La difficile ricetta dell’anti-terrorismo

Dove ha sbagliato Obama e dove rischia di sbagliare Trump

Di Boaz Ganor

Boaz Ganor, autore di questo articolo

Mi occupo da 35 anni di anti-terrorismo e se mi chiedete se sia possibile sintetizzare in una frase tutto ciò che ho appreso in questi anni sul terrorismo, la risposta è sì: io la chiamo la “ricetta” del terrorismo. Qual è questa ricetta? E’ la combinazione di due fattori: motivazione e capacità operativa. Vale a dire che, quando c’è un certo gruppo di persone che ha la motivazione per compiere attentati terroristici e anche la capacità operativa per mettere in pratica tale motivazione, allora prima o poi avrà luogo un attacco terroristico o una campagna di attentati. Dalla ricetta del terrorismo possiamo dedurre qual è la ricetta dell’anti-terrorismo. E’ la stessa cosa: motivazione più capacità operativa. Il che significa che, se si vuole combattere in modo efficace il terrorismo, se si vuole vincere la guerra contro il terrorismo, bisogna diminuire la motivazione che dà vita al terrorismo e allo stesso tempo diminuire la capacità operativa dei terroristi.

Il problema è che è più facile a dirsi che a farsi. Perché? Perché se si vuole diminuire in modo efficace la capacità operativa dei terroristi, cosa si deve fare? C’è un solo modo: combatterli. E per combatterli li si uccide quando è necessario, li si arresta quando è necessario, si distruggono le loro basi e i loro depositi, si confiscano i loro fondi. In questo modo lo sforzo per contrastare la capacità operativa dei terroristi diventa efficace. Tuttavia, che piaccia o meno, tanto più si è efficaci nel fare questo, tanto più si incrementa la motivazione dei terroristi a vendicarsi. In letteratura noi lo chiamiamo “l’effetto boomerang” dell’anti-terrorismo.

Una squadra della Unità 217 (“Duvdevan”), il corpo d’élite delle Forze di Difesa israeliane famoso per le rischiose operazioni anti-terrorismo sotto copertura

Dunque, tenendo a mente questa ricetta possiamo cercare di rispondere alla domanda: qual è stata la politica delle ultime amministrazione americane a questo riguardo? Non mi soffermerò sull’amministrazione del presidente George W. Bush perché ovviamente essa, dopo gli attentati dell’11 settembre, si focalizzò sulla prima metà dell’equazione: contrastare la capacità operativa del terrorismo senza prestare molta attenzione o dare tanta importanza alla necessità di occuparsi di campagne contro le motivazioni e cose del genere. Direi che a quell’epoca fu del tutto naturale.

Il presidente Barack Obama ebbe invece un approccio differente. Obama si occupò in una certa misura della capacità operativa dei terroristi, ma vorrei mettere a fuoco specialmente la sua campagna contro la motivazione. A mio parere Obama identificò in modo corretto il punto quando disse: il problema non è l’islam, il problema è all’interno dell’islam. Il problema è con certi gruppi di persone nell’islam, una minoranza – i terroristi islamisti, jihadisti, salafiti e i loro sostenitori – che in realtà hanno travisato l’islam. Ebbene, io sarei anche d’accordo: penso che questo sia vero. Ma resta la domanda: che fare?

Obama ritenne che il fattore chiave fosse mobilitare i musulmani moderati affinché si opponessero a quella gente. E anche qui aveva ragione: questo è esattamente ciò che occorreva fare. Il problema è che la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Infatti Obama adottò un modus operandi che era, a mio parere, totalmente sbagliato: l’approccio contrito e rammaricato. Vale a dire: guai associare in qualunque modo il terrorismo all’islam, guai parlare di anti-terrorismo all’interno dell’islam. Mi è capitato di essere invitato alla Casa Bianca di Obama circa una anno e mezzo fa, in occasione di un vertice di capi di stato da tutto il mondo convenuti a Washington per un solo scopo: parlare di anti-terrorismo. Ma la parola anti-terrorismo non compariva nemmeno nel titolo del convegno, che era: “Contro l’estremismo violento”. Giacché l’idea era appunto: guai associare la parola terrorismo con qualcosa che possa anche lontanamente avere a che fare con l’islam.

Il Gran Mufti d’Egitto Shawki Allam: “Noi non abbiamo l’autorità di dichiarare infedeli quelli dell’ISIS”. Da: TV Sada Al-Balad (Egitto), 23 agosto 2017. Clicca l’immagine per il video MEMRI con sottotitoli in inglese

Ora, come ho detto prima, io condivido lo sforzo di mobilitare i musulmani moderati, che sono la vasta maggioranza dei musulmani, affinché si oppongano a quella pericolosissima tendenza all’interno dell’islam. Ma non lo si può fare in modo pavido e contrito, e senza mai nominare l’islam. Quello che si deve fare è esattamente il contrario. Bisogna rivolgersi esplicitamente al vasto pubblico generale dei musulmani, e in particolare ai leader religiosi, ai chierici, agli imam, e dire loro: in nome della vostra religione, in nome di quei principi che ripetete sempre a noi non-musulmani – che l’islam è religione di pace e clemenza, che il jihad non ha niente a che fare con il terrorismo, e noi vi vogliamo credere – in nome di tutto questo dovete impiegare ogni minuto della vostra vita a predicare questo concetto ai vostri fedeli. Siete voi che potete vincere questa guerra delle coscienze, non noi. Non possono vincerla gli israeliani, non possono vincerla gli americani, non possono vincerla gli ebrei e i cristiani. Solo i musulmani moderati possono vincerla. Ma voi musulmani moderati dovete impegnare tutte le vostre energie per farlo, e farlo in modo chiaro ed esplicito. Sia chiaro: non per fare un favore a noi, ma per salvare la vostra stessa religione dagli estremisti che se ne sono appropriati. Noi possiamo fare la nostrra parte, aiutarvi in ogni modo necessario. Ma il compito è vostro: è una cosa che dovete fare voi in quanto musulmani. Questo fu l’errore, a mio parere, che fece il presidente Obama – un errore enorme – adottando una politica diversa da questa e che infatti non ha dato risultati.

Passiamo ora al presidente Donald Trump. A mio parere, Trump ha capito il nodo di cui ho detto. Non necessariamente con le modalità e le analisi dello studioso, ma l’ha capito d’istinto. Ha intuito che c’era qualcosa di sbagliato: troppa “correttezza politica”, troppa polvere nascosta sotto al tappeto. Trump vuole cambiare questo approccio, e io penso che fa bene a cambiarlo. Ma la domanda è: Trump getterà il bambino con l’acqua sporca? Giacché sorgeranno grossi problemi se la sua amministrazione si rapporterà all’islam come se fosse un blocco compatto, ad esempio vietando ai musulmani di entrare negli Stati Uniti, e finirebbe con l’incrementare, anziché ridurre, la motivazione al conflitto. In pratica, cadrebbe nell’errore opposto a quello di Obama.

L’anti-terrorismo, come ho detto tante volte, è un’arte difficile. E se si vuole essere veramente efficaci bisogna essere capaci di mantenere questo delicato equilibrio fra le diverse politiche anti-terrorismo. Mi auguro sinceramente che questa amministrazione americana riesca a trovare questo difficile equilibrio.

(Da: intervento al 17esimo World Summit on Counter-Terrorism presso l’International Institute for Counter-Terrorism di Herzliya, Israele, 12.9.17)