La questione fuori moda

Il conflitto israelo-palestinese torna alle giuste proporzioni: irrilevante per gran parte degli arabi.

Di Guy Bechor

image_3186Nel corso degli ultimi sei mesi o giù di lì, il mondo arabo ha perduto uno degli assi portanti su cui per decenni aveva pesantemente fatto leva, ed ora è costretto a ridefinire se stesso. Quell’asse era l’ostilità verso Israele, il solo collante in grado di tenere insieme – tutti insieme – gruppi etnici, gruppi religiosi, minoranze, governanti, clan e regioni che non avevano null’altro che li connettesse fra loro. L’odio verso Israele era in pratica l’unico terreno comune per tutti i soggetti della regione, che ora si stanno disperdendo ai quattro venti. Questo è esattamente ciò che i dittatori del passato facevano: Mubarak, Gheddafi, Assad e altri come loro distoglievano l’attenzione dei loro cittadini dai problemi interni dei loro paesi verso il comodo nemico esterno.
Era attraente odiare Israele. Quell’odio creava unità interna, e tutti i cittadini si bevevano la tattica diversiva. Oggi, invece, mentre un immenso pubblico arabo rivendica i suoi diritti, il conflitto con Israele è tornato alle sue giuste proporzioni: irrilevante per la gran parte degli arabi che non hanno niente a che spartire con Israele.
Quando scoppiò la crisi, più o meno sei mesi fa, i vecchi governanti tentarono il vecchio trucco. Gheddafi cercò di sostenere che Israele istigava la ribellione in Libia. Il presidente dello Yemen, Ali Abdallah Saleh, che c’era il Mossad dietro ai disordini del suo paese. E Assad proclamò che Israele – figuriamoci – mandava messaggi speciali alla popolazione siriana per spingerla a manifestare nelle strade. Naturalmente anche l’iraniano Ahmadinejad sosteneva cose del genere.
Il risultato peggiore, per questi regimi, è che quasi nessuno si beve più queste sciocchezze, mentre una volta erano in molti a crederci. Ora è il contrario: le ridicole accuse a Israele infiammano ancora di più la gente contro governanti impostori. Non solo il vecchio collante non tiene più le cose insieme, ma anzi le fa a pezzi ancora di più.
All’inizio della crisi, i mass-media tradizionali del mondo arabo tentarono di riaccendere artificialmente il vecchio conflitto, ma a poco a poco Israele è scomparso dall’agenda. Chi ha più tempo di parlare di Israele e della calma e stabilità che vi regnano quando la Siria sta bruciando, la Libia è già bruciata, lo Yemen sta prendendo fuoco, l’Egitto è in subbuglio, il Libano in ebollizione e tutto il nord Africa è in bilico? Chi ha più tempo per i “profughi professionisti” palestinesi che non hanno saputo riabilitarsi dopo 63 anni di aiuti internazionali, mentre tutto il Medio Oriente (e l’Europa) si va riempiendo di centinaia di migliaia di nuovi profughi?
Un’altra brutta botta ha colpito i mass-media tradizionali arabi: è nata una nuova generazione che vive molto più di internet che di mass-media tradizionali. Questa generazione vuole pensare da sé anziché avere qualcun altro che pensa al suo posto o sopra la sua testa. Facebook è uno strumento per curiosi e individualisti. Anche per questa ragione i giornali su carta nel mondo arabo stanno perdendo rapidamente diffusione e presto molti di loro chiuderanno del tutto. C’è dunque un’intera generazione che, bypassando i mass-media tradizionali, incontra il vero Israele via Facebook. Milioni di arabi sono alla ricerca di elementi di conoscenza che sono stati loro negati, e c’è grandissima curiosità. Oggi non è Israele che li raggiunge, sono loro che raggiungono Israele. Ed è un fenomeno in crescita.
Molte persone stanno scoprendo che il problema israelo-palestinese non è così centrale come veniva dipinto, ed oggi appare certamente più chiaro come esso non sia affatto al cuore dei conflitti del Medio Oriente. Al contrario, agli occhi di un numero sempre maggiore di arabi Israele appare in realtà come un modello che merita d’essere analizzato: la sua democrazia, il modo in cui ha integrato con successo oriente e occidente, l’alto livello di sviluppo della sua società civile. È un processo positivo per Israele. Gli si presentano chance migliori, nella regione, ora che vien meno l’istigazione usata dai dittatori nei decenni passati come strumento di potere. Ed è un processo positivo anche per le società arabe, che stanno sviluppando auto-consapevolezza: società che sono finalmente in grado di guardarsi dentro. Non vi sarà un nuovo asse centrale su cui l’intero mondo arabo potrà fare leva. Vi saranno invece innumerevoli assi autentici e stabili, ben più della vecchia illusione che oggi sta andando in pezzi.

(Da: YnetNews, 14.7.11)

Nella foto in alto: Guy Bechor, autore di questo articolo