La guerra del 1948 attraverso gli occhi degli arabi

Giornali e discorsi politici arabi prima della guerra contro l’indipendenza d’Israele mostrano l’enfasi retorica che portò alla Nakba. E che è ancora attuale

Di Salman Masalha

Il poeta, scrittore e saggista arabo israeliano della comunità drusa, Salman Masalha, autore di questo articolo

“Combatteremo la spartizione con tutte le nostre forze” scrisse nel dicembre 1946 Jamal al-Husayni, vice capo dell’Alto Comitato Arabo. E aggiunse che se non fosse rimasta traccia degli arabi palestinesi dopo la lotta, gli arabi dei paesi vicini avrebbero “raccolto la bandiera della lotta dopo di noi”. Husayni paragonava la creazione di uno stato ebraico su qualunque porzione, anche piccola, della Palestina Mandataria ad un’arancia marcia che rovina tutte le arance nella cesta (al Wahda, 30 dicembre 1946).

Quando il piano Onu per la spartizione acquistò forza e divenne realtà – a seguito soprattutto del cambiamento della posizione di Mosca espresso in una sorprendente dichiarazione alle Nazioni Unite del rappresentante sovietico, Andrei Gromyko – il Segretario Generale della Lega Araba dette voce al rifiuto arabo: “La dichiarazione di Gromyko circa la creazione in Palestina di due stati, uno arabo e uno ebraico, o anche di uno stato bi-nazionale arabo-ebraico, costituisce una proposta inaccettabile per gli arabi. L’unica soluzione concreta è la creazione di uno stato sotto autorità araba in cui gli ebrei siano una minoranza” (Falastin, 16 maggio 1947). Da quel momento era aperta la strada che avrebbe portato alla guerra del 1948, all’indipendenza d’Israele, alla Nakba palestinese.

Fu Constantin Zureyq, uno storico e intellettuale siriano che insegnò presso l’Università Americana di Beirut, a coniare il termine nakba per descrivere quegli eventi dal punto di vista arabo. “La sconfitta degli arabi in Palestina – scrisse nel suo libro del 1948 Il significato del disastro – non è una semplice caduta, una naksa. Si tratta di una catastrofe, una nakba, in tutti i sensi della parola”. E aggiunse: “Sette paesi arabi dichiarano guerra al sionismo in Palestina. Sette paesi muovono guerra per cancellare la spartizione e debellare il sionismo, e lestamente abbandonano la battaglia dopo aver perso gran parte della terra di Palestina, anche parte di quella che era stata assegnata agli arabi dal piano di spartizione”.

Constantin Zureiq

Attraverso un sincero e profondo esame di coscienza, Zureiq cercò di arrivare alla radice del clamoroso fallimento arabo nell’affrontare il sionismo. Scrisse: “La vittoria ottenuta dai sionisti, e solo un cieco potrebbe negarlo, non è stata conseguita per via della superiorità di un popolo su un altro, ma per via della superiorità di un sistema rispetto all’altro”. Zureiq attribuiva la vittoria sionista alle differenze strutturali, sociali e culturali tra sionisti e arabi: “Il sionismo è profondamente radicato nella vita occidentale mentre noi ne siamo lontanissimi. Loro vivono nel presente e guardano al futuro, mentre noi siamo come narcotizzati e non facciamo che vagheggiare uno splendido passato”.

Zureiq si riferiva ai “discorsi lacrimevoli” dei rappresentanti arabi alle istituzioni internazionali, dove ammonivano circa le mosse che i paesi arabi e i loro popoli avrebbero intrapreso se fossero state adottate decisioni a cui erano contrari. E metteva in ridicolo le roboanti dichiarazioni della Lega Araba “gettate come bombe dalla bocca” salvo poi, al momento della verità, rivelarsi prive di valore.

L’enfasi retorica è l’allucinogeno a cui gli arabi si sono assuefatti da tempo immemorabile. Indossano l’enfasi retorica come un mantello, dimenticando che serve innanzitutto a chiudere le loro menti. “Quando scoppiò la battaglia – scrisse Zureiq – la nostra diplomazia pubblica iniziò a parlare delle nostre vittorie immaginarie, addormentando il pubblico arabo con magniloquenti discorsi sulla capacità di sopraffare e vincere facilmente. Finché non arrivò la nakba”.

In effetti, quella che emerge da ogni riga della stampa palestinese dell’epoca è retorica araba vuota e ridicola: che rivela, in tempo reale, la millanteria di cui era ebbra l’opinione pubblica araba. “Nei prossimi giorni verranno sferrati colpi durissimi”, proclamava un portavoce della Lega Araba. E aggiungeva: “In una settimana o due, la battaglia entrerà in una nuova fase, e allora la potenza araba si manifesterà davanti agli occhi di tutti” (Falastin, 29 gennaio 1948). “Compito dell’Esercito Arabo di Liberazione – scriveva un altro giornale – è quello di liberare la Palestina dal pericolo sionista, ripulirla da questo pericolo e consegnarla ai suoi proprietari originari” (Al Difa, 29 marzo 1948). Anche il re d’Egitto dichiarò: “Quando le forze arabe entreranno in Palestina per salvarla, dopo la sua liberazione la consegneranno ai suoi proprietari arabi” (Falastin, 14 aprile 1948). I resoconti erano pieni di “vittorie” degli “eroici arabi” sulle “bande ebraiche”, che riempivano le prime pagine della stampa palestinese. E fu così che di punto in bianco gli arabi si risvegliarono e scoprirono che gli era capitata una Nakba.

Ecco perché bisogna rileggere e ripetere le parole di Zureiq: “Dobbiamo ammettere i nostri errori e riconoscere le dimensioni della nostra responsabilità per il disastro che ci è toccato in sorte”. A quanto pare, non solo nel contesto palestinese, ma anche nel contesto arabo in generale, queste parole del 1948 non sono una cosa del passato, bensì una cosa ancora attuale.

(Da: Ha’aretz, 10.3.17)
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