La sinistra liberal per Israele

Edward Kennedy capiva i veri dilemmi che Israele deve fronteggiare

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2593La morte del senatore Edward Kennedy, vera quintessenza del liberal di sinistra, ci ricorda che vi fu un tempo in cui essere liberal di sinistra coincideva con essere a favore di Israele. Il liberalismo di sinistra alla Kennedy aveva le sue radici nell’ottimismo verso il genere umano, nella fiducia nel bene che il governo può fare e nella forza dei negoziati per risolvere problemi apparentemente insolubili.
Kennedy fece il suo primo viaggio in Israele nel 1962 come preludio della sua campagna da senatore. Benché ufficialmente in “visita privata”, Kennedy tenne un “fervente discorso sionista” davanti a duemila studenti dell’Università di Gerusalemme. Solo un gruppetto di comunisti inscenò una dimostrazione contro la sua presenza. A quei tempi, liberal di sinistra e comunisti erano acerrimi nemici.
Senatore di fresca nomina, Kennedy divenne presidente della sottocommissione sui profughi internazionali. Quando gli venne il sospetto che i soldi dell’agenzia Onu per i profughi palestinesi UNRWA – in gran parte elargiti dal contribuente americano – venissero dirottati ad Ahmed Shukeiry, il predecessore di Yasser Arafat, e ai suoi miliziani, protestò con determinazione. Dopo aver visitato i campi profughi arabi in Libano e nella Cisgiordania allora occupata dalla Giordania, Kennedy si fece promotore di programmi di riabilitazione e formazione, per aiutare gli sfollati della guerra del 1948 a iniziare una nuova vita. I leader israeliani appoggiarono i suoi sforzi. Ma gli arabi insistevano che l’unica soluzione per i profughi fosse il loro ritorno alle case originarie con la demolizione di Israele.
Kennedy non era affatto un sostenitore acritico di Israele. Si opponeva ai raid di ritorsione contro i feddayin arabi, e invocava la mediazione di una parte terza. Nel 1966 avanzò un suo piano per la pace in Medio Oriente che propugnava il rispetto dell’integrità territoriale di tutti gli stati della regione. Gli arabi non ne vollero sapere.
Dopo la guerra dei sei giorni del 1967 Kennedy restò saldamente amico di Israele e disse che, a livello personale, non aveva obiezioni a che Gerusalemme rimanesse unita sotto sovranità israeliana. Durante l’amministrazione Nixon caldeggiò la vendita a Israele di caccia tipo Phantom, scontrandosi con J.W. Fulbright, il potente presidente della commissione del Senato per le relazioni con l’estero.
Nei primi anni ‘70 era già uno dei principali sostenitori del movimento per gli ebrei sovietici. Nel 1974 fece irritare il Cremlino incontrando i refusenik ebrei a Mosca.
Per tutti gli anni delle presidenze (repubblicane) Nixon e Ford, Kennedy sostenne con forza l’aiuto militare a Israele. Quando il presidente (democratico) Jimmy Carter fece pressione a favore di un’importante fornitura di armi all’Arabia Saudita, Kennedy gli votò contro, pur accogliendo la richiesta della Casa Bianca di non capeggiare l’opposizione all’accordo. Ma si oppose costantemente agli occasionali corteggiamenti di Carter verso l’Olp, allora isolata (in quanto apertamente terrorista). E quando l’amministrazione Carter appoggiò una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ispirata dagli arabi che chiedeva la rimozione di tutti gli insediamenti ebraici oltre la linea armistiziale del 1949, Kennedy definì “vergognoso” il voto degli Stati Uniti: voleva che le parti negoziassero tutte le questioni, compresa quella dei confini e degli insediamenti.
Nel 1980 sfidò senza successo Carter alle primarie del partito democratico, pur avendo ricevuto un forte appoggio dal rabbino Alexander Schindler del movimento riformato e da altre personalità dell’ebraismo liberal americano. Carter finì poi col perdere la sua corsa per il secondo mandato presidenziale, battuto alle elezioni dal repubblicano Ronald Reagan.
Anche Reagan, quando nel 1981 cercò di vendere caccia F-15 all’Arabia Saudita, si imbatté nell’opposizione di Kennedy. E quello stesso anno, di fronte della reazione smodatamente scandalizzata dell’amministrazione Reagan per l’attacco israeliano all’impianto nucleare iracheno, Kennedy biasimò quella reazione come “profondamente sbagliata”.
Oggi il liberalismo di sinistra pro-israeliano impersonato da Kennedy, Hubert Humphrey, Henry Jackson, Daniel Patrick Moynihan e Jacob Javits sembra una cosa arcaica. Quella era la generazione che aveva visto di prima mano che il rifiuto arabo dell’esistenza di Israele era alla radice del conflitto. Oggi l’invocazione di gettare gli ebrei a mare è stata rimpiazzata da iniziative arabe per una soluzione “a due stati” che suonano assai più ragionevoli. Solo tra le righe – là dove si parla di riconoscimento, confini, militarizzazione e profughi – emerge qualcosa di diverso. Un tempo non c’erano insediamenti, eppure gli arabi perseguivano la distruzione di Israele. Ieri, invece, un compendio della CNN indicava gli insediamenti come l’ostacolo per eccellenza alla pace.
Forse i vecchi liberal alla Kennedy erano i veri centristi e i progressisti di oggi sarebbero quelli davvero di sinistra. O forse, sessant’anni dopo, i liberal sono semplicemente diventati impazienti e insofferenti, dopo le guerre in Libano, i posti di blocco, l’isolamento di Gaza. Oggi il catechismo del liberal di sinistra recita: 1) tutti i conflitti sono risolvibili 2) Israele è la parte più forte 3) dunque è Israele che deve assumersi i maggiori rischi per la pace. I liberal di sinistra si innervosiscono perché Israele non abbraccia questi principi “senza se e senza ma”. Ma se noi riusciamo a sopravvivere in questa regione, è proprio perché non lo facciamo.
Edward Kennedy lo capiva, e capiva molto di più. Israele ne sentirà acutamente la mancanza.

(Da: Jerusalem Post, 28.08.09)

Nella foto in alto: il senatore Edward Kennedy (1932-2009).

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https://www.israele.net/sezione,,2232.htm