La pace non è solo un (cinico) asset strategico

È innanzitutto un prezioso bene morale che deve guidare le scelte della società sia israeliana che egiziana.

Di Shlomo Avineri

image_3062A seguito degli sconvolgimenti che hanno investito l’Egitto e buona parte del Medio Oriente, è importante ricordare a noi stessi che la pace con l’Egitto non è solo un asset strategico, ma soprattutto un importantissimo bene morale. Spesso negli ultimi giorni siamo stati messi di fronte a un’alternativa assai problematica: sosteniamo la democrazia o tuteliamo l’interesse israeliano di preservare sicurezza stabilità? Quando un valore morale (la democrazia) viene contrapposto in questo modo alla realpolitik (stabilità e sicurezza), è facile scivolare nell’accusa di cinismo.
Ma la pace non è solo un accomodamento che riguarda il livello politico, militare e della sicurezza: è anche e soprattutto un bene morale. Il fatto che per trent’anni non un singolo soldato, israeliano o egiziano, abbia perso la vita in attività ostili lungo il confine fra i nostri due paesi, mentre nei trent’anni precedenti decine di migliaia di soldati israeliani ed egiziani erano rimasti uccisi o feriti, non è soltanto un buon risultato strategico: è innanzitutto un successo morale di prima grandezza, il cui merito va riconosciuto ai leader politici di entrambe le parti. Così come è perfettamente legittimo elogiare l’allora primo ministro israeliano Menachem Begin per aver fatto la pace con l’Egitto, anche a costo di contraddire molti dei suoi punti di vista, è altrettanto legittimo elogiare l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak per la determinazione con cui ha preservato, talvolta sotto pesanti pressioni, la pace avviata dal suo predecessore Anwar Sadat. Ciò non significa sostenere un despota: significa sostenere il contenuto morale della pace.
Cosa non è stato detto, qui, circa la pace con l’Egitto, soprattutto dalla destra? Che è una pace “fredda”, che in Egitto si oppongono alla normalizzazione dei rapporti con Israele, che vi sono diffusi sentimenti anti-israeliani nei mass-media, talvolta incoraggiati dal governo. Ed è meglio non ricordare cosa augurò a Mubarak il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, quando era ancora all’opposizione, durante una discussione sul rifiuto del presidente egiziano di venire in visita ufficiale in Israele. Era tutto vero, ma era irrilevante. Il fatto decisivo era che israeliani ed egiziani non si combattevano più, che i soldati non morivano più sui campi di battaglia, che non si creavano nuove vedove e nuovi orfani.
Anche una parte della sinistra israeliana hanno preso alla leggera la pace con l’Egitto. La sinistra era così focalizzata sulla necessità, in sé giustificata, di fare la pace con i palestinesi, che si dimenticava che abbiamo fatto la pace – una pace raggiunta a prezzo di considerevoli sforzi e sacrifici – con il più importante paese arabo: una pace che garantiva che nella regione non scoppiassero più guerre a tutto campo. Sia la destra che la sinistra tendevano a ignorare la dimensione morale della pace.
Ed è invece proprio questo ciò che deve guidare l’approccio di Israele agli sviluppi in Egitto. Innanzitutto dobbiamo guardare con ammirazione la compostezza che ha finora caratterizzato sia le masse di dimostranti, sia le unità dell’esercito schierate contro di loro: un comportamento tutt’altro che scontato in situazioni di questo genere. In altri paesi della regione, un confronto così pesante e prolungato molto probabilmente sarebbe sfociato in un bagno di sangue. L’assenza di violenza va accreditata non solo al rispetto che gli egiziani hanno per le loro forze armate, ma anche alla cultura egiziana.
Si può sperare che questa assenza di violenze, motivo di giusto orgoglio per gli egiziani, continui a caratterizzare anche gli sviluppi futuri. È nell’interesse di Israele lo sviluppo di una democrazia in Egitto, giacché la democrazia tende ad associarsi a un ripudio della bellicosità e della violenza. Ma la decisione sul regime interno dell’Egitto sarà affare soltanto dei cittadini egiziani, e noi faremo bene a non cercare di consigliar loro chi eleggere o chi non eleggere.
Ma in ogni caso, l’aspetto morale della pace, che si fonda sul principio di preservare la vita umana e la qualità della vita, deve essere la bussola per noi come per la società egiziana, che si è avviata ora su una nuova strada.

(Da: Ha’aretz, 14.2.11)

Nella foto in alto: Shlomo Avineri, autore di questo articolo