L’accordo Sykes-Picot è morto: sarebbe ora di prenderne atto

La comunità internazionale deve accettare di modificare la mappa geopolitica imposta dalle potenze coloniali cento anni fa

Di Shmuley Boteach

Shmuley Boteach, autore di questo articolo

Shmuley Boteach, autore di questo articolo

Avvicinandosi il 16 maggio, centesimo anniversario dell’accordo Sykes-Picot con cui nel 1916 la Gran Bretagna e la Francia si spartirono il Medio Oriente alla caduta dell’impero ottomano, le potenze mondiali dovrebbero decidere di seppellire una buona volta quel documento anziché continuare a venerarne il cadavere. Ovunque, in Medio Oriente, le frontiere ispirate a quell’accordo vengono drammaticamente ridisegnate nel sangue. Sarebbe ora che gli sforzi internazionali si concentrassero sul fare ciò che è possibile per mettere mano a una nuova cartografia geopolitica.

Un buon inizio potrebbe essere il riconoscimento internazionale della sovranità di Israele sulle alture del Golan. Un secolo fa, il britannico Mark Sykes e il francese Francois Georges-Picot concordarono in segreto su come le potenze coloniali avrebbero suddiviso il Medio Oriente dopo aver vinto la prima guerra mondiale. Quella mappa è ormai morta, insieme ai due diplomatici che le hanno dato il nome: un dato di fatto che gli statisti contemporanei dovrebbero accettare.

I Mandati britannico e francese, istituti dopo la prima guerra mondiale sulla falsariga degli Accordi Sykes-Picot. Con un ulteriore accordo bilaterale del 7 marzo1923 la Gran Bretagna cedette parte del Golan al Mandatao Francese, destinato a diventare nel 1944 lo stato siriano (clicca per ingrandire)

I Mandati britannico e francese, istituti dopo la prima guerra mondiale sulla falsariga degli Accordi Sykes-Picot. Con un ulteriore accordo bilaterale del 7 marzo1923 la Gran Bretagna cedette parte del Golan al Mandato Francese, destinato a diventare nel 1944 lo stato siriano (clicca per ingrandire)

Basta visitare il Golan, come ho fatto di recente, per rendersi conto di quanto sia giusta la rivendicazione del governo israeliano. Da dove cominciare? Dalla comunità di Gamla sulla cresta delle alture, i cui difensori ebrei duemila anni fa resistettero a lungo ai legionari romani fino a quando, sopraffatti, si uccisero gettandosi nel dirupo piuttosto che cadere prigionieri? O dalla rinascita dello stato di Israele nel 1948, subito attaccato dalle forze siriane che poi usarono per vent’anni l’altopiano strategico per sparare spietatamente con cecchini e cannoni sui sottostanti kibbutz attorno al Lago di Tiberiade? O dalla guerra dei sei giorni, quando Israele conquistò il Golan respingendo finalmente gli aggressori siriani che da lì avevano aperto un serrato fuoco d’artiglieria? O dalla guerra del Kippur, quando le forze di terra israeliane ressero e respinsero con incredibile valore l’assalto a sorpresa di forze d’invasione siriane molto più numerose?

O forse queste rivendicazioni storiche, per quanto rilevanti, devono lasciare il campo a osservazioni di puro e semplice buon senso. Il Golan israeliano è tranquillo e sicuro, un luogo di turismo e fiorenti industrie agricole e di convivenza pacifica tra ebrei e arabi drusi, mentre appena al di là del suo confine orientale, letteralmente a portata di voce e a un tiro di schioppo, la Siria sprofonda nella bolgia infernale di un’interminabile guerra intestina tribale. I caschi blu di stanza sul Golan, con alcuni dei quali ho chiacchierato nei giorni scorsi, sembrano gente in vacanza, quando sono in territorio israeliano. I loro sfortunati colleghi sul versante siriano sono stati sequestrati e cacciati dai jihadisti.

Eppure, quando il primo ministro Benjamin Netanyahu la scorsa settimana ha tenuto una riunione di gabinetto sul Golan e ha dichiarato l’ovvio – che il Golan deve restare israeliano – è stato subissato da una serie arrogante, ancorché del tutto prevedibile, di condanne da parte di tutte le potenze mondiali e delle Nazioni Unite. A quanto pare, costoro considerano ancora il Golan come una sorta di sacro territorio siriano che Israele deve cedere quanto prima. Il che, più ancora che iniquo, è folle. E’ il fallimento della diplomazia internazionale, che ha perso qualsiasi capacità di inventiva e di adattamento accontentatosi di ripetere vuoti slogan, in questo caso quello del confine arbitrario fissato ai tempi di Sykes-Picot che dava il Golan al Mandato francese, destinato a diventare più di vent’anni dopo la Siria.

Le alture del Golan, oggi

Le alture del Golan, oggi (clicca per ingrandire)

Quand’anche Israele fosse disposto a cedere adesso il Golan, a chi esattamente pensano che debba andare quel territorio il Dipartimento di stato americano, le Nazioni Unite, il Foreign Office britannico e l’Unione Europea? Non esiste più una Siria unica, né vi è alcuna seria prospettiva che il paese torni unito sotto il dittatore Bashar Assad. Il quale, dopo aver sovrainteso alla carneficina di un quarto di milione di suoi concittadini e allo sfollamento di milioni di altri, non sarà molto più che il sindaco de facto di Damasco. Assad controlla al massimo un quarto del paese, mentre l’eterogenea galassia dei ribelli controlla il resto. Dunque Israele dovrebbe consegnare il Golan allo “Stato Islamico” (ISIS) o al fronte qaedista al-Nusra? Il mondo si riterrebbe in questo modo soddisfatto? E il Lago di Tiberiade dovrebbe tornare sotto il tiro delle armi siriane, ma questa volta manovrate da sanguinari jihadisti? E non è che le forze di Assad schierate sul versante siriano del Golan, e i rinforzi forniti loro da Hezbollah e Iran, siano meno minacciosi e potenzialmente pericolosi per Israele. Negli ultimi tre anni ci sono stati almeno 20 attacchi terroristici da oltre frontiera contro obiettivi israeliani, tutti ad opera di miliziani affiliati all’asse Assad-Hezbollah-Iran. Il messaggio è chiaro: anche mentre combatte per restare al potere, Assad trova ancora il tempo per cercare di ammazzare gli ebrei.

E poi ai curdi – la più grande nazione al mondo priva di uno stato, un popolo degno di rispetto, con buoni standard democratici, emancipazione femminile e un’incredibile capacità di sopportazione dimostrata nel corso di secoli di sofferenze – si dia un loro stato nel nord dell’Iraq ed eventualmente in parte della Siria. Quello che farà seguito potrà non essere nelle vostre mani, ma almeno saprete d’aver fatto quello che si poteva per aiutare gli abitanti di questa parte del mondo che meritano veramente il riconoscimento internazionale.

(Da: Jerusalem Post, 3.5.16)

Il Golan israeliano è tranquillo e sicuro, mentre appena al di là del confine la Siria sprofonda nella bolgia infernale di un'interminabile guerra tribale

“Il Golan israeliano è tranquillo e sicuro, mentre appena al di là del confine la Siria sprofonda nella bolgia infernale di un’interminabile guerra tribale”