La jihad globale stringe il cerchio attorno a Israele

Da mesi la sicurezza israeliana avverte che al-Qaeda tenta di infiltrare cellule nei territori palestinesi.

image_1187“Siamo circondati”. Lo dice un ufficiale delle forze di sicurezza israeliane all’indomani del letale attentato di lunedì a Dahab (nel Sinai egiziano).
Da mesi gli esperti della sicurezza israeliana avvertono che al-Qaeda e la Jihad globale stanno lentamente stringendo il cerchio attorno a Israele, tentando anche di creare cellule terroristiche all’interno dei territori palestinesi. Anche se non ha colpito direttamente Israele, l’ultimo attentato ha destato comunque forti preoccupazioni nel quartier generale di Kirya, a Tel Aviv, dove alcuni alti ufficiali ne hanno parlato come di un ulteriore segnale dell’intrusione della Jihad globale verso Israele. Nello scorso dicembre un commando di al-Qaeda ha lanciato razzi Katyusha dal Libano sulla città di Kiryat Shmona, nel nord di Israele. In agosto cellule affiliate alla Jihad globale hanno sparato razzi Katyusha sulla città di Eilat, nell’estremo sud di Israele.
Ma il triplice attentato di lunedì nel Sinai non costituisce una sorpresa per l’establishment della difesa, che già mesi fa aveva diffuso una nota con cui sconsigliava agli israeliani di viaggiare in Egitto e in particolare nel Sinai. L’intelligence militare ritiene che il Sinai si sia trasformato in un focolaio di al-Qaeda, le cui cellule sono dietro a tutti gli ultimi attentati terroristici che hanno colpito la penisola egiziana, a cominciare da quelli a Sharm e-Sheikh nel luglio 2005 e a Taba nell’ottobre 2004, che nell’insieme hanno provocato la morte di più di cento persone.
Sebbene l’Egitto abbia inviato forze speciali sulle alture del Jabal Halal, nel Sinai, per ripulirli delle cellule terroristiche, secondo gli ufficiali israeliani l’attentato di lunedì dimostra che quegli sforzi non sono stati efficaci come si poteva pensare. Le analisi sottolineano il fatto che le cellule operative nel Sinai sono composte da beduini egiziani del posto che vengono facilmente reclutati da al-Qaeda per via del loro disprezzo per il regime del presidente Hosni Mubarak. Si pensa anche che l’esplosivo usato dalle cellule non provenga più da vecchie miniere o residuati bellici delle guerre israelo-egiziane, ma che venga invece introdotto clandestinamente nel Sinai da paesi confinanti, come ad esempio l’Arabia Saudita.
Gli ufficiali israeliani sono preoccupati per gli eventi che accadono all’interno dell’Egitto, ma la principale preoccupazione riguarda la possibilità che questo terrorismo possa riversarsi all’interno di Israele. La situazione alla frontiera fra Israele ed Egitto, che non è protetta da una barriera continua come quella fra Israele e striscia di Gaza, è assai delicata, come si è visto anche martedì quando sono stati catturati tre profughi sudanesi che cercavano di entrare in Israele passando a sud di Nitzana. Tentativi di questo genere vengono scoperti quasi ogni giorno, ma la maggior parte della linea di confine fra Israele ed Egitto è aperta, dal momento che il governo ha recentemente deciso di non stanziare i fondi che sarebbero necessari per chiudere tutta la frontiera con una barriera difensiva come quella che esiste fra Israele e Giordania. Al suo posto, è stato ordinato alle Forze di Difesa di rafforzare la presenza di truppe lungo il confine. Due settimane fa una unità di ricognizione della Brigata Golani ha preso il posto della Brigata Givati assumendo, insieme al Battaglione Ramon della Guardia di Frontiera, il compito di sorveglianza e sicurezza nella zona.
I servizi di sicurezza ammettono di non sapere con esattezza quanti clandestini (per lo più disarmati) sono riusciti a infiltrarsi in Israele senza farsi scoprire. Il mese scorso un alto ufficiale della sicurezza di stanza al confine con l’Egitto ha detto al The Jerusalem Post che Israele è preoccupato per la possibilità che cellule della Jihad, che a suo dire stazionano a non più di 30 chilometri dal confine israeliano, tentino di sequestrare agenti di frontiera o soldati israeliani per tenerli in ostaggio come arma di ricatto.
Il coordinamento con l’Egitto nella sicurezza, spiega un alto ufficiale delle Forze di Difesa israeliane, è al massimo livello, con Israele perfettamente consapevole che la presenza di al-Qaeda nel Sinai pone una minaccia non solo per le località turistiche egiziane come Dahab, ma anche per il Negev israeliano e forse anche per le regioni centrali del paese. Gli egiziani, dice l’ufficiale, hanno migliorato il loro servizio di pattugliamento lungo il confine con la striscia di Gaza. È vero che il valico di Rafah fra Sinai egiziano e striscia di Gaza resta ancora praticamente aperto al passaggio di chiunque, ma le unità della polizia di frontiera egiziana stanno migliorando lo sforzo di fermare il contrabbando di armi ed esplosivi dal loro versante della frontiera verso il territorio palestinese. L’unica speranza, conclude l’ufficiale israeliano, è che abbiano almeno altrettanto successo nel bloccare le attività di al-Qaeda nel Sinai.

(Da: Jerusalem Post, 26.04.06)