La capitolazione di Obama

Nei confronti dell'islamismo estremista ha scelto fin dall'inizio un percorso di appeasement che non ha funzionato

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Neville Chamberlain non era né anti-europeo né antisemita. Firmò l’accordo di Monaco del 1938 con Adolf Hitler nella ferma convinzione che fosse la cosa migliore per evitare la guerra in Europa. Barack Obama non è Chamberlain, non è neanche anti-israeliano e certamente non è antisemita.

Ma fin dall’inizio ha scelto un percorso di appeasement nei confronti dell’islamismo estremista, sia sunnita che sciita. Il suo discorso da adulatore del 2009 al Cairo, all’inizio della sua presidenza, non ha funzionato. Al culmine della crisi dell’estate 2014 a Gaza, quando abbiamo assistito alla nascita di due assi – l’asse pro-Hamas Turchia-Qatar e l’asse Egitto-Arabia Saudita leggermente più moderato – il governo degli Stati Uniti ha optato per quello pro-Hamas. In quei giorni John Kerry venne quasi cacciato dal Cairo.

Il logo degli Houthis yemeniti. Vi si legge: “Dio è grande, morte all'America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l'islam”

Il logo degli Houthi yemeniti. Vi si legge: “Dio è grande, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l’islam”

La situazione non è diversa per quanto riguarda il regime degli ayatollah in Iran. In maggiore o minor misura, l’Iran controlla oggi quattro stati arabi: l’Iraq, la Siria, il Libano e, più recentemente, lo Yemen. L’insegna degli Houthi sostenuti dall’Iran nello Yemen contiene le parole “morte all’America”, oltre naturalmente alle parole “morte a Israele” . E il regime iraniano continua a organizzare adunate anti-americane sotto lo slogan “morte all’America”, anche se Obama si rifiuta di cogliere il messaggio.

Gli Stati Uniti hanno subìto ripetuti fallimenti in Medio Oriente, negli ultimi anni. Turchia, Arabia Saudita ed Egitto sono furibondi o pieni di disprezzo per Washington, e non per gli stessi motivi. Solo il Qatar, che nel corso degli ultimi anni è diventato una base del jihadismo estremista, si trova a proprio agio con l’amministrazione americana. E quando quella stessa amministrazione vieta ai suoi funzionari di pronunciare le parole “terrorismo islamico”, capisco che allora non esiste nemmeno l’estremismo sciita (quello al potere in Iran).

Non bisogna spingere gli Stati Uniti in un conflitto o in una guerra. Al contrario. Le sanzioni hanno funzionato, costringendo l’Iran a scendere a patti e fare concessioni. Ma non appena è venuto a galla che Obama è contrario a insistere con le sanzioni, Teheran ha puntato più forte i piedi. Il risultato è un accordo che rischia di essere una vergogna, qualcosa di molto simile a una capitolazione.

Il problema non è che venga fatta cadere una bomba atomica su Israele. Il problema è che l’Iran diventi una potenza regionale. Dopo l’accordo di Monaco, Winston Churchill disse che l’Inghilterra aveva scelto la vergogna e aveva avuto la guerra. Gli Stati Uniti hanno scelto vergogna. Si può solo sperare e pregare che ciò non porti alla guerra.

(Da: i24news, 3.3.15)