La moltiplicazione delle nazionalità (arabe)

Dopo quella araba e quella palestinese, anche la “nazione arabo-israeliana” contro Israele?

Da un articolo di David Navon

image_1729Il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha annunciato che gli arabi hanno optato per la pace. Splendido. Ma la pace con quale paese? Erekat ha glissato su questo aspetto, perché ricade nell’ambito degli arabi israeliani.
Il cosiddetto “documento di Haifa” – una lista di condizioni per la riconciliazione con lo stato di Israele, compilata da eminenti intellettuali arabi israeliani – è andata ad aggiungersi a una lunga serie di idee concepite della leadership arabo-israeliana. Il succo è quello di pretendere che Israele venga ridefinito come uno stato bi-nazionale (arabo-ebraico), dopo che avrà riconosciuto il diritto al ritorno (dei profughi palestinesi all’interno di Israele), dopo che avrà ripristinato centinaia di villaggi in rovina, dopo che avrà fatto ammenda per la Naqba (la “catastrofe” con cui gli arabi indicano la nascita dello stato di Israele). Uno degli autori del documento ha specificato di ritenersi disposto al compromesso solo se Israele si accontenterà di metà dell’area dell’ex mandato britannico sulla Palestina.
Questa tracotanza ricorda quella delle leadership arabe nel 1947. Si può capire come mai gli arabi siano afflitti per gli effetti della guerra del ‘48. Ma l’aggressione è sempre una scommessa, e chi scommette se ne assume le conseguenze. La Germania, ad esempio, ha pagato il prezzo della sua scommessa del ‘39 perdendo, fra l’altro, più di 100mila kmq di territorio a est, e accogliendo quasi 13 milioni di tedeschi espulsi come profughi dalle loro terre.
Gli arabi respinsero il piano di spartizione preferendo lanciare “una guerra di sterminio e un risolutivo massacro di cui si parlerà come dei massacri mongoli e crociati”, come annunciò l’allora segretario generale della Lega Araba Abdul Razek Azzam Pasha. Quella scommessa portò alla perdita di 5.500 kmq di terra destinata dall’Onu agli arabi, e a circa 650mila arabi profughi nel loro stesso paese o in quelli vicini.
Tuttavia, a differenza della nazione tedesca che perse la sua scommessa alla grande ma interiorizzò il fatto che le sue conseguenze non sarebbero state più cancellate, gli arabi cercarono di far tornare indietro la storia. A tale scopo hanno fatto ricorso a un’efficace tattica propagandistica: presentare la sconfitta della scommessa araba come l’espulsione di un intero popolo.
In realtà, com’è noto, il conflitto politico in quest’area ebbe inizio già nel 1917 come un conflitto con una vasta nazione araba su una frazione di territorio che essa considerava suo. Persino gli abitanti arabi di quella frazione di terra non sostenevano di essere un popolo a sé stante, nonostante il loro speciale interesse in una guerra sulla realizzazione della decisione della Società delle Nazioni di riconoscere la parte occidentale della Siria meridionale come sede nazionale del popolo ebraico.
Nel 1947 l’Onu stabilì che quella stessa area sarebbe stata a sua volta spartita fra i suoi abitanti ebrei e arabi. Quando naufragò la scommessa di impedire con la forza questo piano di spartizione, il prezzo più alto fu pagato dagli arabi del posto. Un tributo che iniziò ad essere visto dal resto del mondo come un’ingiustizia quando quella comunità si ridefinì come un popolo a sé stante.
E questa manovra l’abbiamo incassata. La novità, adesso, è il tentativo di ripeterla in versione tascabile. Con tutta evidenza è sorta ora una sotto-comunità nazionale – gli arabi che vivono in Israele – la quale, anziché battersi per i suoi legittimi diritti in quanto minoranza, pretende piuttosto di affermare il suo status nella forma di una composizione diplomatica, e dunque esige ciò che gli arabi respinsero 60 anni fa. Di più, essa mina alla base il principio stessa della spartizione, cioè della prospettiva che già contempla la soddisfazione dei diritti nazionali.
Si tratta di una pretesa a fronte della quale la risposta dovrebbe essere univoca. Volete parlare dei diritti civili di una minoranza? Benissimo. Ma se parlate della questione in termini di diplomazia fra popoli, allora gli interlocutori non siete voi, bensì l’intero popolo di cui dite di far parte. Un popolo, va ricordato, non è una matrioska russa: non è che c’è un popolo dentro a popolo dentro a un popolo.
Probabilmente a un certo punto arriveremo a un accordo con gli stati arabi (la nazione araba). Forse ci arriveremo anche con gli arabi di Palestina (la nazione palestinese). Ma sia chiaro che non esiste, qui, un terzo soggetto nazionale (arabo) con le sue rivendicazioni da Israele.

(Da: YnetNews, 10.06.07)

Nella foto in alto: Manifestazione di arabi israeliani, con poster del fondatore di Hamas Ahmed Yassin, durante una “Giornata della Terra” nel villaggio di Arabah, 30 marzo 2004