La sconfitta politica che si auto-infliggono gli arabi israeliani

Anziché promuovere l’integrazione, i parlamentari arabo-israeliani alimentano l’estremismo e non esitano a sostenere i terroristi

Di Reuven Berko, Yoaz Hendel

Reuven Berko

Scrive Reuven Berko: «Finché non ce l’ha spiegato lui personalmente in un’intervista lunedì a radio Galei Tzahal poco dopo essersi dimesso dalla Knesset, non sapevamo che il parlamentare della Lista Araba Comune Basel Ghattas, che ha giurato fedeltà al parlamento israeliano, era sostanzialmente un “combattente per la libertà palestinese guidato solo dalla propria coscienza”. A quanto pare Ghattas dovrà stare in carcere solo due anni, dopo che ha patteggiato la pena, nonostante il fatto che, nel quadro della sua “lotta”, abbia contrabbandato cellulari e documenti a terroristi detenuti mettendoli in condizione di proseguire la loro attività terroristica: vergognosi crimini di frode e abuso di fiducia da parte di un pubblico rappresentante eletto in parlamento. Ma chiunque consideri la saga dell’assurdo che vede protagonista Ghattas – una sorta di clone dell’ex parlamentare arabo-israeliano Azmi Bishara (dello stesso partito Balad, parte della Lista Araba Comune), fuggito da Israele quando capì che le autorità avevano le prove che durante la guerra in Libano del 2006 aveva passato a Hezbollah le coordinate per gli attacchi missilistici contro obiettivi civili – non si stupirà granché per il suo comportamento. E’ così che si comporta Balad, un partito carico di odio che opera al servizio dei nemici di Israele, finanziato dalla casa reale del Qatar. Già partecipando alla flottiglia filo-Hamas, Ghattas aveva essenzialmente espresso il suo sostegno agli islamisti che uccidono i suoi correligionari cristiani in Medio Oriente. Quando gettò benzina sul fuoco negando il diritto degli ebrei ad accedere al Monte del Tempio a favore degli islamisti, tradì Gesù, il suo Messia. Operando al servizio del terrorismo, ha tradito il suo giuramento di fedeltà alla Knesset.

Parlamentari della Lista Araba Comune alla spianata delle moschee, sul Monte del Tempio di Gerusalemme. Basel Ghattas è il primo da destra

Di fatto Ghattas ha ricusato lo stato di Israele, cui aveva giurato lealtà. La chiave del suo comportamento, ci ha spiegato, si trova nel fatto che definisce i suoi crimini come “atti di coscienza e umanitari” giacché, secondo i parametri morali dei terroristi, chi uccide deliberatamente civili innocenti è un “combattente per la libertà”. Ghattas lo disse a chiare lettere ancor prima di questa incriminazione: “Io sostengo la lotta del popolo palestinese, voi li chiamate assassini, ma ai miei occhi e agli occhi del popolo palestinese non sono assassini, bensì combattenti per la libertà”. E nell’intervista di lunedì scorso ha sinistramente ribadito la sua dottrina: “Noi, arabi in Israele, stiamo arrivando alla conclusione che forse è giunto il momento di formulare una nuova strategia contro lo stato”. Più chiaro di così.» (Da: Israel HaYom, 21.3.17)

Yoaz Hendel

Scrive Yoaz Hendel: «La sera delle scorse elezioni, ospiti e opinionisti negli studi televisivi, come il sottoscritto, hanno commentato fino alla nausea un dato che non conoscevano: che il risultato avrebbe sorpreso tutti sancendo la vittoria del Likud, che prese 10 seggi più di quelli previsti da tutti i sondaggi. Da tempo nelle elezioni israeliane c’è una sola regola fissa: l’elemento sorpresa. Una volta è il partito dei pensionati, emerso come fattore decisivo; un’altra il partito Kadima, poi Yesh Atid. L’ultima volta il Likud. Le prossime elezioni saranno centrate sulla figura del primo ministro Benjamin Netanyahu. Il Likud dovrà vedersela con avversari a destra e a sinistra. Dopo le elezioni, potrebbe formarsi una coalizione “anti-Netanyahu” fra tutti gli attori della destra: Naftali Bennett, Avigdor Lieberman, Moshe Ya’alon, Moshe Kahlon. Oppure potranno esserci apparentamenti con il partito centrista di Lapid, e anche con il partito laburista e con il Meretz, se dall’altra parte non ci sarà il Bayit Yehudi di Bennett. Ciò che tutti hanno in comune è che non vogliono Netanyahu come primo ministro: alcuni lo dicono solo a porte chiuse, altri lo dicono ad alta voce, ma il desiderio è comune. C’è un solo partito alla Knesset che non può essere preso in considerazione per qualsiasi tipo di alleanza, ed è la Lista Araba Comune. Non farà parte di nessuna coalizione e nemmeno di qualche accordo pre-elettorale, come si è visto anche nelle ultime elezioni. L’essenza della sua politica è quella di essere presente nel parlamento israeliano, non di influenzarlo. Fino a quando quel partito parlerà il linguaggio del nazionalismo arabo estremista, non potrà coesistere in nessuna coalizione politica israeliana. Evidentemente, dopo 70 anni, dobbiamo prendere atto del fatto che la coesistenza è affare dei cittadini comuni, non dei politici arabi.

Fermo-immagine da un video della telecamera di sicurezza che mostra il parlamentare arabo-israeliano Basel Ghattas (a destra) mentre consegna una busta a un terrorista detenuto in una prigione israeliana

Per far parte di una futura coalizione, e magari anche di un governo, gli arabi israeliani devono integrarsi nel contesto sociale, culturale e politico israeliano: l’integrazione nella società come impegno civile e politico, non come un movimento carsico che cerca di passare inosservato. Gli ebrei in tutto il mondo hanno sempre pregato per il ritorno a Gerusalemme, ma intanto facevano tutto quanto in loro potere per integrarsi nei paesi in cui vivevano. Prendevano parte al governo, consigliavano re e presidenti, lanciavano movimenti politici. A differenza di Israele (lo stato mediorientale dove è più conveniente vivere come musulmani o cristiani), gli stati europei dove vivevano gli ebrei sono stati spesso spietati con le minoranze al loro interno. Ma gli ebrei non disperavano: quando gli chiudevano la porta in faccia, entravano dalla finestra; e se chiudevano la finestra, entravano da qualche fessura nel muro. Gli ebrei servivano nelle forze armate, pregavano per le sorti del regno, intrattenevano con lo stato rapporti di grande lealtà, privi di eversive smanie nazionaliste. Basta vedere gli ebrei collegati con le amministrazioni Obama e Trump per capire la mentalità ebraica circa l’impegno civile e politico nella Diaspora. Alcuni mesi fa si è parlato in Israele della costituzione di un nuovo partito arabo che avrebbe operato per promuovere l’integrazione della minoranza nella società israeliana. Personalmente l’avevo considerato la prima vera start-up araba. Senza adottare per intero il modello ebraica nella Diaspora, sono convinto che anche solo una parte di esso aiuterebbe la convivenza. Purtroppo non se n’è fatto nulla. E così restiamo con la Lista Araba Comune e con i limiti che la politica araba in Israele si auto-impone, senza nemmeno l’ambizione di sorprenderci alle elezioni.» (Da: YnetNews, 21,3,17)