La corsa di Olmert contro il tempo

I ministri Livni e Barak sono contrari a un accordo temporaneo

Da un articolo di Aluf Benn

image_2237Alla vigilia delle sue preannunciate dimissioni, il primo ministro israeliano Ehud Olmert sta compiendo uno sforzo estremo per cercare di concludere uno “shelf agreement” (accordo temporaneo la cui attuazione può essere posticipata) con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen).
Olmert non ha abbastanza tempo per condurre negoziati sui dettagli, né lo considera necessario. Per questo ha sottoposto ad Abu Mazen una proposta di accordo sui principi fondamentali che dovrebbero presiedere alla nascita dello stato palestinese. Ora la palla è nella metà campo di Abu Mazen.
Olmert si sta battendo su due fronti: da una parte con Abu Mazen, che è riluttante ad accettare la sua proposta; dall’altro con il suoi ministri Tzipi Livni e Ehud Barak (rispettivamente agli esteri e alla difesa), che mettono in guardia dall’arrivare in fretta e furia a un accordo dell’ultimo minuto.
Ma il primo ministro israeliano non ha nulla da perdere. Se, come ci si aspetta, non riuscirà a far accettare la sua proposta ai palestinesi, potrà sempre dire d’aver tentato fino all’ultimo e sostenere che lascia al suo successore una bozza di accordo ragionevole. Se invece dovesse in qualche modo riuscire a far accettare l’accordo ad Abu Mazen, i suoi rivali si troverebbero in un bel dilemma: l’accordo riceverebbe sicuramente l’appoggio degli americani, e la Livni e Barak non hanno nessuna voglia di mettersi di traverso a Washington, né di passare per gli avversare di un accordo di pace. Kadima e partito laburista dovrebbero per forza sostenere l’accordo.
Questo è appunto il motivo per cui Barak e Livni non gradiscono la manovra di Olmert. Se Olmert fallisce, verranno considerati come i suoi partner nell’insuccesso. Se ce la fa, se ne andrà a casa celebrato come l’eroe dell’accordo raggiunto mentre a loro resteranno le gatte da pelare: proteste della destra, la coalizione a pezzi, una dura campagna elettorale contro il leader del Likud Benjamin Netanyahu che li dipingerebbe come quelli che hanno dato Gerusalemme a Hamas e trasformato Tel Aviv nella prossima Sderot.
Tzipi Livni dice che non c’è ragione di fare in fretta e che, piuttosto di un mezzo accordo, è meglio continuare coi negoziati per creare un meccanismo che permetta di proseguirli anche l’anno venturo. Barak dice che le distanze fra le posizioni delle parti sono ancora troppo grandi per poter arrivare a un accordo: i palestinesi pretendono un vero e proprio esercito, vorrebbero che Israele sgomberasse anche da Ariel e Ma’aleh Adumim, e si rifiutano di cedere sul cosiddetto “diritto al ritorno”. I suoi consiglieri avvertono che suscitare nei palestinesi aspettative destinate ad andare deluse li getterebbe ulteriormente nelle braccia di Hamas.
Olmert replica che Livni e Barak erano entrambi presenti, l’anno scorso, alla conferenza di Annapolis dove le parti si impegnarono a concludere un accordo entro la fine del 2008. Aggiunge che la sua proposta ad Abu Mazen non differisce di molto da quella avanzata da Barak nel 2000, e si dice convinto che sia meglio per Israele arrivare a un accordo finché Abu Mazen e George Bush sono ancora in carica (entrambi i mandati terminano nel gennaio 2009). Infine, Olmert sottolinea che in ogni caso l’attuazione del suo accordo non si compirebbe che fra una decina di anni. Nel frattempo Israele otterrebbe legittimazione internazionale e il sostegno di cui necessita per contrastare la rivendicazione del cosiddetto “stato bi-nazionale” (in pratica, la fine di Israele come stato ebraico).
Comunque, con o senza accordo, non è difficile prevedere che, salvo sviluppi internazionali al momento non prevedibili, Israele non lascerà la Cisgiordania nel corso del prossimo anno.

(Da: Haaretz, 1.09.08)