La necessaria deterrenza

Ciò che è in gioco, qui, va oltre la solita solfa della violenza palestinese.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_906La reazione israeliana alla raffica di missili Qassam palestinesi lanciati contro i centri abitati del Negev occidentale, compresa la città di Sderot, dalla striscia di Gaza, sotto controllo dell’Autorità Palestinese, deve essere concreta e persistente. Questo ha deciso il governo nella riunione di sabato notte. Il primo ministro Ariel Sharon ha dato disposizione alle Forze di Difesa di usare “tutti i mezzi” per fermare l’aggressione (fatto salvo il “nostro tradizionale rispetto per i civili innocenti”). Per la prima volta è stato approvato l’uso dell’artiglieria contro i lancia-missili palestinesi. E domenica le Forze di Difesa israeliane hanno sparato i primi colpi d’artiglieria verso campi aperti, nella parte nord della striscia di Gaza, per aggiustare il tiro dei grossi calibri nel contempo inviare un chiaro messaggio dissuasivo: ulteriori attacchi terroristici innescheranno una reazione pesante.
Il ministro della difesa Shaul Mofaz ha ordinato alle forze aeree di ingaggiare un’offensiva aperta e costante, detta “Operazione prima pioggia”, contro obiettivi Hamas e Jihad Islamica nella striscia di Gaza, concentrandosi in particolare sui commandos che sparano missili Qassam. Inoltre il governo ha dato il proprio appoggio al piano di Mofaz per una zona cuscinetto all’interno della striscia di Gaza settentrionale che tenga i lanciatori di Qassam a distanza dai centri abitati israeliani.
Le forze di sicurezza israeliane hanno anche lanciato una vasta operazione contro i ricercati per terrorismo in Cisgiordania, arrestando più di duecento membri di Hamas e Jihad Islamica, compresi alcuni capi. La polizia ha decretato lo stato di massima allerta per sventare tentativi di attentato.
Tutte queste misure sono già state avviate. Ora resta da vedere se saranno sufficienti per indurre Hamas a darsi una calmata. Il principio della deterrenza prevede che l’altra parte si convinca che semplicemente non le conviene insistere con un certo tipo di azioni. È tuttavia molto sottile la linea che separa una risposta abbastanza forte da dissuadere Hamas, rispetto a un’azione eccessiva che potrebbe condurre a un’ulteriore deterioramento. Basta ricordare le offensive dell’artiglieria israeliana contro i terroristi Hezbollah libanesi nel Libano meridionale, che disgraziatamente causarono anche perdite di civili.
In Israele esiste un ampio consenso sul fatto che i centri abitati vicini al confine della striscia di Gaza non possono continuare a subire gli arbitrii dei lanciatori di Qassam, i quali solo nell’ultimo fine settimana hanno bersagliato la zona con una quarantina di missili. C’è ampio consenso anche a sostegno dell’uccisione mirata di quelle vere e proprie “bombe a orologeria” che sono i terroristi in procinto di compiere un attentato stragista contro israeliani. Sabato scorso, nel pieno dell’aggressione dei Qassam palestinesi, un razzo delle forze aeree israeliane ha ucciso quattro terroristi di Hamas, alcuni dei quali coinvolti in attacchi con Qassam e sparatorie. Un secondo colpo di precisione delle forze aeree ha ucciso, domenica sera, un capo terrorista della Jihad Islamica a Gaza.
Ciò che è in gioco, qui, va oltre la solita solfa della violenza palestinese, puntualmente ricominciata quando un piano della Jihad Islamica di compiere attentati in qualche parte d’Israele è stato sventato dalle Forze di Difesa israeliane con uno scontro a fuoco venerdì alle porte di Tulkarem (Cisgiordania), costato la vita a dei terroristi coinvolti nel progetto. Ciò che è in gioco è se il ritiro israeliano da Gaza può condurre a una riduzione della tensione e a un’entità palestinese concreta con la quale si possa discutere di “gestione” del conflitto, oppure se il disimpegno viene visto come una fuga sotto il fuoco nemico, spingendo quindi i palestinesi intransigenti a usare la violenza contro Israele tutte le volte che lo scontro politico interno palestinese lo richiede.
Venerdì, quando diciannove palestinesi sono stati uccisi dall’esplosione di ordigni esibiti in parata durante un raduno di Hamas illegale (secondo i criteri dell’Autorità Palestinese), Hamas si è ben guardata dall’assumersi la responsabilità per la sua criminale negligenza, trovando conveniente accusare piuttosto Israele. Benché Israele avesse chiarito che le sue Forze di Difesa non avevano nulla a che vedere con quell’incidente, e benché la stessa Autorità Palestinese ne avesse attribuito la responsabilità a Hamas, il gruppo jihadista ha deciso di occultare le sue colpe lanciando raffiche di Qassam contro Israele.
Le cose sono ancora più serie. Il capo di stato maggiore israeliano Dan Halutz ha recentemente lasciato intendere che Hamas sta lavorando a una versione del Qassam da 15 km di gittata. Un tale ordigno potrebbe facilmente colpire la città israeliana di Ashkelon. Il suo eventuale arrivo in Cisgiordania sarebbe addirittura catastrofico, giacché metterebbe sotto il tiro di missili nemici i più importanti centri abitati di Israele (Tel Aviv, Gerusalemme) e lo stesso aeroporto internazionale.
Il vero problema è la debolezza del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che non ha né la voglia né la capacità di mettere sotto controllo i suoi estremisti intransigenti.
Pertanto, nell’era del post-disimpegno, Israele ha necessità di ripristinare la sua forza deterrente. Il che significa far sì che gli attacchi del nemico costino molto caro, soprattutto ai caporioni del terrorismo che li orchestrano. L’obiettivo non è solo quello di fermare gli attacchi sul Negev, ma anche quello di costringere i palestinesi a pensarci due volte prima di trasformare la Cisgiordania in una base di lancio contro Israele.
La comunità internazionale dovrebbe capire che la Road Map non può fare neanche un passo avanti se Israele è sotto attacco. E che, se l’Autorità Palestinese non agisce, allora è Israele che deve farlo.

(Da: Jerusalem Post, 26.09.05)