La responsabilità dei palestinesi

Per settimane questo giornale ha riportato gli avvertimenti di coloro che denunciavano una realtà evidente.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_805Per settimane questo giornale ha riportato gli avvertimenti di funzionari della sicurezza e politici israeliani che denunciavano una realtà evidente: l’Autorità Palestinese non sta combattendo il terrorismo, i terroristi stanno utilizzando il cessate il fuoco per riarmarsi e riorganizzarsi, e dunque il terrorismo è destinato a tornare.
In effetti, già prima dell’attentato suicida a Netanya e del fallito attentato a Shavei Shomron, il terrorismo era già tornato sotto forma di tentativi di attentato sventati in tempo. Chiamare quello che è successo un test è dargli troppo credito: come se vi fosse una qualunque possibilità che il risultato fosse diverso. Ma quand’anche si considerasse legittimo il tentativo di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di convincere i terroristi con parole gentili a cessare i loro attacchi, si trattava comunque di un tentativo destinato al fallimento.
Come ha detto il vice primo ministro Ehud Olmert in un’intervista rilasciata prima degli ultimi attentati, ciò che Israele sostiene da tempo è che l’Autorità Palestinese deve contrastare i gruppi terroristici, non raggiungere degli accordi con loro o invitarli all’interno del suo governo, armati di tutto punto e più decisi che mai a fare la guerra a Israele. A questo proposito Olmert suggeriva ad Abu Mazen di andarsi a leggere qualche pagina della storia di Ben-Gurion. “I palestinesi – ha spiegato Olmert – continuano a dire: come osate pretendere che ci impegniamo in una guerra civile contro la nostra stessa gente? Ma se non si impegneranno in una campagna dura e determinata per disarmare le organizzazioni terroristiche, non vi sarà alcuna possibilità di dialogo genuino fra noi. Questo è esattamente ciò che fece Ben Gurion alla nascita di Israele, quando proclamò che Israele avrebbe avuto un solo esercito e un solo governo. E quando fu necessario, seppe affermare questo principio nel modo più combattivo e persino, all’occorrenza, con la forza”.
Pur chiarendo di non condividere tutto ciò che fece Ben Gurion, che le due situazioni non sono del tutto paragonabili e che Abu Mazen è libero di fare le cose alla sua maniera, Olmert ha comunque messo in chiaro un punto cruciale. “Questa è la vostra occasione – ha detto rivolgendosi alla dirigenza palestinese – Cogliendola, potete guadagnare molto. Perdendola, potreste non sopravvivere politicamente”.
La situazione odierna dei palestinesi e quella di Ben Gurion alla nascita di Israele sono, come Olmert non ha mancato di sottolineare, assai diverse. Innanzitutto Menachem Begin non era un terrorista, non ha mai perso di mira deliberatamente e sistematicamente i civili, né arabi né britannici. Di più, fu proprio Begin che evitò la guerra civile quando decise di non reagire con gli stessi metodi agli attacchi sferrati contro il suo gruppo per ordine del primo ministro Ben Gurion. Questo patriottico senso dello stato, questa capacità di autocontrollo non è esattamente ciò che ci si aspetta dai terroristi con cui Abu Mazen si trova a fare i conti.
Ma c’è una differenza ancora più importante. Sia Begin che Ben Gurion credevano profondamente e si battevano con determinazione per la costruzione di uno stato per gli ebrei. La dirigenza palestinese vuole far credere al mondo d’essere anch’essa votata a un’analoga impresa creativa, a differenza di Hamas e Jihad islamica che perseguono soltanto la distruzione di Israele attraverso il terrorismo. Ma il rifiuto da parte di Abu Mazen anche solo di toccare, per non dire di smantellare, le strutture del terrorismo che si è impegnato più volte a eliminare scredita questa sua pretesa. Il suo rifiuto di agire è sfociato direttamente negli attentati di questi giorni, per i quali dunque porta anch’egli la sua fetta di responsabilità. È un rifiuto che oltretutto rende irrilevanti le pretese, radicali differenze fra lui e i gruppi “del rifiuto”. Se vi fossero veramente tali differenze, se questi gruppi minassero davvero alle fondamenta il progetto di costruzione statale di Abu Mazen, perché allora non agisce con determinazione contro di loro? Questa mancanza di volontà e di determinazione lascia sospettare l’esistenza, piuttosto, di un alto grado di affinità ideologica. Finché Abu Mazen non dimostra il contrario, è difficile sfuggire alla sensazione che la dirigenza palestinese in fondo condivida il credo degli estremisti intransigenti, secondo i quali il popolo ebraico semplicemente non ha alcun diritto nazionale all’indipendenza in generale, e certamente non su questa terra, e il solo stato palestinese legittimo è quello che deve sorgere nella guerra al posto di Israele, non nella pace a fianco di Israele.
La comunità internazionale deve aiutare Israele a far capire ai palestinesi che il terrorismo non riuscirà né a costruire il loro stato, né a distruggere lo stato di Israele. Non vi sono scuse per continuare ad “aiutare Abu Mazen” quando questo “aiuto” serve solo a incoraggiarlo a continuare su una strada sbagliata. Non capirlo potrà solo costare altre vite umane, sia israeliane che palestinesi.

(Da: Jerusalem Post, 13.07.05)

Nella foto in alto: Campo ricreativo per ragazzini palestinesi organizzato da Hamas