La miope tentazione unilaterale di Parigi

Perché la Francia dà per scontato che la mancanza di progressi negli ipotetici colloqui tra Israele e palestinesi sarebbe colpa di Israele e solo di Israele?

Editoriale del Jerusalem Post

Il ministro degli esteri francese Laurent Fabius lo scorso giugno a Gerusalemme con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Il ministro degli esteri francese Laurent Fabius lo scorso giugno a Gerusalemme con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Un giorno soltanto dopo aver srotolato il tappeto rosso ai piedi del presidente iraniano Hassan Rouhani, il governo francese ha rivolto le sue attenzioni a Israele annunciando un’iniziativa volta a riportare israeliani e palestinesi al tavolo dei negoziati e minacciando di riconoscere unilateralmente uno “stato palestinese” se il nuovo tentativo di rilancio dei negoziati dovesse fallire. “La Francia si impegnerà nelle prossime settimane per la preparazione di una conferenza internazionale che riunisca le parti e i loro partner principali per preservare e realizzare la soluzione a due stati”, ha detto il ministro degli esteri Laurent Fabius ad una conferenza di diplomatici francesi a Parigi. E ha aggiunto: “Se questo tentativo di raggiungere una soluzione negoziata finirà in un vicolo cieco, ci prenderemo la responsabilità di riconoscere lo stato palestinese”.

Ci congratuliamo con i francesi per aver preso l’iniziativa di proporre misure concrete per il riavvio di colloqui di pace tra Israele e palestinesi. In definitiva, l’unico modo con cui le parti potranno mai risolvere le loro divergenze è attraverso il processo di dare-e-avere dei negoziati e del dialogo. Né gli ebrei né i palestinesi se ne andranno da nessun un’altra parte: siamo destinati a condividere questo lembo di terra collocato in una regione molto difficile. Solo raggiungendo un modus vivendi attraverso il riconoscimento reciproco potremo porre fine al conflitto. In questo senso l’iniziativa francese – o qualsiasi altro sforzo serio che rimetta insieme le due parti senza precondizioni – deve essere ben accolto.

Il problema è che i francesi hanno inavvertitamente sabotato la speranza di avere colloqui fruttuosi aggiungendo quella intimidazione finale: se i colloqui falliscono, riconosceranno unilateralmente uno stato palestinese. Ma, come hanno detto i rappresentanti di Gerusalemme, “perché mai i palestinesi dovrebbero accettare compromessi anche solo su una virgola, se sanno fin dall’inizio che, in mancanza di progressi, otterranno quello che vogliono?”. I palestinesi scommettono sul fatto che un riconoscimento dello stato palestinese unilaterale (cioè senza accordo con Israele) da parte francese potrebbe mettere in moto una valanga di pressioni su Israele. Svezia e Vaticano, che l’hanno già fatto, probabilmente non dispongono del peso necessario per creare una nuova realtà diplomatica. Ma quando un peso massimo come la Francia riconoscesse la (non meglio identificata) “Palestina”, le conseguenze potrebbero seguire a cascata. Altri paesi europei come Germania e Gran Bretagna potrebbero essere propensi a seguire le orme della Francia. E il presidente degli Stati Uniti Barack Obama potrebbe essere meno propenso a ricorrere al diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Potrebbe generarsi una massa critica impossibile da ignorare.

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Abu Mazen: “Non riconoscerò mai l’ebraicità dello stato o uno stato ebraico”

La Francia e gli altri paesi che minacciano il riconoscimento unilaterale della “Palestina” (senza che i palestinesi debbano firmare un accordo negoziato con Israele) non stanno facendo solo un errore tattico. Stanno ignorando la realtà. I palestinesi non riescono nemmeno mettersi d’accordo tra di loro sui confini del loro futuro stato. Allo stato attuale sono divisi fra due staterelli, uno in Cisgiordania e uno nella striscia di Gaza. Le rispettive dirigenze di questi “stati” sono ferocemente ostili l’una all’altra. Né il governo di Ramallah, né quello di Gaza possono vantare una legittimità democratica. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha appena iniziato l’undicesimo anno di un mandato che doveva durarne quattro. Elezioni parlamentari non se ne sono svolte in Cisgiordania e a Gaza sin dal 2006. E questa situazione di stallo non ha nulla a che fare con Israele.

La domanda sorge spontanea: perché la Francia dà per scontato che la mancanza di progressi nei suoi ipotetici colloqui tra Israele e palestinesi sarebbe colpa di Israele e solo di Israele? Sì, nella coalizione di governo del primo ministro Benjamin Netanyahu ci sono partner che sono decisamente contrari alla soluzione a due stati, come il partito Bayit Yehudi. Ma Netanyahu ha più volte dichiarato a chiare lettere il suo sostegno all’idea dei due stati, e si è più volte offerto di incontrare Abu Mazen.

Il mondo sa bene cosa Israele è capace di offrire, alla luce della storia dei negoziati passati, da Oslo a Camp David a Olmert. E sa che Israele è capace di avanzare proposte generose e più che ragionevoli. Se i palestinesi le rifiuteranno ancora una volta, la riposta più naturale della Francia non dovrebbe essere quella di condannare l’intransigenza palestinese? Minacciando di riconoscere unilateralmente lo stato palestinese, la Francia può star certa che i palestinesi punteranno i piedi, trincerandosi ulteriormente nella loro posizione di rifiuto.

Nessun popolo ha un diritto intangibile e assoluto ad avere uno stato se questo stato è destinato a diventato ben presto un altro dei tanti stati arabi tragicamente falliti in Medio Oriente. L’autodeterminazione nazionale è una prerogativa che bisogna guadagnarsi. I palestinesi hanno un sacco di lavoro da fare prima di potersi dire pronti. La Francia dovrebbe saperlo. E dovrebbe saper far di meglio che offrire un’accoglienza di stato in pompa magna al presidente della Repubblica Islamica dell’Iran.

(Da: Jerusalem Post, 1.2.16)