compiuto nella sua vita militare e civile ha suscitato polemiche e generato aspri contrasti. Due immediati successori di Moshe Dayan, Haim Laskov e Tzvi Tzur, fecero in modo che Sharon non venisse promosso. Solo dopo che Yitzhak Rabin divenne capo di stato maggiore, la carriera militare di Sharon iniziò a decollare. E divenne leggendaria dopo la battaglia di Abu-Ageila, quando le sue truppe sconfissero le forze egiziane nel Sinai durante la guerra dei sei giorni 1967. Poi fu una sorta di mentore di un’ampia opera di insediamento in Giudea e Samaria. Ma fu anche il comandante in capo dello smantellamento degli insediamenti: dal Sinai, prima, da Gaza poi. Come risultato di questa dicotomia, si era fatto acerrimi nemici ad entrambe le estremità dello spettro politico israeliano». (Da: Israel HaYom, 12.1.14)

Ariel “Arik” Sharon, 1928-2014

Scrive l’editoriale del Jerusalem Post: «Con la morte di Ariel Sharon, sabato scorso, lo stato di Israele ha perso una delle figure più carismatiche, colorite e influenti della sua storia, una personalità che, lungo tutta le fasi della sua carriera, non ha mai cessato di suscitare agitazione e polemiche anche rancorose. Nondimeno, sebbene talvolta malvolentieri, si è sempre meritato l’affetto riservatogli come a un autentico figlio di questa terra, un normale “sabra” (ebreo nato in Terra d’Israele) e un eroe popolare, sempre indicato col suo nomignolo Arik. Arik fu considerato un piantagrane sin dai suoi primi giorni di scuola, nel moshav (villaggio cooperativo) di Kfar Malal, poi nel servizio militare come giovane ufficiale della Brigata Alexandroni durante la Guerra d’Indipendenza e come comandante dell’Unità 101, che inaugurò le missioni antiterrorismo oltreconfine del giovane stato. Le sue prodezze gli valsero contemporaneamente complimenti e critiche, in particolare dall’allora primo ministro David Ben-Gurion. Sharon si guadagnò la gloria con la temerarietà delle sue imprese nella campagna del Sinai (1956) e nella guerra dei sei giorni (1967), nonostante non siano mai mancati detrattori che avevano da ridire stando “a bordo campo”.

Nel Sinai, 1973

Nel Sinai, 1973

Questo crescendo raggiunge l’apice durante la guerra dello Yom Kippur (1973), quando le sue forze attraversarono il Canale di Suez, tra aspri scontri con gli altri generali, contribuendo a ribaltare le corti di quel conflitto. Fu altrettanto combattivo nella vita politica. Dapprima membro del partito socialista Mapai, entrò successivamente nel partito liberale e fu uno degli artefici della sua fusione con il Herut per formare il Likud. Pur essendo stato eletto alla Knesset nella lista Likud, Sharon ben presto la lasciò per diventare consigliere alla difesa di Yitzhak Rabin. Creò poi la formazione Shlomzion, destinata ad avere breve durata per essere rapidamente riassorbita nel Likud. Come ministro dell’agricoltura, nel governo di Menachem Begin, promosse come mai prima d’allora gli insediamenti nei territori conquistati. Ma poco dopo, negli 1981-1983, come ministro della difesa diresse lo sgombero del Sinai (restituito all’Egitto) compresa la demolizione di molti insediamenti che lui stesso aveva sostenuto. Durante la prima guerra del Libano (1982) si ritiene che, come ministro della difesa, abbia raggirato il primo ministro Begin sui veri obiettivi della campagna e, dopo la strage di palestinesi nei campi di Sabra e Shatila per mano di milizie cristiano-libanesi, fu censurato da una commissione d’inchiesta israeliana e rimosso dall’incarico. Sharon ha vinto la leadership del Likud dopo la sconfitta elettorale di Binyamin Netanyahu nel 1999 e la visita che fece al Monte del Tempio nel settembre 2000, accampata da molti come causa, o pretesto, per lo scoppio della seconda intifada. Al momento in cui Sharon divenne primo ministro, nel 2001, iniziarono a trapelare accuse sul suo conto circa illegali contributi elettorali. Le accuse di corruzione spuntavano come funghi quando, nel 2003, lanciò nell’arena politica la “bomba” del disimpegno, annunciando l’intenzione di procedere a un completo ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza. Sharon promosse un referendum interno nel partito Likud sul ritiro da Gaza, ma lo perse e decise di lasciare il partito il Likud per fondare il partito di centro Kadima. Quindi portò a compimento il disimpegno da Gaza, nell’estate 2005, cosa per cui ancora oggi viene vivacemente accusato di tradimento da alcuni settori della destra. In un certo senso, anche quella sorprendente svolta era tipicamente sua. Tutta la sua vita sotto i riflettori è stata piena di evidenti contrasti  e di mosse spesso inaspettate, per alcuni francamente avventate, in aperta sfida all’establishment e alle autorità. Il disimpegno da Gaza, pochi mesi prima del catastrofico ictus, fu probabilmente la sua mossa più audace, per qualità e dimensioni. Eppure Sharon rimane un personaggio quasi unico, se considerato nella sua coerente indisciplina verso i poteri costituiti e la sua imperiosa forza di volontà. Nonostante i suoi eccessi e la sua condotta indocile, indipendentemente da quante volte abbia infranto le regole, in un modo o nell’altro Sharon ha mantenuto il fascino dell’enfant terrible prediletto dalla nazione. Forse proprio perché in diversi frangenti ci sono state versioni di Sharon molto diverse fra loro, quasi tutti gli israeliani possono trovare una fase della vita di Arik di cui sentiranno la mancanza». (Da: Jerusalem Post, 12.1.14)

Con David Ben-Gurion

Scrive Nadav Eyal, su Maariv che Sharon venne soprannominato il “bulldozer” non perché calpestasse tutto e tutti, ma perché era un uomo d’azione, uno che faceva quel che andava fatto. «Se Sharon è stato grande in qualcosa, è stato in questo: sapeva decidere e agire di conseguenza. Era in grado di muovere grandi progetti, sia che si trattasse delle operazioni nella guerra dello Yom Kippur o nella guerra in Libano, sia dell’ampliamento di costruzioni per le ondate di immigrazione come quella dalla Russia, sia delle altre cose che ministri e primi ministri devono far succedere. Sharon non aveva paura di fare, e di assumersi responsabilità. Sapeva quando tirare un pugno sul tavolo e quando impiegare sofisticate leve per ottenere risultati. Era un rampollo del Mapai, come non hanno mai smesso di sospettare quelli del Likud. E si merita il massimo elogio che si possa fare a un rampollo del Mapai: era un uomo d’azione». (Da: Israel HaYom, 12.1.13)

Con Moshe Dayan

Ha’aretz ricorda le varie controversie che hanno circondato la figura di Sharon e i necrologi pubblicati sul giornale rievocano soprattutto i suoi momenti meno gloriosi. Yossi Verter lo definisce l’ultimo vero leader israeliano, ma ricorda ai lettori che era anche un imprenditore che ha sempre pensato anche ai suoi interessi. E aggiunge: «Prima di essere eletto primo ministro, Sharon era stato ministro di alto rango per molti anni, anche agli esteri e alla difesa. Cosa c’era dunque che non sapesse già in anticipo, quando passò da esortare i coloni a demolire gli insediamenti? La risposta è semplice: finché non raggiunse il top, non fu disposto a lasciare che altri primi ministri, fossero essi Shimon Peres o Benjamin Netanyahu, intraprendessero azioni decisive sulle questioni arabo-israeliane: non si fidava di nessuno, solo di se stesso». (Da: Ha’aretz, 12.1.14)

Scrive Boaz Bizmuth, su Israel Hayom: «Vi sono alcuni che preferiscono l’Ariel Sharon che ha fondato il Likud, altri l’Ariel Sharon che quasi lo distrusse. Alcuni preferiscono il falco, altri la colomba che decise il disimpegno da Gaza. Alcuni ricordano con piacere l’eroe della guerra dei sei giorni e della guerra di Yom Kippur, altri non gli hanno mai perdonato la conduzione della guerra in Libano dell’82. Ogni cittadino israeliano, chi di più e chi di meno, svolge un ruolo nel successo di questo paese, molti semplicemente vivendo qui. Sharon vi ha svolto un ruolo enorme». (Da: Israel HaYom, 12.1.14)

Sul campo di battaglia di Latrun, dove venne gravemente ferito nella guerra d’indipendenza del 1948

Scrive Omer Benjakob, su YnetNews: «Nel 2001, a intifada scoppiata e con il Likud sotto il suo controllo, il generale Sharon stravinse contro Ehud Barak in elezione dirette: era ancora la personificazione della destra israeliana apertamente contraria alla formula “terra in cambio di pace”. Ma dopo due anni di feroce e sanguinosa intifada, Sharon iniziò a promuovere il suo piano per il disimpegno dalla striscia di Gaza. Un piano che non era di destra, perché prevedeva lo smantellamento degli insediamenti, e non era di sinistra, perché prevedeva un disimpegno unilaterale dai palestinesi: il taglio di un avariato cordone ombelicale anziché una trattativa. Contro ogni previsione, e nonostante una grave crisi interna all’interno del Likud, il piano venne attuato nell’agosto del 2005 e ottomila israeliani furono rimossi da Gaza. Com’era a quel punto prevedibile, Sharon lasciò il Likud per creare un nuovo partito, Kadima. Aveva capito che non avrebbe potuto realizzare la sua visione per la regione attraverso il Likud, ma nemmeno col partito laburista che disprezzava e dal quale era altrettanto disprezzato. Sharon creò dal nulla un partito di centro. Certamente non il primo, in Israele; ma Kadima riuscì dove altri avevano fallito, superando le tradizionali divisioni politiche ed etniche e raccogliendo una elettorato fino a quel momento sotto-rappresentato a destra e a sinistra sia in termini di economia che di sicurezza. Sull’onda dell’influenza politica e militare di Sharon, Kadima riuscì a presentare un’alternativa alla classica divisione sinistra-destra, permettendo alla classe media di votare a favore di una soluzione” a due stati” senza compromessi sulla sicurezza: una sorta di “falchi pro-accordo di pace”. Sicché Sharon, l’uomo che si era sempre aperto la strada da sé, fece tesoro della crisi di rappresentanza promuovendo una nuova posizione politica in Israele, svincolata dalle pressioni internazionali ma anche dalle pretese messianiche. Kadima non ha saputo replicare il suo primo successo, dopo l’uscita di scena di Sharon. Ma il (modesto) successo del partito HaTnuà Tzipi Livni e la massiccia affermazione del partito Yesh Atid di Yair Lapid confermano che esiste un gran numero di israeliani ancora in cerca di una casa politica. Quei partiti competono per un elettorato che è tutto opera di Sharon». (Da: YnetNews, 12.1.14)