Isteria anti-israeliana

Gridano nelle piazze “Palestina libera”. E la libertà per i palestinesi?

Da un articolo di Pilar Rahola

image_2376“Capisco che vogliate spazzarci via dalla carta geografica, solo non aspettatevi che vi aiutiamo a farlo”. Il fatto che questo antico concetto – contenuto in una frase indirizzata dalla caustica Golda Meir alla dirigenza palestinese – sia ancora rilevante oggi dà il senso delle dimensioni della tragedia patita in Terra Santa da così tanti decenni. In effetti è la stessa idea – battersi incessantemente per impedire la progettata distruzione di Israele – che sta alla base della drammatica decisione militare fatta dal governo israeliano, decisione che ancora una volta ne ha fatto il bersaglio dell’ira di tanti in tutto il mondo.
Come ha detto di recente lo storico Joan B. Culla, vi possono essere molte diverse reazioni alla controffensiva delle Forze di Difesa israeliane nella striscia di Gaza, e alcune di queste sono legittimamente critiche. Ma, vista l’abbondanza di reazioni isteriche prive di qualunque parvenza di riflessione razionale bensì piene di manicheismo e di pregiudizi, si impone qualche interrogativo.
Ari Shavit ha scritto di recente su Haaretz (1.01.09) che l’operazione a Gaza è una campagna “giusta” ma anche “tragica”. Dissento dal termine “giusta”. Come disse Golda Meir, “noi non vogliamo la guerra, neanche quando la vinciamo”. Un’incursione militare che provoca centinaia di morti non può mai essere considerata “giusta”, anche se mira alla distruzione della macchina militare di Hamas.
Forse però può essere considerata inevitabile. Forse per questo, in Israele, anche la sinistra pacifista ha preso una posizione prudente.
La decisione di attaccare Hamas è stata presa da una società israeliana esausta, esasperata per l’impossibilità di trovare una vita d’uscita (dopo il fallimento di negoziati, concessioni, ritiri) né un motivo di speranza. Ed esasperata per la consapevolezza che l’altra parte tenta instancabilmente di realizzare il suo sogno: la distruzione di Israele.
Ed ecco allora gli interrogativi, rivolti in particolare a coloro che, nelle città europee, scendono in piazza con i cartelli che proclamano il loro odio per Israele (molti dei quali, per la verità, sono i soliti noti, rivoluzionari in pantofole sempre pronti a levare i pugni contro Israele, oggi in imbarazzante connubio con vari ambienti dell’estremismo islamista fondamentalista).
Costoro scendono in strada proclamandosi a favore della libertà della Palestina. Ma sono anche per la libertà dei palestinesi?
Dove erano negli anni scorsi, mentre montava il mostruoso fenomeno del fondamentalismo che – dopo essersi imposto col massacro dei suoi avversari interni – oggi opprime la società palestinese nella striscia di Gaza?
Cosa ha a che fare Hamas con la libertà? Non ha piuttosto molto a che fare con l’islamismo jihadista di tendenza nazi-fascista?
Si difende la libertà dei palestinesi addestrando i bambini a commettere attentati suicidi? schiavizzando le donne?
Si difende la libertà difendendo l’Iran, che appoggia Hamas anche finanziariamente? Cosa ha a che fare la libertà con i terroristi Hezbollah?
Coloro che protestano nelle strade dicono anche di farlo per “solidarietà”. Bene, solidarietà con chi? Con Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il presidente dell’Autorità Palestinese, che è stato il primo ad attribuire a Hamas la responsabilità di questo conflitto, e che critica la controffensiva israeliana con molta più misura e razionalità di quanto non facciano i manifestanti europei con quei cartelli?
Solidarietà con i palestinesi, che non sono esattamente felici di vedere gli aiuti internazionali sequestrati da Hamas e usati per costruire eserciti e preparare attacchi? Ci si domanda davvero dove finiscono quei fondi?
Solidarietà con i palestinesi significa difendere i terroristi e giustificare Hamas e le sue aggressioni? La pace si difende sostenendo i capi palestinesi che nella pace non credono, e lo dichiarano apertamente?
Certo che è più facile schierarsi contro Israele. Certo che la maggior parte della gente, di fronte a realtà complesse, preferisce il semplicismo dei “forti e cattivi” contro i “buoni e deboli”. Ma i dati di fatto sono testardi. E i dati di fatto dicono che Israele si è ritirato dalla striscia di Gaza lasciandosi dietro strutture economiche funzionanti, che Hamas ne ha fatto terra bruciata, e che ha approfittato del ritiro per approntare un esercito votato alla distruzione. E che, migliaia di missili dopo, continua a farlo.
Fu assordante il silenzio di questi manifestanti durante i lunghi anni in cui, non il blocco dei confini (a sua volta una conseguenza), bensì il regime golpista instaurato da Hamas portava alla rovina la striscia di Gaza.
Ciò che avviene a Gaza è una tragedia. Ma è una tragedia che non è iniziata con la controffensiva israeliana. Dare la colpa a Israele è comodo e semplice, ma inutile. Giacché il principale nemico, i palestinesi, ce l’hanno al loro interno.

(Da: Haaretz, 14.01.09)