La deterrenza frenò Saddam. Ma frenerebbe l’Iran?

I documenti dimostrano che la paura dell’atomica ha salvato Israele

Da un articolo di Amir Oren

image_2061(…) La Special Means Division del ministero della difesa israeliano venne istituita nel 1991 dall’allora ministro della difesa Moshe Arens nel quadro degli insegnamenti tratti dalla Guerra del Golfo. Sullo sfondo v’erano le incertezze e i timori suscitati da due interrogativi: l’Iraq disponeva di armi chimiche o biologiche in grado di raggiungere Israele, su missili o aeroplani? E se le aveva, Saddam Hussein avrebbe deciso realmente di usarle?
Una dozzina d’anni più tardi, alla vigilia della guerra in Iraq del 2003, queste due domande tornarono a preoccupare Israele, ma le agenzie di intelligence non furono in grado di fornire risposte molto più precise di quelle date in precedenza. Nel frattempo, soprattutto nel 1998, Israele era stato a più riprese terrorizzato dalla minaccia delle armi di distruzione di massa irachene. A quel tempo Richard Butler, capo degli ispettori Onu, giunse a preannunciare pubblicamente che Saddam avrebbe molto probabilmente non avrebbe esitato a disseminare Tel Aviv di microbi letali.
L’enigma più difficile da sciogliere, in questo contesto, è capire il grado di efficacia della deterrenza, vale a dire quanto venga percepita la forza, israeliana o altrui, dai leader nemici. I documenti trovati in Iraq dopo l’invasione americana, che il Pentagono ha reso noti lo scorso marzo, e un’intervista trasmessa un paio di mesi fa dalla CBS all’agente George Piro dell’FBI, che interrogò Saddam Hussein dopo la sua cattura, mostrano che Saddam fu effettivamente dissuaso, durante entrambe le guerre. Il suo errore fu quello di convincersi di poter a sua volta dissuadere l’Iran, millantando il possesso di armi di sterminio, senza tirarsi addosso un intervento americano (si aspettava di subire solo qualche raid aereo, cosa che considerava del tutto tollerabile).
Per i primi cinque mesi di interrogatori Piro si trattenne dal sollevare il tema della deterrenza, per poi arrivarci solo indirettamente. Saddam gli rivelò che aveva deliberatamente creato la falsa percezione che disponesse di armi di distruzione di massa perché era convinto che la sua sopravvivenza dipendesse da questa percezione. Senza di essa, temeva, l’Iran avrebbe ripreso a combattere contro l’Iraq.
Uno dei cinque faldoni pieni di documenti sequestrati in Iraq contiene la trascrizione di una registrazione risalente al 1996. In essa, l’allora vice primo ministro iracheno Tariq Aziz riferiva a Saddam di una conversazione che aveva avuto con Rolf Ekeus, il predecessore di Butler a capo degli ispettori Onu. Le affermazioni di Aziz in quella conversazione riflettono fedelmente la politica di Saddam. Secondo i due iracheni, lo sviluppo da parte dell’Iraq di armi di distruzione di massa doveva servire a contrastare la superiorità numerica e il fanatismo suicida dei combattenti iraniani nel caso avessero invaso il territorio iracheno. Gli iracheni dicevano che, in altre guerre, sussistevano pur sempre dei limiti, vuoi per una più o meno tacita decisione delle parti in conflitto, vuoi per l’intervento delle superpotenze. Questo era il motivo, secondo loro, per cui ad esempio durante la guerra dei sei giorni (1967) le Forze di Difesa israeliane si erano fermate al Canale di Suez, a sud, e sulle alture del Golan, in vista di Damasco, a nord. Invece, dal punto di vista iracheno, l’Iran rivoluzionario era “fuori dal tempo e fuori dal mondo”, totalmente senza freni: non avrebbe avuto alcun limite sulla strada per Bassora e nemmeno per Bagdad. L’Iran non si comportava secondo alcuno standard di norme condivise e pertanto, per fermarlo, era legittimo anche il ricorso ad armi che violano le norme comunemente accettate.
Il concetto di norme condivise, per come veniva impiegato da Saddam e da Aziz, non comprendeva missili a testata convenzionale come quelli che l’Iraq lanciò su Israele (nel gennaio-febbraio 1991). E persino nella categoria delle “nome non condivise” bisognava distinguere tra armi chimiche – che in certe circostanze ritenevano di poter usare (come a Halabja nel 1988) – e armi biologiche, concepite invece per lo più come deterrente nei confronti di paesi che dispongono di armi altrettanto o ancora più minacciose.
Stati Uniti e Israele, diceva Saddam ai suoi consiglieri, hanno la bomba atomica. Se le armi biologiche venissero usate contro di loro, risponderebbero con le armi nucleari. Le armi biologiche dovevano dunque dissuaderli dal lanciare un eventuale primo colpo (first strike) nucleare. Allo stesso tempo, la potenza nucleare dei paesi nemici funzionava da deterrente verso l’Iraq, dissuadendolo dal far uso di armi biologiche.
La testimonianza di Saddam, come emerge da entrambe queste fonti, ci porta a due conclusioni.
Primo, la proliferazione nucleare in Medio Oriente dipende anche in buona misura dai rapporti di rivalità reciproca fra diversi stati islamici. Dunque, una rinuncia da parte di Israele alla sua (presunta) forza nucleare non impedirebbe di per sé la proliferazione.
Secondo, la convinzione di altri paesi che Israele disponga dell’arma atomica, e che in estreme circostanze sia disposto a usarla, funziona effettivamente da deterrente rispetto all’utilizzo da parte di quei paesi di armi chimiche o biologiche contro Israele.
Tutto questo significa che si può lasciare che l’Iran si doti di armi nucleari, dal momento che anch’esso le userebbe soltanto come fattore deterrente e non come effettiva arma d’attacco? Saddam avrebbe risposto di no, come anche gli attuali leader israeliani.

(Da: Ha’aretz, 26.03.08)

Nella foto in alto: 1991, la popolazione israeliana sotto l’attacco degli Scud iracheni