Kerry, l’inutile profeta di sventura

Gli avvertimenti minacciosi che il Segretario di Stato Usa manda a Israele corrispondono esattamente alle minacce dell’Autorità Palestinese

Editoriale del Jerusalem Post

Il Segretario di Stato Usa John Kerry e il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Il Segretario di Stato Usa John Kerry e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

L’atteggiamento del Segretario di Stato americano John Kerry nei confronti di Israele è sempre stato da Cassandra: dispensa profezie di sventura e di disastro, ma riferite sempre e solo a Israele.

L’ultima della lunga litania di fosche previsioni di Kerry è l’avvertimento che l’Autorità Palestinese non potrà sopravvivere se Israele continuerà a trattenere le entrate fiscali riscosse dai palestinesi per conto di Ramallah. “Se l’Autorità Palestinese – ha detto Kerry in una conferenza stampa a Londra – dovesse cessare la cooperazione sulla sicurezza o persino decidere di sciogliersi a causa della situazione economica, cosa che potrebbe accadere nel prossimo futuro se non riceveranno nuovi fondi, allora ci troveremmo di fronte a un’altra crisi che potrebbe avere un notevole impatto sulla sicurezza di palestinesi e israeliani e innescare potenzialmente gravi effetti a catena in altre parti della regione”. Kerry non ha creduto di dover spendere una sola parola sul perché Gerusalemme ha deciso di congelare i fondi in questione: come se Israele avesse agito di punto in bianco per puro capriccio. Ne consegue che Israele dovrebbe assumersi la totale responsabilità delle eventuali conseguenze negative di scelte che vengono descritte come arbitrarie e ingiustificati. Ignorandone le cause, Kerry fa capire che, agli occhi di Washington, l’Autorità Palestinese è immune da errori, mentre Israele è quello che si rifiuta volutamente di fare le cose giuste (cioè, giuste secondo la definizione dell’amministrazione Obama).

Questo atteggiamento non fa che incoraggiare Abu Mazen ad accrescere le sue provocazioni, come la decisione di aderire alla Corte Penale Internazionale per avviare un procedimento per crimini di guerra contro Israele (per ironia della sorte, proprio in questi giorni l’Autorità Palestinese è stata trovata colpevole di terrorismo da un tribunale federale americano). In realtà Israele ha congelato il trasferimento delle entrate fiscali solo dopo che aveva tentato invano di dissuadere il suo presunto interlocutore negoziale a desistere dai suoi stratagemmi ostili.

La sentenza della corte federale degli Stati Uniti che ha condannato la dirigenza palestinese per le sue responsabilità nelle stragi terroristiche in Israele

La prima pagina della sentenza della Corte federale degli Stati Uniti che ha condannato la dirigenza palestinese per le sue responsabilità nelle stragi terroristiche in Israele

Ramallah non usava il gettito fiscale per pagare gli enormi debiti che ha accumulato per le forniture di acqua ed elettricità che riceve da Israele. La Israel Electric Corporation è esposta per 1,9 miliardi di shekel verso l’Autorità Palestinese. Evidentemente Kerry si aspetta che i contribuenti israeliani continuino a pagare le bollette dell’Autorità Palestinese mentre l’Autorità Palestinese cerca di trascinare Israele davanti a un tribunale internazionale accusandolo di crimini di guerra e contro l’umanità.

Kerry non ha ritenuto di rimproverare ad Abu Mazen le mosse che hanno fatto affondare i negoziati di pace: dal cercare il riconoscimento internazionale dello stato palestinese aggirando i negoziati, al lancio di campagne di boicottaggio diffamando Israele per ostracizzarlo oltre ogni misura. E ora Abu Mazen minaccia anche di sciogliere l’Autorità Palestinese e di interrompere la cooperazione sulla sicurezza con Israele.

Kerry ha ritenuto di lasciar stare Abu Mazen. E la cosa sconcertante è che gli avvertimenti minacciosi che il Segretario di Stato manda a Gerusalemme corrispondono esattamente alle minacce di Ramallah. In passato Kerry aveva ammonito Israele che la mancanza di progressi con i palestinesi avrebbe scatenato contro Israele boicottaggi, ostracismo e ulteriori ondate di terrorismo. In occasione dell’ultima cerimonia alla Casa Bianca per la festa musulmana di Id al-Adha, Kerry aveva espresso il timore che il conflitto israelo-palestinese (cioè la lotta dello stato ebraico per la propria sopravvivenza) rafforzasse il richiamo di massa dell’estremismo islamista. “Durante i nostri colloqui per raccogliere la coalizione anti-ISIS – aveva affermato – non ho incontrato un solo leader mediorientale che non abbia sollevato di propria iniziativa la necessità arrivare a una soluzione del conflitto tra Israele e palestinesi, indicato come una causa di reclutamento e di eversione”.

Sicuramente Kerry parla con lo spirito di un amico che avverte un amico, ma il sotto-testo nemmeno troppo nascosto è che in qualche modo la colpa per tutto ciò che affligge l’intero Medio Oriente ricade su Israele e sulla sua lotta per difendersi. Questo è il tono che ha continuato a usare anche questa settimana.

Kerry dovrebbe piuttosto opporsi ad Abu Mazen e sfidare senza ambiguità l’attitudine dell’Autorità Palestinese a gettare ogni colpa su Israele. Dovrebbe dire ad Abu Mazen che le sue provocazioni contraddicono nei fatti le professioni di pace, e che la martellante denigrazione d’Israele smentisce il concetto stesso di accettazione reciproca e convivenza. Fino a che non lo farà, Kerry resterà un inascoltato profeta di sventura.

(Da: Jerusalem Post, 26.2.15)