La grande rotta araba, fra corsi e ricorsi della storia

Come tutti gli imperialisti, russi e iraniani sognano vittoria e bottino, ma la loro espansione è segnata da follia politica, anacronismo strategico e futilità economica

Di Amotz Asa-El

Amotz Asa-El, autore di questo articolo

E’ come se la storia volesse ripetersi. Salendo la strada che costeggia le pendici meridionali delle alture del Golan, di fronte all’estremità nord-occidentale della Giordania, si possono ammirare le rive scoscese del fiume Yarmuk nel punto dove sono ancora visibili i monconi di un ponte fatto saltare dai partigiani del Palmach nel 1946, rimasto da allora inutilizzato così come la ferrovia Damasco-Medina che lo percorreva. In questo luogo – a poca distanza dagli scontri della guerra civile siriana, a una trentina di chilometri in linea d’aria da Deraa, la città dove è scoppiata la rivolta anti-Assad, e dalla biblica Edrei, dove gli israeliti affrontarono Og, il re di Basan – un vasto esercito arabo inflisse all’impero bizantino nel 636 e.v. la sconfitta che aprì all’islam la strada verso l’Anatolia cristiana, che oggi è la Turchia, e la Persia pagana che oggi è l’Iran.

Ora le grandi potenze imperiali protagoniste di quella prova di forza sono tornate in campo, anche se a ruoli invertiti. Oggi è la nazione araba che ripiega, mentre gli eredi russi dei bizantini e i discendenti iraniani dei persiani sono i conquistatori all’attacco, con lo sguardo puntato all’orizzonte lontano. Come tutti gli imperialisti, sognano la grandeur, la vittoria,l a gloria e il bottino, disdegnano l’umiltà, appiccano incendi e brandiscono la spada come cavalieri smaniosi di battaglia.

I resti del ponte sul fiume Yarmuk, all’incrocio dei territori di Israele, Siria e Giordana

La rotta araba a causa di questo fortuito movimento a tenaglia è colossale. I russi hanno bombardato città arabe, uccidendo migliaia di persone e facendone sfollare milioni. Gli iraniani hanno sopraffatto quattro capitali arabe. I russi governano la costa siriana, gli iraniani stanno muovendo coloni stranieri nella Siria occidentale, dopo aver scatenato nelle città siriane sciiti libanesi, commandos persiani e mercenari afghani. Territorio dopo territorio, gli iraniani hanno aizzato arabi contro arabi. I russi hanno ridotto il governo siriano a un teatro di burattini, e gli iraniani hanno fatto lo stesso con il governo di Beirut. Come l’antica Giudea nella descrizione biblica della sconfitta di Sion, oggi la nazione araba giace smembrata, espropriata e disonorata, “i suoi nemici sono ora i suoi padroni, i suoi avversari gioiscono” e “i suoi figli sono in cattività”.

Perché la nazione araba tolleri tutto questo è un mistero. Come mai non unisce le forze di fronte a questa invasione? Dove sono i suoi tanti re, presidenti e sceicchi? Dov’è la Lega Araba, nei giorni dell’umiliazione, della spoliazione e della disperazione della nazione araba? Davvero non può fare altro che ripetere le consuete parole vuote sulle sofferenze dei palestinesi che – lo sa Allah – sono ben poca cosa al confronto di ciò che hanno fatto Mosca e Teheran a milioni di arabi innocenti, oggi tragicamente intrappolati tra le macerie di Aleppo, le furibonde popolazioni delle città d’Europa e le micidiali onde del Mediterraneo? Domande cui sicuramente cercheranno di dare risposta, prima o poi, in un modo o nell’altro, letterati e pensatori arabi. In attesa di quel giorno, c’è una domanda per gli imperialisti che si può porre sin d’ora: perché conquistare?

Gli obiettivi delle offensive militari di Mosca e Teheran sono diversi: la Russia vuole ripristinare il suo prestigio imperiale, l’Iran vuole dominare i suoi vicini. Ma entrambi gli intenti, oltre ad essere moralmente vergognosi, si equivalgono per follia politica, anacronismo strategico e futilità economica.

I ministri degli esteri di Russia Sergei Lavrov (al centro), di Siria Walid al-Muallem (a sinistra) e dell’Iran Mohammad Javad Zarif, in un incontro lo scorso aprile a Mosca

Politicamente, oltre alla probabilità che i due invasori finiscano per scontrarsi fra loro a tempo debito, resta il fatto che entrambi stanno seminando inimicizia e rancore a lungo termine fra gli arabi sunniti. I russi sembrano rendersene conto e stanno attenti a evitare di schierare forze di terra in Siria, temendo evidentemente il tipo di guerriglia che li ha cacciati dall’Afghanistan una generazione fa. Anche gli iraniani cercano abilmente di limitare le spedizioni imperiali delle loro truppe, schierando piuttosto tra Bassora e Beirut tutto un assortimento di milizie non iraniane. Non gli sarà d’aiuto. Per quanto possano averle “contenute”, entrambe le invasioni hanno portato migliaia di “consiglieri” russi e iraniani nel mezzo di un mondo arabo ostile. Bersagli visibili e invitanti, sono arrivati con il fuoco e se ne andranno nell’ignominia.

Anche sul piano strategico le due invasioni non produrranno risultati fruibili. Il presidente russo Vladimir Putin si ispira al sogno zarista di uno sbocco sul cosiddetto mare caldo. Risalente a Pietro il Grande, è una spinta analoga a quella che pervadeva le conquiste del colonialismo europeo in alto mare e nel Nuovo Mondo. Ma è un’impostazione tramontata da tempo. Cosa dovrebbero guadagnare Ivan, Igor, Olga e Katya dalla testa di ponte sul Mediterraneo sanguinosamente conquistata dal loro leader? Spezie dell’India? Lingotti americani? Schiavi africani?

La spinta iraniana è ancor più fuori strada. La storia mostra che i tentativi persiani di espandersi verso regni non-persiani sono sempre finiti con la sconfitta: nel Medioevo ad opera dei bizantini e, prima ancora, degli antichi greci. Gli attuali persiani non hanno nulla a che fare con i territori in cui si stanno introducendo. Ed anche economicamente, non possono permettersi di sostenere il loro progetto imperiale, come non possono permetterselo i russi. Come è accaduto ai sovietici in Afghanistan, alla fine capiranno che per fare a pugni bisogna che lo stomaco non sia vuoto. Invece, sia l’economia russa che quella iraniana sono sotto assedio, afflitte da arretratezza industriale, infrastrutture deteriorate, dipendenza dalle attività estrattive, crollo dei prezzi del petrolio, valute deboli, declino demografico. Entrambe non sono in grado di sostenere un’avventura imperiale in una regione i cui unici tesori sono il petrolio e il gas di cui esse già dispongono in abbondanza.

Sì, oggi Vladimir Putin e Ali Khamenei hanno messo in rotta gli arabi. Ma domani gli arabi riemergeranno con la loro vendetta, così come ieri marciarono su Bisanzio e sulla Persia, partendo dallo Yarmuk.

(Da: Jerusalem Post, 19.11.17)