La forza dei simboli

In Medio Oriente come in tv, contano più le immagini dei fatti

Da un articolo di Guy Bechor

image_2064Quando annunciano d’aver eliminato cento terroristi, le Forze di Difesa israeliane credono di marcare una vittoria tattica sul nemico, senza capire che il nostro approccio è completamente diverso da quello che prevale in Medio Oriente.
Per noi, la sacralità della vita individuale prevale su ogni altra cosa. Cosa non faremmo pur di liberare anche un solo un prigioniero? Per questo, in base ai nostri criteri, cento perdite sono un disastro terrificante. Ma l’altra parte non vede le cose necessariamente in questo modo, giacché si stratta di una società comunitaria, pronta a sacrificare i suoi singoli individui in nome di un obiettivo politico: che sia il nazionalismo palestinese, l’islam politico, l’odio per Israele o qualunque altro.
L’ex presidente egiziano Anwar el Sadat dichiarava d’essere pronto a sacrificare un milione di soldati pur di liberare il Sinai, e veniva osannato per questo. Come si ricorderà, l’allora presidente palestinese Yasser Arafat dichiarava che un milione di martiri erano pronti a marciare su Gerusalemme. Qualcuno riesce a immaginare un primo ministro israeliano che dichiarasse d’essere pronto a sacrificare centomila soldati pur di conservare, ad esempio, il Golan?
Per noi lo Stato esiste nell’interesse dell’individuo. Nella società che ci circonda, invece, è l’individuo che esiste nell’interesse della comunità. Ed ecco le madri degli attentatori suicidi che devono proclamarsi pubblicamente piene di gioia per il martirio dei loro figli in nome della lotta contro gli ebrei.
In altre parole, se anche eliminassimo mille terroristi, l’altra parte dichiarerebbe comunque vittoria, giacché gli obiettivi per loro più importanti – i simboli della leadership e il contesto politico più ampio – non sono vengono intaccati.
In effetti, in termini simbolici, a Gaza Hamas e il suo ethos islamista tengono duro. Hamas controlla il territorio, costringe migliaia di israeliani nei rifugi anti-missile, provoca disordini in Cisgiordania, ed è Israele che di fatto ha sospeso la battaglia. Per Hamas, tutto questo costituisce è un grande successo.
Hamas ha adottato la tattica tipica del Medio Oriente, che Israele fatica a comprendere: la tattica dei simboli. Comunque vada, dichiara vittoria nella battaglia con Israele e organizza marce di migliaia di persone che celebrano e rafforzano l’evento. Il simbolismo della marcia dà forza, perché dà a milioni di spettatori in giro per il mondo la sensazione che i palestinesi marcino con Hamas, suscitando sentimenti di solidarietà e vicinanza. Questi raduni creano un evento in se stessi. Hamas mette in scena uno spettacolo.
Ecco una regola da imparare: i simboli, le immagini e gli spettacoli battono sempre le parole; e Israele argomenta con le parole. Uno spettacolo è sempre capace di suscitare emozioni, e nella gara fra ragione ed emozioni, le emozioni vincono sempre. E Hamas sa fare uso di questa regola molto bene. Dove sono gli spettacoli visivi di Israele? Dove sono le sue marce trionfali che scaldano il cuore? Israele discute e spiega, non sbandiera simboli e immagini.
David Ben Gurion lo sapeva fare. La sua stessa immagine era un simbolo forte, il suo stile oratorio, la sua capigliatura, il suo spirito pionieristico, la sua enfasi per l’azione, il suo entusiasmo: tutto serviva a trasmettere emozioni. Ben Gurion si faceva fotografare a testa in giù sulla spiaggia, e sapeva catturare il mondo intero, che in lui ammirava uno spettacolo nuovo e ricco di simbologie.
Oggi siamo guidati da statisti analitici e disprezziamo le emozioni: le consideriamo una debolezza, qualcosa di primitivo, senza capire che in Medio Oriente muovere emozioni, mettere in scena uno spettacolo, un’esibizione, una manifestazione costituiscono un netto vantaggio. È come in televisione. Una persona può essere molto esperta e analitica, ma se non offre lo show giusto gli spettatori si annoieranno, e quella persona non verrà più ascoltata.

(Da: YnetNews, 20.03.08)

Nella foto in alto: Herzelia, 1957 – David Ben Gurion sulla spiaggia dell’Hotel Sharon