La minaccia atomica nel M.O. scosso dalle sommosse

Il terremoto politico in corso non deve far perdere di vista i piani nucleari di Siria e Iran.

Da un articolo di Kenneth Bandler

image_3082Il fatto che Muammar Gheddafi nel 2003 abbia abbandonato il programma libico di armi nucleari può risultare, a posteriori, una vera fortuna per tutta la regione (grazie, come si ricorderà, alla vittoria dell’America di George W. Bush sull’Iraq di Saddam Hussein). Comunque vada a finire la tragica saga in corso in Libia, l’ultima difesa di Gheddafi non potrà comportare il primo ricorso in Medio Oriente ad armi nucleari.
Altrove, tuttavia, la minaccia nucleare è più viva che mai, sebbene le rivolte popolari nel mondo arabo abbiano distolto l’attenzione di politici e mass-media da quella che fino a pochi mesi fa era considerata la maggiore minaccia alla sicurezza: il programma nucleare iraniano.
Agli occhi del regime, ora caduto, caduto di Mubarak, così come a quelli di Arabia Saudita e stati del Golfo, un Iran dotato di capacità nucleare appariva come una minaccia strategica assai peggiore dell’irrisolto conflitto israelo-palestinese. La comunità internazionale concordava in larga misura, per cui vennero imposte sanzioni economiche da Stati Uniti, Europa e altri paesi, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu adottava ben quattro risoluzioni contro i piani di Tehran.
Ora i governi arabi hanno gli occhi puntati su come far fronte alle richieste dei loro stessi cittadini che reclamano riforme. Ma Washington e le capitali europee, mentre valutano come reagire al terremoto politico in corso nei principali paesi arabi, non dovrebbero perdere di vista le possibili conseguenze di una svolta nucleare in Medio Oriente. Il direttore generale dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA), Yukiya Amano, in netto contrasto col suo predecessore Mohamed ElBaradei (per inciso, probabile candidato alla presidenza egiziana), ha già manifestato concrete preoccupazioni per il programma nucleare iraniano, come pure la necessità di premere sulla Siria affinché sveli le sue ambizioni nucleari.
L’Iran continua a produrre uranio “stabilmente e costantemente”, ha dichiarato Amano il mese scorso al Washington Post. In altre parole, nonostante le sanzioni sempre più severe, l’impatto negativo che pare abbia avuto il virus informatico Stuxnet e i misteriosi omicidi di scienziati nucleari iraniani, Tehran va avanti per la sua strada. Le agenzie di intelligence possono continuare a discutere, come fanno da anni, su quando esattamente l’Iran varcherà la soglia nucleare e quando sarà pronta la sua prima bomba atomica, ma quel che pensano tutti a livello internazionale è che l’Iran intende completare in ogni caso la sua missione nucleare.
Lo scorso settembre l’AIEA ha definito “una questione impellente” il rifiuto dell’Iran a cooperare. Ha detto di non poter “confermare che tutto il materiale nucleare in Iran sia destinato ad attività pacifiche”, giacché Tehran si è rifiutata di fornire le informazioni richieste, ha vietato l’accesso a siti nucleari e ha impedito a due ispettori AIEA di entrare nel paese.
Altrettanto impellente è la mancanza di cooperazione da parte della Siria. Il suo programma segreto è venuto alla luce dopo che Israele, nel 2007, ne distrusse un reattore nucleare. L’anno seguente l’AIEA ha inviato in Siria una squadra investigativa: quella è stata l’ultima volta che il presidente siriano Bashar Assad ha permesso la visita di ispettori AIEA. Nel frattempo, la Siria ha ricostruito il sito nucleare distrutto di al-Kibar, e ne ha costruito almeno un altro.
La sfida di Iran e Siria, entrambi paesi firmatari del Trattato di Non Proliferazione che prescrive la cooperazione con l’AIEA, è estremamente frustrante per il segretario Amano. Come ha detto al Washington Post, egli è determinato a fare “il guardiano della non proliferazione”. Gli obiettivi di Amano sono in linea con l’appello fatto nel 2009 dal presidente Usa Barack Obama per “un mondo senza armamenti nucleari”. Per questo obiettivo, però, è essenziale fronteggiare gli evidenti sforzi di proliferazione in corso in una regione come il Medio Oriente, sempre più instabile e tuttavia economicamente e strategicamente vitale. Anche altri, a Washington, hanno sollevato analoghe preoccupazioni. “Se vogliamo mantenere al sicuro l’America e i suoi alleati, dobbiamo conoscere lo stato delle attività nucleari della Siria, e i siriani devono sapere che vi saranno conseguenze se si impegneranno in attività nucleari illegali”, ha detto la senatrice Kirsten Gillibrand, membro della commissione relazioni estere del Senato e co-promotrice di una lettera bipartisan ad Amano di congressisti che sollecitano ispezioni al programma nucleare siriano.
L’Iran, che è una teocrazia sciita estremista, e la Siria, una nazione sunnita governata dalla minoranza alawita, potrebbero non sembrare alleati naturali. Ma entrambi i regimi condividono una propensione per il potere dittatoriale e repressivo in cui sono la norma violazione dei diritti umani e negazione della libertà d’espressione. Entrambi sostengono Hezbollah, Hamas e altre organizzazioni terroristiche. Entrambi amano intromettersi negli affari interni di altri paesi, in particolare in Libano dove l’alleanza siro-iraniana con Hezbollah a già imposto un colpo di stato incruento. Entrambi minacciano Israele e altri interessi americani e occidentali. La visita il mese scorso in Siria di navi da guerra iraniane (passate attraverso il Canale di Suez per la prima volta dal 1979) è un’ulteriore prova di questo rapporto sempre più stretto. Se uno dei due paesi diventerà potenza nucleare, modificare le loro posizioni e la loro politica diventerà ancora più difficile.
Con una riaffermazione di leadership, gli Stati Uniti dovrebbero imprimere un’accelerazione allo sforzo coordinato internazionale volto a convincere Damasco e Tehran a desistere. Se quei due paesi vogliono davvero un programma nucleare puramente civile, non mancano i modi per farlo secondo procedure perfettamente legali e trasparenti: un modello può essere l’accordo fatto con Washington dagli Emirati Arabi Uniti. In caso contrario, invece, qualunque direzione prendano i cambiamenti politici nella regione, la minaccia nucleare continuerà ad incombere con gravissimo pericolo.

(Da: Jerusalem Post, 8.3.11)

Nella foto in alto: Kenneth Bandler, autore di questo articolo