Laburismo a pezzi

La defezione di Barak è una mazzata, ma la crisi ideologica è ben più profonda, e non solo in Israele.

Editoriale del Jerusalem Post

image_3038L’annuncio fatto lunedì da Ehud Barak che insieme a quattro altri parlamentari laburisti avrebbe abbandonato il suo partito per dare vita a una nuova formazione denominata “Atzmaut” (indipendenza), rimanendo all’interno della coalizione di governo, ha gettato nel caos un partito politico un tempo illustre, in effetti il partito che ha governato per i primi 29 anni della storia del moderno Israele.
La mossa ha anche rafforzato la posizione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, eliminando i continuo timore che tutti i tredici parlamentari che fino a domenica costituivano il gruppo parlamentare laburista lasciassero da un momento all’altro la coalizione, per protesta contro la mancanza di progressi nei colloqui coi palestinesi. Anche se va detto che ora la coalizione, passata da 74 a 66 seggi (su 120), è più che mai esposta a possibili estorsioni da parte di uno o l’altro dei partiti che la compongono.
L’azione, scaltra e tenuta fino all’ultima segreta come è tipico dell’ex membro dei commando Barak, in un colpo solo gli ha permesso di conservare il posto di ministro della difesa e di anticipare l’ incombente mossa dei suoi rivali interni laburisti, che avrebbero voluto forzare il partito a rompere l’alleanza di governo col Likud: in questo modo, invece, è Barak che si lascia alle spalle il partito laburista in condizioni critiche.
Barak e il quartetto che lo ha seguito potrebbero anche finire col fondersi nel Likud. Oppure potrebbero mantenere la promessa di Barak di formare un nuovo partito di centro. O potrebbero semplicemente scomparire dal panorama partitico alle prossime elezioni. Dal canto loro, i rimanenti parlamentari laburisti potrebbero superare la loro miriade di divergenze personali e l’apparente mancanza di coerenza ideologica, riconcentrarsi e diventare una potente forza di opposizione. Oppure possono finire col frammentarsi in più fazioni e sotto-fazioni, come tanti altri relitti politici.
Barak è stato un presidente di partito altezzoso e polemico. Ma è francamente ingiusto da parte di veterani laburisti come Uzi Baram e Moshe Shahal, e di parlamentari laburisti in carica come Eitan Cabel, affermare che Barak sia personalmente responsabile d’aver “completamente distrutto” del partito. La defezione di Barak è una mazzata, certo, ma è anche il sintomo di una crisi ideologica della sinistra ben più profonda, e non solo in Israele.
Dopo il crollo finanziario del 2008, si ebbe un ritorno di politiche economico social-democratiche volte a neutralizzare quelle che venivano percepite come le carenze di un capitalismo sfrenato. Ma il pendolo è rapidamente tornato indietro, con i risultati delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti del novembre scorso, e la vittoria dei conservatori e dei liberal-democratici britannici sui laburisti di Gordon Brown. La spinta a tagliare le spese per programmi di pubblica assistenza ha attraversato un po’ tutta l’Europa dalla Spagna, al Portogallo, dall’Italia alla Grecia, dall’Irlanda ad altri paesi alle prese con un debito in rapida espansione.
In Israele le politiche economiche neo-liberali attuate sotto il governo di Ariel Sharon dall’allora ministro delle finanze Binyamin Netanyahu si sono dimostrate valide, e hanno aiutato Israele a superare la tempesta finanziaria mantenendo tassi di crescita e di disoccupazione relativamente buoni. Nel corso di questo processo, i vecchi ideali socialisti rappresentanti dal partito laburista, impersonati propugnati senza successo dall’ex capo del sindacato Histadrut, Amir Peretz, hanno perso credito. Lo standard di vita dello stesso Barak, esemplificato dall’acquisto di un lussuoso appartamento in un prestigioso grattacielo a nord Tel Aviv, illustra il divario ideologico che distanzia il suo partito laburista dal Mapai di David Ben-Gurion, che scelse di vivere in una modesta casa del kibbutz Sde Boker, nel deserto del Negev, quando si ritrovò esiliato dalla vita politica. Ma è anche un segno dei tempi, il che rende poco realistici i discorsi sulla creazione di un rinnovato partito social-democratico dalla fusione di ciò che resta dei laburisti, del Meretz e di altre formazioni miniori della sinistra economica.
Non basta. I laburisti e gli altri partiti della sinistra non sono riusciti nemmeno a raccogliere un significativo elettorato dietro a politiche diplomatiche più affermativamente magnanime nei confronti dei palestinesi. È pur vero che una stabile maggioranza degli israeliani appoggia la soluzione “a due stati”, che comporta dolorose concessioni territoriali. Ma la percezione di una perdurante intransigenza della dirigenza leadership palestinese rende gli israeliani piuttosto cauti. L’attuale forte posizione di Kadima nei sondaggi, dove sottrae gran parte del sostegno ai laburisti, è stata costruita sulla capacità di proporre un approccio diplomatico percepito come un po’ più a sinistra di quello del Likud. Tzipi Livni sostiene in modo ben argomentato che arrivare a una soluzione “a due stati”, assicurando la maggioranza ebraica in uno stato d’Israele di dimensioni più modeste, è essenziale se si vuole garantire che Israele rimanga uno stato al contempo ebraico e democratico.
L’opinione israeliana maggioritaria, che si colloca fra centro-sinistra e centro-destra, si divide fra coloro che pensano che Netanyahu, oggi dichiarato fautore di una soluzione “a due stati”, stia mantenendo un buon equilibrio fra questa esigenza e la necessaria cautela, e coloro che invece ritengono che Netanyahu dovrebbe fare sforzi maggiori. In questa affollata terra di mezzo resta ben poco spazio per ciò che rimane del partito laburista. Per distinguersi, il partito laburista potrebbe spostarsi ancora più a sinistra, ma ciò lo porterebbe vicino all’area ideologia presidiata dal Meretz, che alle ultime elezioni, su una piattaforma spiccatamente di sinistra, è riuscito a racimolare solo tre seggi.
Negli ultimi anni il laburismo si è presentato come più moderato del Likud sul processo di pace e più vicino agi meno abbienti. Ma l’amara verità messa in luce dal melodramma politico di lunedì è che esso ha ceduto gran parte di questo terreno alle formazioni politiche di centro, e prima fra tutte Kadima.

(Da: Jerusalem Post. 18.1.11)