La vana “terza via araba” dei sauditi

Lo scontro fra campo filo-occidentale e campo filo-Iran divide il mondo arabo

di Jonathan Spyer

image_2721Il presidente siriano Bashar Assad è in visita a Riyad, in Arabia Saudita, per incontrare re Abdullah. L’incontro dovrebbe fare da preludio a un successivo summit a tre che coinvolgerà anche il presidente egiziano Hosni Mubarak. La tornata di colloqui si presenta come l’ultima fase del processo di uscita della Siria dall’isolamento, nel senso di un suo reintegro – alle sue condizioni e senza fare alcuna concessione – nell’alveo della diplomazia araba. Un processo che, a sua volta, testimonia dell’attuale debolezza della posizione saudita.
I due tradizionali perni del moderno ordine statale arabo, Egitto e Arabia Saudita, si trovano oggi in una posizione assai scomoda. Il processo strategico centrale in corso nella regione è il conflitto fra Stati Uniti, Israele e loro alleati da un parte, e la Repubblica Islamica d’Iran coi suoi clienti dall’altra. Questo scontro fra forze guidate da non-arabi ha mandato in frantumi i tradizionali moduli della diplomazia araba, con gli stati arabi vincolati a uno o all’altro fronte.
La frattura si è rivelata nel modo forse più evidente, e per gli arabi più imbarazzante, sulla scena arabo-israeliana. Durante l’operazione anti-Hamas nella striscia di Gaza di un anno fa, la Lega Araba non riuscì nemmeno a raccogliere il quorum necessario per emettere una condanna formale delle azioni israeliane. Questo perché la lacerazione all’interno del campo palestinese aveva di fatto dato vita a due movimenti nazionali palestinesi, uno allineato con il campo filo-iraniano (Hamas), l’altro associato al campo filo-occidentale. E con l’operazione anti-Hamas nella striscia di Gaza, Israele era in guerra contro l’elemento palestinese filo-iraniano.
I sauditi sono atterriti dal regime iraniano. E sono a in profonda difficoltà in una situazione che vede passare nelle mani degli iraniani il grande vessillo legittimante della lotta islamica e mediorientale contro Israele. Per questo i sauditi cercano di riassorbire nel gregge della diplomazia araba i due soggetti arabi che si sono più avvicinati a Teheran: la Siria e gli islamisti palestinesi.
M c’è un fatale difetto in questo disegno saudita e il difetto sta nella debolezza di Riyad. I sauditi possono solo cercare di irretire. Non possono pretendere, né tanto meno costringere. Quello che vorrebbero presentare come un reciproco riavvicinamento finisce così per sembrare più che altro una resa al campo filo-iraniano.
Così, sin dallo scorso ottobre Riyad si è data da fare con i siriani. Finora il principale risultato politico di questo attivismo è stata la nascita del nuovo governo in Libano: un governo reso possibile dal fatto che i clienti libanesi dell’Arabia Saudita hanno interamente ceduto alle richieste dei libanesi filo-siriani e filo-iraniani dopo cinque mesi di inutili trattative. Dopodiché i leader del nuovo governo libanese hanno fatto una serie di visite supplichevoli a Damasco. Sono impegnati a non disturbare le forze militari indipendenti filo-iraniane presenti in Libano (Hezbollah).
Ora pare che Riyad stia cercando di fare qualcosa di analogo sulla scena palestinese, dove sono in corso frenetiche iniziative diplomatiche. Il leader di Hamas Khaled Mashaal ha incontrato il presidente siriano a Damasco. Nell’occasione Assad gli ha sottolineato quanto sia importante l’unità dei palestinesi. Successivamente si sa che i sauditi hanno incoraggiato Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a incontrare Mashaal a Damasco. Non è ancora chiaro dove esattamente vogliano arrivare, ma quel che è certo è che queste recenti iniziative da parte dell’Arabia Saudita non sono che l’ultima dimostrazione del fatto che la politica di rottura siriana funziona, per lo meno contro avversari deboli e incerti. Infatti, pur tenendosi stretta la loro alleanza con gli iraniani e senza concedere nulla in cambio, i siriani sono stati invitati di nuovo al tavolo nobile della diplomazia araba. Questo, sperano i sauditi, dovrebbe aprire la strada al glorioso obiettivo di cercare di rimettere insieme le uova della frittata, vale a dire ricostruire la diplomazia araba nella regione sulla confortante linea tradizionale del “tutti insieme contro Israele” (se non altro a parole).
Il problema, in tutto questo, è che non funzionerà. Se i sauditi o chiunque altro crede che l’alleanza filo-Iran possa essere fermata nel suo corso porgendole la vittoria, si sbaglia tragicamente. Il risultato della capitolazione in Libano non è stato quello di ripristinare la “normalità” in quel paese, bensì quello di riportarlo stabilmente nell’orbita siriano-iraniana.
In ogni caso, non è affatto certo che il socio di maggioranza – l’Iran – sia interessato a una riunificazione dei palestinesi. Quello che vogliono gli iraniani è il controllo sulla prima linea del conflitto delle forze islamiche contro Israele, per come lo vedono loro. Attualmente controllano il fronte nord (Libano) e il fronte sud (Gaza). Difficile capire perché mai dovrebbero accettare di cederne uno.
Comunque, le attuali iniziative saudite sembrano un tentativo di far girare all’indietro le lancette dell’orologio per tornare ai bei tempi in cui gli arabi potevano mostrarsi tutti uniti, e felicemente inerti, dietro ai loro proclami di sostegno alla causa palestinese. Le ambizioni iraniane sulla regione hanno posto fine tutto questo e nel concreto hanno prodotto nuovi e insoliti schieramenti. Sono il frutto di una realtà che non mostra segnali di un significativo cambiamento nel futuro prevedibile. Oggi in Medio Oriente c’è uno schieramento guidato dagli Stati Uniti e uno guidato dall’Iran. Non c’è una terza posizione, araba. Nel frattempo, fare regali ai principali soci arabi dell’Iran non servirà a saziare il blocco filo-iraniano, ed anzi non farà che accrescere i suoi appetiti.

(Da: Jerusalem Post, 14.1.10)

Nella foto in alto: Il presidente siriano Bashar Assad ricevuto mercoledì all’aeroporto di Riyad dal re saudita Abdullah bin Abdul Aziz