La retorica dell’aggressione intellettuale alla cultura araba

Assad cerca di salvarsi tingendo di colori islamici il suo classico pan-sirianesimo

Da un articolo di Emmanuel Sivan

image_1859Buone notizie – si fa per dire – per i fanatici della lingua araba: coraggio, non siete soli, è spuntato un nuovo alleato: il presidente siriano.
Nel discorso con cui ha inaugurato il suo recente reincarico, Bashar al Assad ha definito una minaccia nazionale la diffusione di parole straniere e ha indicato una serie di “istruzioni” volte ad impedire il deterioramento dello status della lingua araba nella pubblicità, nei mass-media, nell’istruzione. Ha anche chiesto di aiutare l’arabo a diventare più moderno “cosicché possa essere integrato nello sviluppo scientifico e cognitivo”.
La Siria è un paese ordinato. Il presidente parla e il primo ministro esegue. Così il primo ministro ha ordinato ai governatori regionali di applicare un sistema di “arabizzazione” che consiste fondamentalmente nel rimuovere le insegne non arabe: marchi e concetti divenuti popolari negli anni ’90 quando la globalizzazione penetrava anche in Siria. I governatori hanno ricevuto l’ordine di sostituirli con scritte in arabo, con sotto le parole non arabe in lettere minuscole. Nella pubblicità dovrà essere usato il puro arabo letterario, senza espressioni tratte dal linguaggio colloquiale, considerato una sua versione “inferiore e disonorevole”. Ogniqualvolta sorgerà un dubbio sulla traduzione da una lingua straniera, si dovranno seguire le direttive dell’Accademia per la Lingua Araba, che naturalmente ha sede a Damasco, vero “cuore pulsante dell’arabismo”. Il regime ha adottato una politica analoga verso scuole e college privati specializzati in lingue straniere, i quali hanno ricevuto di recente l’ordine di focalizzarsi sulle materie fondamentali, che vengono insegnate in arabo.
Molte cose sono cambiate da quando, negli anni ’80, i comici siriani usavano raccontare la storiella di quei due ufficiali alawiti. “Non potremo integrarci nell’economia globale finché non sapremo le lingue straniere”, diceva il primo. E l’altro rispondeva: “Non è vero. Proprio ieri ho visto un turista che chiedeva indicazioni ai passanti in cinque lingue diverse per le vie di Damasco e nessuno gli rispondeva. A che gli serviva mai sapere tutte quelle lingue?”. Oggi giovani e vecchi affollano i corsi di lingua organizzati dalle ambasciate e dagli istituti stranieri. E alcuni sono alawiti che lavorano per il governo o nell’esercito.
Questa faccenda illustra il senso di assedio che sta sperimentando il regime siriano, che viene contrapposto ad una “invasione culturale occidentale”. Al-ghazw al-fikri (“aggressione intellettuale”) è una locuzione araba assai illuminante. Proviene dal lessico dei Fratelli Musulmani e viene usata per sottrarre consensi a questo grande movimento d’opposizione, che non gode di status legale ma è aiutato dall’ondata di fanatismo religioso che investe la comunità urbana. Lo slogan del partito Ba’ath “la Siria al centro dell’arabismo” viene riverniciato da Assad con colori islamici.
Basterà questo a sorreggere la sua traballante legittimità? Si vedrà. Nel frattempo potrebbe risultare utile riaffermare un nemico esterno comune, nello spirito dei tempi e dello “scontro di civiltà”.
Ma nulla è garantito, soprattutto perché è alle porte un secondo nemico del regime. Come è stato notato, il regime si basa su una combinazione di sirianismo e arabismo. Ma l’accento sull’elemento siriano, in un momento in cui la Siria appare isolata sulla scena araba, va a cozzare contro una visione alternativa. È Al Qaeda che pone oggi la maggiore sfida allo stato-nazione, sia esso siriano, algerino o simili. Il suo slogan è “wataniya = wathniya” (stato nazione uguale paganesimo), ed esprime una visione in cui il mondo islamico torna a come era suddiviso prima del XX secolo. Al Qaeda si picca di chiamare “al-Sham” l’area della cosiddetta Grande Siria (Siria, Libano, Giordania e Israele/Palestina). Alcuni dei più importanti ideologi di al Qaeda sono siriani e diffondono queste concezioni via internet. Una interpretazione possibile: smantellare la Siria e integrarla in “enclave liberate” di al-Sham. Presto i volontari siriani faranno ritorno dall’Iraq, portandosi appresso idee di questo tipo. In breve, l’isolato regime di Assad, la cui base di legittimità è sempre più fragile, ha ottimi motivi per preoccuparsi. Anche al suo interno.

(Da: Ha’aretz, 5.10.07)

Nella foto in alto: Un check-point siriano