La sindrome del massacro di Jenin

Come nella primavera 2002, molta stampa internazionale preferisce le suggestioni ai fatti documentabili

Da un articolo di Sever Plocker

image_1314Dopo qualche esitazione e un brevissimo tentativo di mostrarsi equilibrata, una buona parte della stampa internazionale è ricaduta alla grande in piena “sindrome del massacro di Jenin”.
Per ricapitolare: molti dei più autorevoli giornalisti del mondo descrissero i combattimenti a Jenin nella primavera del 2002 come un massacro a sangue freddo di migliaia di palestinesi perpetrato dalle spietate Forze di Difesa israeliane. Le tv di tutto il mondo mostrarono “testimoni oculari” che si diffondevano in dettagliati resoconti di raccapriccianti azioni dei soldati israeliani, in realtà mai avvenute. I reporter televisivi si facevano riprendere davanti a qualche edificio distrutto come “prova” sul campo che Israele aveva raso al suolo senza pietà un’intera città e il campo profughi adiacente. Ci vollero mesi perché le organizzazioni dei diritti mani e persino le Nazioni Unite pubblicassero i loro rapporti che smentivano le accuse palestinesi: non vi era stato alcun massacro a Jenin, nessuna pulizia etnica, nessuna distruzione intenzionale di ospedali. C’era stata una sanguinosa, durissima battaglia, con morti e feriti da entrambe le parti.
Può anche darsi che la leggenda del “massacro di Jenin” nel frattempo sia in po’ svanita, ma se ne trassero i dovuti insegnamenti? Qualcuno sì. Dopo di allora i media europei hanno dimostrato qualche attenzione in più per le sofferenze dei civili israeliani sotto attacco, senza appoggiare (in generale) gli Hezbollah. Ma sotto altri aspetti, la calunnia del massacro di Jenin non ha insegnato nulla.
Durante la seconda settimana di combattimenti, la campagna militare di Israele in Libano è stata correntemente descritta come la distruzione totale del Libano, di tutte le sue strutture civili essenziali, come una tragedia umana paragonabile allo tsunami che nel 2004 uccise centinaia di migliaia di persone nel sud-est asiatico. A leggere certi resoconti giornalistici, molti politicamente schierati, ci si fa l’idea che Beirut sia stata annientata come Dresda durante la seconda guerra mondiale. Molte tv straniere rimandando in onda innumerevoli volte gli stessi spezzoni, mostrando le distruzioni in un certo quartiere di Beirut sud a “dimostrazione” di quanto starebbe accadendo in tutta la città e in tutto il paese.
La cosa più preoccupante di questa ennesima ondata di sbilanciamento anti-israeliano è la sua dimensione globale: leader e opinion maker in America Latina, ad esempio stanno condannando Israele con termini fra i più duri che si possano immaginare. La Commissione Onu per i Diritti Umani si è unita al coro, come hanno fatto organizzazioni giuridiche internazionali, star del cinema, persino giornalisti. Denunce e condanne che, purtroppo, si avvalgono di affermazioni arroganti e compiaciute di alcuni, pochi, politici e generali israeliani. Dichiarazioni come “riportare il Libano indietro di decenni” – probabilmente fatte per rincuorare il fronte interno e nel contesto di una guerra psicologica verso il nemico – sono state entusiasticamente rilanciate e ritrasmesse dai mass-media di tutto il mondo a dimostrazione delle intenzioni devastatrici di Israele.
E dov’è la verità, in tutto questo? I bombardamenti delle forze aeree israeliane hanno provocato, come sempre accade in guerra, danni e distruzioni. Ma si tratta di danni estremamente limitati. Israele non sta affatto “spianando il Libano”, né ha alcuna intenzione di farlo. A Beirut, finora, sono stati colpiti le piste dell’aeroporto e diversi obiettivi ed edifici nel quartiere sciita. Il che è ben lungi dal corrispondere agli orrori mandati in onda ogni sera sulle televisioni, e alle accuse di crimini di guerra.
La situazione nel Libano meridionale è peggiore a causa della prevista fuga di civili. Ma il problema è che Hezbollah ha trasformato tutto il sud del Libano in una zona di guerra, cancellando ogni distinzione fra aree militari e aree civili. Così molti civili sono stati costretti a sfollare sia dal sud del Libano, sia dal nord di Israele.
Ma anche qui, resoconti di una “naqba libanese”, di un disastro umanitario ripugnante non riflettono la realtà delle cose. Non è altro che la propaganda orripilante cui tanti amano credere, compresi non pochi giornalisti israeliani: analisti che ripetono le accuse senza aver verificato i fatti, e che si lanciano in prediche morali basandosi su queste accuse non accertate.
Anche i numeri, come sempre, non raccontano tutta la verità. La morte anche di un solo innocente è una tragedia terribile, e 500.000 sfollati sono un dato sicuramente spaventoso. Ma anche i numeri vengono piegati alle operazioni di pubbliche relazioni. Al momento in cui scriviamo, circa 360 libanesi sono rimasti uccisi nelle azioni militari israeliane, circa la metà dei quali combattenti Hezbollah (a differenza di quanto asserito dalle autorità libanesi). Dopo due settimane di bombardamenti, queste cifre ci parlano di una guerra “a bassa intensità”. Non è in corso nessuna “distruzione del Libano”, esattamente come non vi è mai stato alcun “massacro di Jenin”.

(Da: YnetNews, 23.07.06)

Nella foto in alto: Un soldato israeliano ferito nei combattimenti con terroristi Hezbollah al confine nord di Israele.