La novità Obama e l’arretratezza dell’ostilità verso Israele

L’elezione del nuovo presidente americano non potrà cancellare magicamente realtà spiacevoli e forze ostili

M. Paganoni per NES n. 10, anno 20 - novembre 2008

image_2314“Nelle stesse ore in cui i cittadini americani eleggevano presidente Barack Obama – ha sottolineato il Jerusalem Post (6.11.08)– i terroristi di Hamas finivano di mettere a punto un attacco per prendere in ostaggio soldati israeliani, infrangendo il relativo cessate il fuoco in vigore da cinque mesi. I solerti ingegneri di Hamas avevano già completato un tunnel lungo quasi 250 metri tra la striscia di Gaza e il territorio israeliano”. Quando le forze israeliane sono intervenute per sventare l’attentato, la reazione di Hamas è stata quella di lanciare una lunga bordata di missili Qassam sugli agglomerati civili israeliani. Poche ore prima, il capo dei bombaroli di Hamas Mohammed Deif aveva rilanciato via web le sue minacce di morte contro il “nemico sionista”. “Dunque – proseguiva l’editoriale – mentre la striscia di Gaza dominata da Hamas, esaltata dal fanatismo religioso e inchiodata alla sua mentalità aggressiva e vittimista, proseguiva imperterrita la propria parabola di violenza, a diecimila chilometri di distanza andava in scena sotto gli occhi di tutti lo straordinario spettacolo del cambiamento pacifico di governo, della democrazia rappresentativa, della civiltà politica”. E concludeva: “Ben presto coloro che sono votati all’intransigenza, alla violenza e al terrorismo scopriranno, ancora una volta, che il legame fra due democrazie, Stati Uniti e Israele, va al di là delle differenze di partito”.
Qualunque ulteriore supposizione sui possibili risvolti mediorientali della presidenza Obama ci sembra del tutto prematura, così come ci sembrerebbe abbastanza provinciale esercitarsi intorno all’interrogativo su chi possa essere “l’Obama israeliano”. Può essere utile, invece, ricapitolare alcuni segnali inquietanti che la retorica mediorientale ha puntualmente riproposto nelle ultime settimane, quasi a confermare l’arretratezza in cui versa il conflitto contro Israele rispetto alla spinta innovativa che giunge da oltreoceano.
Il 5 novembre, ad esempio, proprio mentre mezzo mondo salutava l’elezione di Obama, il capo dei negoziatori dell’Autorità Palestinese Ahmed Qorei (Abu Ala) parlando con alcuni giornalisti ribadiva l’accusa a Israele di “inventare” inesistenti connessioni ebraiche con Gerusalemme. “Tutti questi tentativi – dice il rappresentante di Abu Mazen – sono destinati a fallire. Gerusalemme è musulmana al cento per cento e il presunto Tempio ebraico non è mai esistito: è una pura fantasia” (WorldNetDaily.com, 9.11.08).
Nel frattempo la tv ufficiale dell’Autorità Palestinese, non diversamente da quella di Hamas, continua a trasmettere programmi per l’infanzia con bambini palestinesi che recitano un copione in cui si ribadisce che Israele, da Metulla a Eilat, è tutto “Palestina occupata da liberare”: “Il mio nome è Hiyam e vengo dalla città occupata di Safed; il mio nome è Raad, dalla città occupata di Acco; il mio nome è Arhaf, dalla città occupata di Haifa”. E il conduttore : “Bravi, siamo felici che ci chiamino i nostri bambini dalle terre occupate di Palestina” (Palestinian Media Watch, 28.10.08).
Ricordava di recente Barry Rubin il tragico caso di un ragazzino egiziano affetto da fibrosi cistica che aveva bisogno di una medicina prodotta solo in Israele, la cui importazione è però vietata in Egitto. “I mass-media egiziani sono così controllati e così forte è la israelo-fobia in Egitto – scrive Rubin – che la versione in inglese del quotidiano Al-Ahram è stata considerata coraggiosa per aver riportato gli sforzi fatti dalla famiglia del ragazzino per ottenere la medicina israeliana”. E aggiunge: “Se non si capisce come questa storia sia tipica della regione, è impossibile capire il Medio Oriente. Pochi anni fa un funzionario americano mi raccontò dei fondi che erano stati offerti agli egiziani per realizzare un programma sull’inquinamento nel Mar Rosso. Ma il progetto prevedeva forme di cooperazione con Israele, e il funzionario si sentì rispondere che qualunque cosa che aiuti Israele è inaccettabile, indipendentemente da quanto possa essere positiva per l’Egitto”. Inseguendo la sua vendetta contro Israele e l’occidente, il mondo arabo si sta suicidando. Persino nei paesi moderati nessun funzionario, nessun mass-media e ben pochi intellettuali oserebbero mai dire: Israele non è il nemico, l’America non è il nemico, la vera battaglia da fare è quella per elevare gli standard di vita e promuovere le libertà. Si domanda Rubin: “Che importanza può avere che i notabili arabi parlino in tono rassicurante negli incontri diplomatici e ai mass-media occidentali se poi milioni di arabi, a casa loro, vengono bombardati da messaggi completamente differenti?” (Jerusalem Post, 13.10.08).
Tra questi messaggi non poteva mancare l’ultima calunnia in ordine di tempo, quella ampiamente circolata su decine di siti web secondo cui la crisi finanziaria mondiale è stata causata dagli ebrei. I quali, come al solito, avrebbero messo per tempo al sicuro centinaia di miliardi di dollari nelle banche israeliane. Al coro si è subito unito il portavoce di Hamas Fawzi Barhum accusando l’immancabile lobby ebraica “che controlla le elezioni americane e stabilisce la politica estera di ogni nuova amministrazione in modo da mantenere il controllo su governo ed economia degli Stati Uniti” (Ha’aretz, 7-12.10.08).
Né può mancare l’eterna negazione della Shoà. A fine settembre il canale news iraniano IRINN recensiva con entusiasmo un libro sulla Shoà “che offre uno sguardo critico sulla grande distorsione dell’evento storico chiamato Olocausto e ne descrive le evidenti contraddizioni per mezzo di disegni e testi satirici, sollevando interrogativi sulla pretesa sionista che sei milioni di ebrei siano stati uccisi dai nazisti tedeschi durante la seconda guerra mondiale”. Nel servizio, il rettore dell’Università Iraniana di Scienza e Tecnologia Mohammad Saeed Jabalameli si domanda: “Se l’Olocausto è un evento storico autentico, perché non permettono che venga indagato? Già questo indica che si tratta di una montatura senza fondamento” (Memri, 27.10.08).
Intanto sul fronte libanese il responsabile esteri dei jihadisti filo-iraniani Hezbollah, Nawaf al-Moussawi, annuncia candidamente all’ambasciatore norvegese il nuovo pretesto per fare guerra a Israele: “Non dobbiamo accettare la Linea Blu [fissata dall’Onu] come il confine fra Libano e Israele: è solo la linea che indica dove si sono ritirate le forze israeliane nel 2000. Ma priverebbe il Libano di milioni di metri quadrati di territorio nazionale” (YnetNews, 4.11.08).
E sul fronte palestinese, nel celebrare il quarto anniversario della scomparsa di Arafat, lo stesso presidente Abu Mazen celebra “la strada indicata dai martiri” George Habash, fondatore dell’Fplp, e Ahmed Yassin, fondatore di Hamas (Ha’aretz, 11.11.08).
Le aspettative suscitate dall’avvento di Obama alla Casa Bianca corrono il rischio di una grossa delusione. Come ha scritto Christopher Hitchens (slate.com, 10.11.08), i suoi fan sbagliano se credono “che basterà il fascino e la prestanza del nuovo presidente a spianare le realtà spiacevoli e ad ammansire tutte le forze ostili”.