L’amara festa degli ebrei curdi che vivono in Israele

L’annuale celebrazione della Saharana è stata segnata dalle inquietanti notizie che giungono da Siria e Iraq

Di Lazar Berman

Un corpo di ballo composto da ebrei curdi siriani alle celebrazioni della Saharana 2014. A destra, XXxx

Un corpo di ballo composto da ebrei curdi siriani alle celebrazioni della Saharana 2014. A destra, Sima Levy

Come ogni anno, gli ebrei curdi che vivono in Israele si sono riuniti in occasione della festività di Sukkot per celebrare la loro festa della Saharana. L’antica comunità si è riunita per cantare, ballare, pasteggiare e condividere le storie dell’antico paese nella loro tradizionale lingua aramaica. Ma quest’anno, tra la musica e i balli nella città settentrionale di Yokne’am, incombeva sulle conversazioni un forte senso di preoccupazione. Nei discorsi ufficiali e nelle chiacchiere private attorno alle fumanti scodelle di zuppa di kubbeh, i curdi israeliani hanno dato voce al senso rabbia e frustrazione per la situazione dei loro fratelli curdi che combattono contro lo “Stato Islamico” (ISIS) in Siria e in Iraq.

“Potendo, andrei dai curdi a combattere contro Daesh” dice Yossi Mizrahi con un sorriso amaro, usando l’acronimo arabo per l’ISIS. “Ci andrei già domani”, aggiunge l’anziano ebreo curdo, nato nella città di Sanandaj, nel Kurdistan iraniano. Seduto con la moglie e altri amici curdi, Mizrahi dice che segue da vicino gli sviluppi in Kurdistan. Quelli dell’ISIS sono “animali – dice – sono immondizia, e non dureranno a lungo”. Non ha parole molto tenere nemmeno per la Turchia, nemico storico delle aspirazioni nazionali curde, oggi poco disposta ad aiutare i combattenti curdi assediati dall’ISIS nella città di Kobani, al confine turco-siriano. “I turchi, loro, vogliono distruggere i curdi – dice Mizrahi – Mi fanno schifo”.

Yossi Mizrahi (a destra) con un amico originario dell'Iraq

Yossi Mizrahi (a destra) con un amico originario dell’Iraq

La Turchia considera il principale gruppo curdo siriano, il PYD, e la sua ala militare che sta combattendo l’ISIS, come un’estensione del PKK, il movimento curdo che ha condotto una rivolta di trent’anni in Turchia ed è designato gruppo terroristico dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dalla Nato.

Aharon (che chiede di non riportare il suo cognome) è nato a Mosul, in Iraq, più di 80 anni fa, e si reca regolarmente in Kurdistan per lavoro. Parla con i suoi contatti ogni due giorni, e di recente ha aiutato a ospitare una delegazione agricola curda in Israele. Quando i combattimenti hanno investito la città della sua infanzia si è particolarmente preoccupato. “Essendo nativo di Mosul conosco la zona – spiega – ed ero estremamente preoccupato che facessero saltare la diga di Mosul. Ma l’America ha aiutato i curdi, e loro hanno ripreso il controllo della diga”. E’ fiero degli sforzi che ha fatto per aiutare lo sviluppo dei settori medico e agricolo curdi. “Anche noi ci siamo trovati nella situazione in cui oggi sono loro – dice – Circondati dall’odio, non li vogliono e non vogliono concedere loro uno stato. Qui eravamo nella stessa situazione. Mustafa Barzani [leggendario leader curdo] è stato qui molte volte. E negli anni ’60 e ’70 abbiamo inviato là non poche forze militari: ufficiali in abiti civili, che addestravano il loro esercito per combattere contro Saddam. Così ora ci dicono: ci avete aiutato in guerra, aiutateci ad essere economicamente indipendenti”. Anche Israele deve aiutare, secondo Aharon, ma con discrezione, “senza firmarsi: non vogliamo provocare i paesi arabi contro di loro, e nemmeno la Turchia”.

Haviv Saidoff, originario di Karkur, un ex impiegato della Bank Leumi, arrivò a Gerusalemme dalla città di Duhok nel 1939. E’ in contatto con una donna armena che sta in Kurdistan e che lo aggiorna regolarmente sui combattimenti nella zona. Comunicano in aramaico, ma lei è abituata a scrivere in caratteri arabi mentre lui in caratteri ebraici. “Allora ci scriviamo in aramaico con le lettere inglesi – spiega Saidoff – Ci siamo scritti circa tre giorni fa. Lei ci manda foto e cose del genere. Tutto il mondo dovrebbe attaccare l’ISIS. E per quanto riguarda i curdi, per come gestiscono i loro affari meritano aiuto”.

Haviv Saidoff alla festa della Saharana 2014

Haviv Saidoff alla festa della Saharana 2014

Alcuni dei presenti alla festa hanno una parte della famiglia nell’occhio del ciclone in Siria. Sima Levy, vestita in abito tradizionale curdo, è arrivata in Israele da Qamishli nel 1962, quando aveva 18 anni. Ma una sorella più grande è rimasta laggiù. Sima Levy si è mantenuta in contatto con la sorella che nel frattempo si è trasferita con la famiglia ad Aleppo. Si sono potute incontrare in Giordania e in Turchia, e le manda dei soldi. Ma la sorella non è mai stata pronta a trasferirsi in Israele. “Dicono che vorrebbero – spiega Levy – Ma lei non vuole lasciare il resto della famiglia per venire qui”. Levy è riuscita a mantenersi in contatto con la sorella durante i primi due anni di guerra civile in Siria, ma la cosa inquietante è che il contatto tra le due sorelle si è interrotto un anno fa e non è stato ancora riannodato. Levy ha voluto tramandare ai suoi undici figli gli usi e il dialetto degli ebrei curdi siriani di Qamishli . Suo figlio Danny, anch’egli vestito con abiti tradizionali, danza in una compagnia composta interamente da israeliani le cui famiglie sono originarie delle regioni curde siriane. “All’inizio erano principalmente le danze che ci ha insegnato lei – dice Danny – Poi, con gli anni, abbiamo aggiunto i nostri balli”.

Tuttavia, anche in mezzo alle notizie dei combattimenti in Kurdistan, anche quest’anno c’è stata molta allegria alla celebrazione della Saharana. I ricordi e i racconti sono parte integrante della festa, spiega Yehuda ben Yosef, presidente dell’Organizzazione degli ebrei curdi. “La festa si concentra in primo luogo sui legami fra i membri della comunità, che in Israele non vivono tutti nello stesso luogo. In secondo luogo serve a coltivare il legame fra questo paese e la terra d’origine in Kurdistan. Durante la festa ricordiamo tutto ciò che abbiamo portato dal Kurdistan: le canzoni, la musica, i costumi e la nostra cucina”. Ma le forze curde che combattono in Siria restano ben presenti nella mente di Ben Yosef. “Quest’anno abbiamo concentrato una parte importante delle celebrazioni negli appelli ai governi israeliano e americano, nella denuncia della doppiezza della Turchia che non consente agli aiuti di raggiungere l’esercito curdo, e sul genocidio che si consuma ai sui suoi confini, che sono i confini della Nato. E questo è incredibile. E’ come se la Shoà volesse tornare, e il mondo resta in silenzio”.

(Da: Times of Israel, 20.10.14)