La minaccia di Assad

"Chi chiede riforme è un nemico" (e Assad padre ha già mostrato come si trattano i nemici).

Di David Horovitz

image_3102È facile farsi beffe del discorso tenuto mercoledì da Bashar Assad al parlamento siriano: l’oratoria interminabile, apparentemente sconclusionata; l’assenza di qualunque impegno preciso per le riforme; le ridicole teorie cospirazioniste; le interruzioni “spontanee” da parte di parlamentari in adorazione che intonavano: “Soltanto Dio, Siria e Bashar, a te sacrifichiamo le nostre anime e il nostro sangue”, e – meglio ancora – “il mondo arabo è troppo piccolo per te, o presidente, tu dovresti governare sul mondo intero”. Anche gli abitanti della capitale, stando a quanto riferiscono alcuni giornalisti occidentali da Damasco, non sembravano particolarmente impressionati. La gente s’era riunita nel caffè per seguire in tv il discorso che, annotare un corrispondente di France 24, è stato anche diffuso da altoparlanti, per poi tornare rapidamente ad occuparsi delle faccende quotidiane. Assad non ha promesso niente, non ha detto nulla di concreto, questo vostro corrispondete si sarebbe quasi messo a piagnucolare.
Però qualcosa ha fatto. Per carità, nulla di vincolante circa la revoca delle leggi d’emergenza o l’apertura di un processo politico; nulla, cioè, che giustifichi la straordinaria dichiarazione fatta domenica da Hillary Clinton alla CBS: “C’è un leader diverso, oggi in Siria, e molti membri del Congresso di entrambi i partiti che sono stati in Siria nei mesi scorsi si sono detti convinti che è un riformatore”.
Eppure c’era del sugo nel messaggio di Assad: una logica spietata nel bel mezzo di quella sbrodolata. Giacché il dittatore siriano, i cui miliziani nei giorni scorsi hanno già diligentemente abbattuto decine di loro concittadini, ha tracciato una netta distinzione fra dimostranti, da una parte, e bravi siriani dall’altra. Negli altri paesi arabi, ha spiegato, i dimostranti avanzano positive richieste di cambiamento, per cui andare incontro alle aspirazioni di quelle masse è una buona cosa. Ma nella sua Siria nessuno ha la minima ragione di protestare dal momento che lui si sta già adoperando instancabilmente per soddisfare le esigenze del popolo. “Chiunque voglia delle riforme, noi siamo qui – ha detto col tono di un padre estremamente ragionevole – Le riforme non sono cosa di una sola stagione, e non c’è nulla che le ostacoli veramente”. Quindi, coloro che hanno fomentato le sommosse dei giorni scorsi non possono essere che nemici e congiurati e cospiratori e forze esterne. Assad ha messo bene in chiaro che lui, il suo establishment della sicurezza e tutti i bravi siriani staranno “saldi e uniti” contro tali forze velenose, contro il “grande complotto”, la “grande cospirazione”.
A quasi tre decenni dai fatti, la ferocia con cui suo padre Hafez schiacciò una potenziale rivolta islamica a Hamas, nel febbraio 1982, mandando l’esercito ad abbattere a mitragliate e a cannonate migliaia e migliaia di persone rappresenta tuttora un terrificante deterrente per ogni siriano cui venga l’idea di portare in piazza la sua insoddisfazione per la dittatura. Quel massacro spicca come la più micidiale azione repressiva messa in atto da un capo arabo contro la propria stessa popolazione nella storia moderna del Medio Oriente. E ancora oggi è molto pericoloso per qualunque siriano anche solo pronunciare una frase che contenga le due parole “Hama” e “massacro”. Ciò che ha fatto mercoledì Bashar Assad, con tutto quel suo parlare di stare saldi e uniti e sopraffare i subdoli nemici, è stato stabilire un chiaro collegamento fra se stesso e la brutale eredità di suo padre.
Certamente non ha fatto concessioni. Assad ha visto fin troppo bene dove sono finiti il tunisino Zine al-Abidine Ben Ali e l’egiziano Hosni Mubarak con le loro pubbliche manifestazioni di disponibilità ad accedere convulsamente alle richieste di riforme. Assad non intende percorrere quella strada. No, quello di mercoledì è Assad, la tigre col sorriso, che giura di mantenere il suo supremazia, sicuro di se al punto di sogghignare compiaciuto – con quella sua curiosa risatina in falsetto – delle “bugie” sulla Siria propagate da emittenti satellitari ostili; che, a quelli della sua gente che possono aver avuto l’impressione di subodorare una debolezza stile Mubarak e di poter tentare la fortuna, fa sapere che si sbagliano di grosso; che, col classico pugno di ferro nel guanto di velluto, dice a coloro che sono usciti per le strade che sono stati “ingannati” dai diabolici nemici della Siria, e che lui, benché abbastanza magnanimo da perdonarli per quello che hanno fatto finora, d’ora in avanti non sarà più così tollerante. Soprattutto, Assad si gode il semplice fatto che, mentre le forze armate in Tunisia e in Egitto hanno deciso di non aprire il fuoco contro i dimostranti, non c’è nessuna crepa fra lui e le sue truppe.
Si dice che siano in programma altre proteste a partire da venerdì. Dunque vedremo se l’opposizione siriana ha colto il messaggio recapitato mercoledì da Assad, e se quel messaggio è riuscito nel suo proposito intimidatorio.

(Da: Jerusalem Post, 30.3.11)

Nelle foto in alto: immagini di Hama dopo la repressione del febbraio 1982