La malattia del Medio Oriente

e la medicina di cui avrebbe veramente bisogno

Da un articolo di Barry Rubin

image_2300Ecco una perfetta metafora della situazione politica in Medio Oriente. In Egitto, un ragazzino affetto fibrosi cistica ha disperatamente bisogno di una certa medicina. Per sua sfortuna quel farmaco viene prodotto solo in Israele, e il ministero della sanità egiziano non permette che venga importato.
Se non si capisce come questa storia sia tipica della regione, è impossibile capire il Medio Oriente.
Non si dimentichi che l’Egitto è in pace con Israele da più di trent’anni e che, nondimeno, il suo governo si adopera ancora molto per boicottare, oltre che demonizzare, lo stato ebraico. Perseguendo una costate campagna di odio anti-israeliano, il Cairo alimenta un’atmosfera di odio e di estremismo che regala munizioni alla Fratellanza Musulmana, che da parte sua cerca di trasformare l’Egitto in uno stato islamista, totalitario e guerrafondaio.
I mass-media egiziani sono controllati così strettamente, così notevole è l’israelo-fobia in Egitto che la versione in inglese del quotidiano del Cairo Al-Ahram viene considerata coraggiosa per aver menzionato gli sforzi fatti dalla famiglia del ragazzino per ottenere la medicina ideata in Israele.
Intanto un egiziano scriveva: “Essere ricoverati in un ospedale statale può costare la vita”, e lo scriveva poco dopo uno scandalo che ha coinvolto un alto esponente del partito di governo scoperto a vendere sangue contaminato per trasfusioni.
I paesi arabi non possono sviluppare medicine e progressi hi-tech proprio perché sono troppo impegnati a consumare le loro risorse nella battaglia contro vari fantasiosi nemici di Allah.
Alcuni anni fa un funzionario americano mi raccontò dei fondi che erano stati offerti a funzionari egiziani per realizzare un programma relativo all’inquinamento nel Mar Rosso. Ma il progetto prevedeva forme di cooperazione con Israele, e il funzionario si sentì rispondere che qualunque cosa che aiuti Israele è inaccettabile indipendentemente da quanto possa essere positiva per l’Egitto.
Inseguendo la sua vendetta contro Israele e l’occidente, il mondo arabo si sta suicidando: non solo il suicidio individuale del terrorista, ma un suicidio di intere società. Ogni giorno questo si traduce nel rifiutare le riforme di cui quelle società hanno disperatamente bisogno. A lungo termine, ciò significa rischiare la presa del potere da parte degli estremisti islamisti.
Il resto del mondo, trovando questo discorso incomprensibile, pensa che si tratti di vaneggiamenti senza senso, o lo ignora del tutto: di sicuro il problema deve nascere da ingiustizie rimediabili, da disaccordi risolvibili, da esagerazioni emotive. Purtroppo non è così.
Qual è la voce veramente efficace in Medio Oriente? Non quella che parla del “processo di pace” nei colloqui con l’occidente, ma quella che inneggia alla “resistenza” quando parlano tra loro. Persino in paesi con governi autenticamente moderati, nessun funzionario o mass-media controllato dalla stato (e ben pochi intellettuali) oserebbe mai dire: Israele non è il nemico, l’America è amica, la vera battaglia da fare è quella per elevare gli standard di vita e promuovere le libertà. E questo vale oggi, alla fine del 2008, come valeva nel 1998, nel 1988, nel 1968 e nel 1958.
Intervistati in un recente sondaggio sui loro sentimenti verso al-Qaeda, il 60% degli egiziani li ha definiti “positivi” o “misti”. I “positivi” pensano senz’altro che al-Qaeda abbia ragione e che il terrorismo internazionale sia il modo migliore – probabilmente l’unico – per fare i conti con Israele e l’occidente, indipendentemente dalle conseguenze. I “misti” nutrono delle riserve sui metodi, ma sono convinti che la visione del mondo di al-Qaeda sia fondamentalmente corretta. Analizzando il sondaggio, l’analista Doug Miller ha detto che questi risultati costituiscono “un ulteriore indicatore che la guerra americana al terrorismo sta perdendo la battaglia per i cuori e le menti”. Ma la colpa non è dell’America: è dei governanti, dei giornalisti, dei chierici, degli educatori e degli intellettuali del mondo arabo. I risultati del sondaggio costituiscono un ulteriore indicatore che la battaglia contro la democrazia e la moderazione è quella che sta conquistando cuori e menti.
Coloro che difendono lo status quo mobilitano le masse a suo favore, deviandole contro demoni stranieri anziché contro i motivi interni di malcontento. Coloro che vogliono la rivoluzione incitano le masse ad una sanguinosa sollevazione contro lo status quo. I primi cavalcano la tigre, i secondi vorrebbero indirizzare la tigre contro i suoi padroni di sempre.
Come possono gli Stati Uniti ammansire una tigre addestrata e controllata da altri che ogni giorno and la sferzano e alimentano contemporaneamente? Cosa importanza può avere che i notabili arabi parlino in modo rassicurante agli incontri diplomatici e ai mass-media occidentali se poi milioni di arabi, a casa loro, vengono bombardati da messaggi completamente differenti? Quand’anche la combriccola dai bei modi e in giacca e cravatta fosse sincera, resta il fatto che essa non osa mai dire alla propria gente le stesse cose che sussurra nelle orecchie di sprovveduti stranieri.
Ecco un tipico esempio di questo genere di retorica, in questo caso da parte del parlamentare di Hamas Fathi Hammad sulla televisione al-Aksa lo scorso 7 settembre: “L’imminente vittoria… non sarà limitata alla Palestina. Voi state forgiando l’ethos della vittoria per tutti gli arabi e i musulmani e, ad Allah piacendo, anche a livello mondiale. Perché? Perché Allah ha scelto voi per combattere coloro che egli odia di più: gli ebrei”.
Oggi queste cose si possono dire anche davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, come ha fatto di recente il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad suscitando scroscianti applausi. Applausi che hanno coperto la spaventosa repressione interna del suo regime e i suoi drammatici fallimenti in economia.
Funziona sempre. È così che il presidente siriano Bashar Assad parla ai suoi sudditi. Ed anche il presidente egiziano e il re giordano, benché personalmente detestino questi deliri, pagano regolarmente lo stipendio ai deliranti.
È imminente la vittoria araba? Beh, no. Ma questo genere di discorsi tiene in riga i sempliciotti da almeno sessant’anni, e torna utilissimo a governanti e rivoluzionari. Le generazioni più giovani sono già state debitamente indottrinate e la loro vittoria sarà grande come quella del ragazzino che sta facendo (involontariamente) il suo dovere patriottico e religioso facendo a meno della medicina di cui avrebbe disperatamente bisogno.

(Da: Jerusalem Post, 13.10.08)

Nella foto in alto: Barry Rubin, autore di questo articolo