La mia crisi umanitaria

Per qualche motivo l’assedio di odio, razzi e minacce non è considerato una violazione dei diritti umani

Da un articolo di Amnon Rubinstein

image_2464Quasi non passa giorno senza che mass-media e Ong non riferiscano della crisi umanitaria nella striscia di Gaza. L’assedio di Gaza è diventato uno degli argomenti principali del discorso internazionale sui diritti umani. In effetti le sofferenze della gente a Gaza – una enclave miserabile e dipendente– sono vere e dolorose, anche a prescindere dai danni e dalle vittime dell’ultima guerra. (…) La sofferenza della gente di Gaza è autentica sofferenza di esseri umani, anche se è determinata principalmente dalla dirigenza che è stata eletta dalla stessa gente di Gaza. E davvero importa poco, in questo contesto, che tali sofferenze potrebbero scomparire da un giorno all’altro se solo Gaza fosse governata da capi che privilegiassero la vita e la pace, anziché optare per una cultura e una politica di guerra e di morte.
Tuttavia, oltre a questa crisi di Gaza esiste anche una crisi umanitaria israeliana, e accanto all’assedio di Gaza esiste anche un assedio di Israele. Una grossa porzione del paese è esposta ai continui e arbitrari bombardamenti dalla striscia di Gaza, e i devastanti effetti psicologici dovuti a questa impotente vulnerabilità sono percepiti da ogni israeliano.
Certo, la striscia di Gaza è più piccola di Israele, ma Gaza ha un confine con l’Egitto e l’Egitto non è semplicemente un paese arabo, è l’autoproclamato leader di tutti gli arabi nonché devoto paladino della causa palestinese. Israele non ha confini con uno stato fratello; anche negli unici due paesi confinanti che hanno fatto la pace con Israele – Giordania ed Egitto – gli israeliani non si sentono affatto i benvenuti: soprattutto in Egitto non fanno che assistere a un fuoco di fila di manifestazioni di odio contro di loro e contro il loro paese.
Certo, il confine fra Gaza ed Egitto è praticamente chiuso, ma è una situazione che potrebbe cambiare in qualunque momento se solo i capi di Gaza smettessero di usare le aperture del confine come via per il loro traffico di armi e missili con i quali continuare a fare guerra a Israele. Per contro, gli israeliani non vedono cambiamenti che vadano nel senso della fine dell’assedio di fatto contro il loro paese. Anzi, l’odio e il rifiuto che incontrano quando attraversano i loro confini non fa che aumentare a passi da gigante.
Il senso di assedio è intensificato non solo dai confini chiusi, ma anche per il fatto che la maggior parte degli israeliani vive a ridosso delle aree palestinesi (quasi tutto il territorio densamente abitato di Israele pre-67 era a ridosso delle linee armistiziali), e l’esistenza di insediamenti ebraici all’interno di quelle aree non dà alcun conforto agli israeliani che, come chi scrive, li considerano una delle cause, anche se non l’unica, del risentimento e pessimismo. Di fatto quelle aree palestinesi, a pochi minuti di strada dalle abitazioni della maggior parte degli israeliani, sono precluse agli ebrei. Qualunque israeliano che vi venga catturato da terroristi palestinesi non gode di nessuno dei minimi diritti umani previsti dal diritto internazionale, i suoi parenti e amici semplicemente non ne sapranno più nulla; nessuna organizzazione per i diritti umani, comprese quelle israeliane, dirà proferirà una parola di protesta, né esigerà che la Croce Rossa Internazionale possa vistare il “prigioniero”.
La nostra specifica crisi umanitaria consiste in quel senso perpetuo di totale angoscia per la sorte dei nostri connazionali catturati. L’angoscia che attanagliò l’intero paese quando, a riscatto pagato, ancora non potevamo sapere se i nostri soldati Eldad Regev e Udi Goldwasser sarebbero tornati vivi o morti dal Libano, sembra non interessare per nulla le Ong consacrate ai diritti umani, qui come all’estero. Un prigioniero di guerra palestinese catturato dagli israeliani (oltre ad incontrare la Croce Rossa) ha sempre la facoltà di fare appello all’Alta Corte di Giustizia per qualunque presunta violazione dei suoi diritti. Ogni israeliano, invece, sa perfettamente che se si avventura in territorio palestinese ostile può scomparire del tutto, o essere linciato alla luce del giorno. Anche questo fa parte dell’assedio a Israele.
Ma ci sono anche altre componenti, in questa crisi umanitaria. La martellante campagna di odio contro Israele e contro gli ebrei (che imperversa nel mondo arabo-islamico) ha raggiunto vette tali da essere paragonabile a quella della propaganda nazista che precedette e preparò la Sho. E il fatto che questa campagna sia sostenuta e talvolta incitata anche da alcuni accademici ebrei e/o israeliani non rende certo la crisi più sopportabile. Certo, Israele deve continuare a comportarsi da democrazia liberale senza paragonarsi mai agli standard dei regimi arabi; e dobbiamo continuare a indagare ogni presunto crimine di guerra. Ma ciò nulla toglie al peso quotidiano della nostra crisi umanitaria.
E c’è ancora un piccolo dettaglio che le Ong dei diritti umani, qui e all’estero, tendono a ignorare: sulla testa di Israele incombe la costante minaccia iraniana della cancellazione del paese e della sua popolazione dalla faccia della terra con le armi nucleari. Evidentemente per qualche motivo questa minaccia, fatta e ripetuta pubblicamente da una nazione ricca e potente come l’Iran, non viene considerata una violazione dei diritti umani: ecco, anche questo fa parte della mia personale crisi umanitaria.

(Da: Jerusalem Post, 31.03.09)

Nella foto in alto: Amnon Rubinstein, autore di questo articolo