La marcia indietro di Zamir

Divulgò le presunte testimonianze di soldati israeliani, ora si dice frainteso e strumentalizzato

di Herb Keinon

image_2462La controffensiva israeliana anti-Hamas nella striscia di Gaza era pienamente giustificata e alcuni isolati casi di vandalismo non fanno certo delle Forze di Difesa israeliane un esercito di criminali di guerra, e gli ufficiali usciti dai corsi preparatori militari più osservanti dal punto di vista religioso generalmente contribuiscono ad un migliore standard di moralità delle forze israeliane. È quanto ha affermato lunedì al Jerusalem Post Danny Zamir, il direttore dell’accademia pre-militare “Rabin“ di Kiryat Tivon.
Le dichiarazioni di Zamir giungono dopo che il Jerusalem Post è venuto in possesso di una copia di un articolo da lui scritto, destinato alla diffusione all’estero, nel quale cerca di rimettere nel giusto contesto il clamore scatenato dalla pubblicazione in tutto il mondo di controverse conversazioni tenute in una sessione di dibattito da parte di nove ex allievi dell’Accademia che avevano partecipato alla campagna dello scorso gennaio nella striscia di Gaza. Quelle conversazioni comprendevano fra l’altro il racconto di due casi in cui dei sodati avrebbero deliberatamente sparato e ucciso palestinesi innocenti e di atti di gratuito vandalismo.
“Tutta la vicenda è schizzata fuori controllo – dice ora Zamir – Da quella che era una discussione interna con alcuni soldati che parlavano di quanto sia difficile e dolorosa una guerra (comprese le sensazioni soggettivi e le voci incontrollate), e che avevo portato all’attenzione dell’esercito perché mi aspettavo che si occupassero delle questioni sollevate, i mass-media internazionali hanno tratto materia per trasformare le Forze di Difesa israeliane in criminali di guerra”.
La trascrizione dei racconti dei soldati, riportata su un bollettino interno dell’Accademia postato su internet, ha scatenato in effetti vastissimo scalpore sui mass-media di tutto il mondo, con una marea di articoli che utilizzavano i racconti di quei soldati come conferma delle accuse mosse a Israele d’aver commesso di crimini di guerra a Gaza.
La settimana scorsa il giudice militare Avichai Mandelblit, dopo l’indagine della polizia militare, ha archiviato l’affare e scagionato le forze armate spiegando che le presunte “testimonianze” erano tutte basate sul sentito dire senza alcuna testimonianza diretta.
Facendo riferimento in particolare ad articoli apparsi sul New York Times, Zamir scrive che “questi articoli, esplicitamente o per insinuazioni, sostengono che vi sarebbe un deterioramento nell’impegno delle Forze di Difesa israeliane verso il proprio codice di condotta morale in combattimento e, per di più, che questo deterioramento scaturirebbe specificamente da una crescita della presenza di soldati e ufficiali religiosi nelle forze armate in generale, e in particolare dal rafforzamento della posizione del rabbino capo militare Avichai Ronsky. Era come se i mass-media fossero tutti così ansiosi di trovare motivi per attaccare le Forze di Difesa israeliane che si sono buttati su una riunione fra nove soldati riuniti al ritorno dal campo di battaglia per condividere le loro esperienze e sensazioni soggettive, e hanno usato quell’unico episodio per trarre conclusioni che sembrano una condanna senz’appello. Il dogma – continua Zamir – ha fatto premio sulla ponderazione e ha prodotto pericolosi malintesi sulla profondità e complessità della realtà israeliana. I resoconti individuali non erano mai stati fatti con l’idea di servire da base per ampie generalizzazioni e conclusioni sommarie da parte dei mass-media. Vennero pubblicati all’interno, per essere usati dai diplomati e dai loro genitori come strumento da utilizzare nel processo educativo e offrire linee guida alla prossima generazione”.
Zamir, un ufficiale della riserva i cui figli servono nelle forze armate israeliane, dice che se credesse davvero che l’esercito del suo paese è un esercito di criminali di guerra, lui stesso non ne farebbe parte. “E’ importante mettere le cose nel loro contesto, ed è molto difficile spiegare al pubblico americano quanto sia complicata la situazione quaggiù”, aggiunge.
Zamir spiega che non ha modo di sapere se gli incidenti riferiti in quei racconti abbiano effettivamente avuto luogo, anche se ha l’impressione che gli isolati casi di vandalismo descritti dai soldati siano avvenuti davvero. “Penso che alcuni degli atti di vandalismo dentro le case palestinesi siano stati effettivamente fatti, ma bisogna porre tutto nel giusto contesto: ciò non fa di quei soldati dei criminali di guerra. L’operazione a Gaza era del tutto giustificata, le Forze di Difesa israeliane hanno operato in modo chirurgico. Purtroppo in questo genere di operazioni restano uccisi anche dei civili. Le forze israeliane hanno operato in modo tale da cercare di salvaguardare i civili in una delle aree più densamente popolate del mondo. Non è stato impartito nessun ordine di uccidere civili né di eseguire esecuzioni sommarie o cose del genere. Ci sono stati problemi, ma si tratta di problemi che l’esercito è in grado di gestire”.
Ciò che lo ha più disturbato, dice Zamir, è stato un articolo nel New York Times sotto il titolo “Una guerra religiosa nell’esercito di Israele”, in cui si lasciava intendere che sia in corso un vero e proprio kulturkampf fra soldati religiosi e soldati laici. Secondo Zamir, l’articolo dava anche l’impressione che lui personalmente fosse ai ferri corti con Ronsky, una persona che egli considera al contrario un caro amico. “Io rispetto molto i sionisti religiosi – spiega – anche se vi sono differenze tra i nostri modi di vedere circa gli insediamenti e altre cose. Siamo amici. Per usare una metafora che si usa nell’esercito, portiamo tutti la stessa barella. Farci passare per nemici è una brutta cosa, gettare tutti i problemi sulle spalle dei soldati religiosi è semplicemente sbagliato. Anzi – aggiunge – la cosa più sorprendente che succede durante la battaglia e nell’esercito è la stretta cooperazione fra destra e sinistra, fra religiosi e laici. Abbiamo ottimi rapporti, con molto rispetto e fiducia gli uni negli altri”.
Zamir afferma che, tanto più numerosi sono i diplomati nelle accademie preparatorie religiose e tanto più numerosi i rabbini istruiti da Ronsky, tanto meglio sarà, “perché tanto più alto sarà il livello morale nell’esercito. I sionisti religiosi sono leader in molti campi, nell’esercito, nelle comunità periferiche, nell’educazione, ed è del tutto sbagliata l’impressionante che viene creata che siano una sorta di ayatollah votati a dominare il mondo. Non è così, e lo dico come uno che è laico e di sinistra”.
Nel 1990 Zamir, allora comandante di una compagnia di paracadutisti riservisti, venne condannato a 28 giorni di cella per essersi rifiutato di garantire la guardia a una cerimonia per la consegna di Rotoli della Torah nella Tomba di Giuseppe a Nablus (Cisgiordania). Un libro del 2004 intitolato “Refusnik: i soldati di coscienza israeliani”, compilato e curato da Peretz Kidron, riporta alcune affermazioni che Zamir scrisse a quell’epoca per spiegare la sua scelta. Oggi Zamir dice che, fino a questi fatti recenti, non sapeva nemmeno di essere citato in quel libro. “Hanno preso qualcosa che scrissi nel 1990 – spiega – e l’hanno inclusa in quel libro senza chiedermi nulla, non lo sapevo nemmeno”. Quella sua scelta, aggiunge, “avvenne prima di Oslo e io pensavo che Israele stesse utilizzando metodi incompatibili con la natura ebraica e democratica dello stato. Sin dal 1992 ho chiarito che non c’è nessuna logica nel rifiutarsi di servire nelle Forze di Difesa israeliane, e lo credo ancora oggi”.
Secondo Zamir, chiunque nella sua Accademia preparatoria dica che intende rifiutarsi di fare il servizio militare viene invitato ad andarsene. “Abbiamo il 100% di arruolati, e il 30% dei nostri diplomati diventano ufficiali”, conclude.

(Da: Jerusalem Post, 7.04.09)

RISERVISTI CHIEDONO INDAGINE CONTRO HA’ARETZ PER CALUNNIA

Si apprende nel frattempo che un gruppo di riservisti delle Forze di Difesa israeliane ha chiesto al procuratore generale Menahem Mazuz di avviare un’indagine a carico del quotidiano israeliano Ha’aretz per la pubblicazione delle presunte “testimonianze” di soldati che riferivano di comportamenti riprovevoli e gravi violazioni dei diritti umani durante la controffensiva anti-Hamas nella striscia di Gaza dello scorso gennaio. Le presunte “testimonianze” vennero poi riperse ampiamente dai mass-media di tutto il mondo. La scorsa settimana l’indagine della polizia militari scaturita da quei resoconti è terminata con la chiusura del caso, avendo accertato che si trattava solo di voci senza fondamento.
La lettera, firmata da 65 riservisti che hanno combattuto nella campagna anti-Hamas a Gaza, è stata inviata lunedì a Mazuz con la richiesta di indagare Ha’aretz per diffamazione, perpetrata riportando come fatti, e non come semplici dicerie, delle presunte “testimonianze” non controllate. “A noi pare che Ha’aretz non abbia condotto il minimo controllo nel riportare quelle false accuse”, si legge nella lettera.
“Siamo stufi di essere definiti assassini e criminali – spiega Amit Barak, promotore dell’iniziativa – Non intendiamo tollerare d’essere trattati in questo modo dopo che, come riservisti, abbiamo dato il nostro contributo al paese servendo nelle Forze di Difesa israeliane. Ci aspettiamo che lo stato stia a fianco dei suoi soldati”.
Barak aggiunge che alcuni riservisti stanno pensando di chiedere un’indagine anche a carico del direttore dell’Accademia preparatoria pre-militare “Rabin”, Danny Zamir, che accusano d’essersi prestato alla diffusione delle false accuse passandole alle stampa.

(Da: Jerusalem Post, 7.04.09)