Le condizioni che dovrebbe porre Israele

I palestinesi pongono condizioni come se fosse una concessione trattare con Israele. Invece è Israele che dovrebbe mettere sul tavolo una serie di precise richieste

Di David M. Weinberg

David M. Weinberg, autore di questo articolo

David M. Weinberg, autore di questo articolo

L’Autorità Palestinese ha avanzato tutta una serie di nuove condizioni per acconsentire a prolungare i negoziati di pace con Israele (come se fosse Israele che deve implorare i palestinesi di sedere al tavolo delle trattative di pace). Le pretese – che vanno dalla richiesta di una lettera in cui Israele si impegni ufficialmente ad accettare i confini che vuole la controparte compresa la spaccatura in due di Gerusalemme, alla scarcerazione di 1.200 detenuti tra cui capi terroristi come Marwan Barghouti e Ahmad Sa’adat, all’abbandono di qualunque controllo di sicurezza sui transiti al confine con la striscia di Gaza e nelle aree della Cisgiordania sotto controllo palestinese, alla riapertura di istituzioni palestinesi create a Gerusalemme est in violazione degli accordi di Oslo come la Orient House, al congelamento delle attività edilizie ebraiche, a migliaia di autorizzazioni per “ricongiungimenti familiari palestinesi” e altro ancora – si possono essenzialmente riassumere in un concetto: Israele deve arrendersi alle pretese palestinesi ancor prima di negoziare.

Se è così che funziona la trattativa e i palestinesi possono avanzare richieste così inverosimili, non si vede perché Israele non dovrebbe mettere sul tappeto sin dall’inizio le sue richieste e le sue condizioni. Per comodità di chi ci legge, elenchiamo qui di seguito una serie di questioni importanti per Israele, molte delle quali potrebbero essere poste come condizione preliminare perché Israele continui a negoziare con i palestinesi un accordo di pace definitivo.

Video-messaggio di un attentatore suicida di Hamas: “E noi sappiamo che non c’è miglior sangue del sangue degli ebrei”

Soluzioni a livello regionale. Un principio essenziale di qualsiasi quadro per la ripresa dei negoziati dovrebbe essere la presa in considerazione di nuovi approcci per risolvere il conflitto, il che significa mettere sul tappeto una eventuale sovranità condivisa in Cisgiordania, o la creazione di una federazione giordano-palestinese, o reciproci scambi di territori a tre o a quattro con il coinvolgimento di Egitto e la Giordania, o eventualmente una combinazione di due o più di queste idee. In altri termini, gli stati arabi devono dichiarare la disponibilità ad assumersi la loro parte di responsabilità per la soluzione di un conflitto in cui hanno storicamente giocato un fondamentale ruolo negativo, e ad investire risorse tangibili per possibili soluzioni a livello regionale del conflitto israelo-arabo-palestinese.

Finalità. Israele dovrebbe esigere una lettera in cui l’Autorità Palestinese riconosca esplicitamente che l’obiettivo dei negoziati è arrivare a una soluzione che comporti la cessazione di tutte le rivendicazioni e le pretese fra le parti, e che qualsiasi eventuale futuro accordo dovrà contenere una esplicita dichiarazione di fine del conflitto. Solo un chiaro ed inequivocabile messaggio da parte palestinese che il conflitto è permanentemente e totalmente terminato meriterà una cessione di territori da parte di Israele.

Striscia di Gaza. Israele dovrebbe stabilire in anticipo che l’applicazione di qualunque eventuale accordo raggiunto con l’Autorità Palestinese del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) sarà subordinata all’estensione di tale accordo alla striscia di Gaza, il che significa che Hamas dovrà essere messa fuori gioco oppure dovrà firmare l’accordo in questione. Israele non ha nessun motivo per avallare la nascita di due “stati palestinesi” (uno che negozia e l’altro no).

Bandiere palestinesi ad una manifestazione di arabi israeliani a Umm el-Fahm

Bandiere palestinesi a una manifestazione di arabi israeliani a Umm el-Fahm

Insediamenti. Come condizione per riavviare i negoziati con l’Autorità Palestinese Israele dovrebbe chiedere che i leader palestinesi riconoscano la legittimità e la permanenza dei principali blocchi di insediamenti in Cisgiordania e accetti la crescita naturale di queste città e cittadine che – come sanno tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza delle trattative e delle possibili soluzioni – sono destinate a rimanere sotto piena sovranità israeliana nel quadro di qualunque realistico accordo di pace.

Monte del Tempio (a Gerusalemme). I palestinesi devono dichiarare la disponibilità a negoziare una sovranità condivisa sul luogo più sacro per il popolo ebraico. Tanto per cominciare, una pre-condizione di Israele per continuare i negoziati potrebbe essere la possibilità (oggi negata) agli ebrei di pregare sulla spianata del Tempio. Una piccola e discreta sinagoga ai margini della spianata, ad esempio, non metterebbe certo in ombra i due grandi edifici di culto musulmani che vi si trovano, ma dimostrerebbe concretamente il riconoscimento da parte palestinese degli antichi e profondi legami del popolo ebraico con il luogo sacro, la città di Gerusalemme e la Terra Santa. Inoltre, da parte islamica e palestinese dovrebbero essere concordate nuove intese per la conduzione e supervisione congiunta di restauri e scavi archeologici sul Monte del Tempio.

Una madre israeliana che non è riuscita a raggiungere in tempo un rifugio fa scudo al figlio con il proprio corpo durante un attacco di razzi palestinesi da Gaza

Una madre israeliana, che non è riuscita a raggiungere in tempo un rifugio, fa scudo alla figlia con il proprio corpo durante un attacco di razzi palestinesi da Gaza

Il “Triangolo”. Dovrebbero essere messi chiaramente sul tappeto eventuali scambi di territori, con le popolazioni che vi risiedono, compreso l’eventuale trasferimento sotto sovranità del futuro stato palestinese della zona detta del Triangolo (a sud-est di Haifa, a ridosso della ex linea Verde armistiziale pre-‘67 e dunque della Cisgiordania settentrionale). Le centinaia di migliaia di arabi israeliani che vivono in città come Kafr Qara, Umm al-Fahm, Tayibe e Qalansawe insistono comunque a definirsi “palestinesi”, per cui a rigor di logica il passaggio delle loro città sotto controllo e cittadinanza palestinese non farà che accrescere l’omogeneità demografica e la stabilità di qualsiasi futuro accordo israelo-palestinese “a due stati”.

Riparazioni. Israele ha subito decenni di guerra, crimini di guerra, estrema violenza terroristica e boicottaggi economici lanciati da palestinesi e stati arabi, che hanno causato notevolissime sofferenze e privazioni al paese e alla sua popolazione. L’agenda della pace dovrebbe prevedere un risarcimento a Israele da parte dei nemici che hanno cercato invano di distruggerlo. Dopo tutto i palestinesi avrebbero potuto avere il loro stato a fianco di Israele sin dal lontano 1947 se essi e il mondo arabo non avessero rifiutato con la violenza il piano di spartizione dell’Onu e, dopo di allora nel corso degli ultimi vent’anni, almeno altre tre offerte concrete da parte di Israele per la nascita di uno stato palestinese. Le riparazioni economiche a Israele dovrebbero avere un posto centrale in tutti i prossimi colloqui di pace, insieme alla negoziazione dei dovuti risarcimenti da parte degli stati arabi verso gli ebrei che furono espulsi dai paesi arabi.

La pagina Facebook di Fatah del 29 marzo scorso celebra come “eroe” e “martire” Ayyat Al-Akhras, la 17enne palestinese che il 29 marzo 2002 si fece esplodere in un supermercato vicino a Gerusalemme uccidendo 2 israeliani e ferendone 28. Vi si legge: “Nell’anniversario della tua morte da martire, rinnoviamo la promessa e il giuramento di fedeltà al tuo sangue puro di continuare sulla strada della vittoria o del martirio (shahada)”.

Educazione alla pace. Un presupposto irrinunciabile per i negoziati dovrebbe essere l’avvio di un piano intenso, ampio e prolungato di educazione alla pace nella Cisgiordania controllata dall’Autorità Palestinese e nella striscia di Gaza controllata da Hamas. I cuori e le menti dei palestinesi devono essere preparati alla coesistenza, all’accettazione reciproca e alla pace. L’istigazione contro Israele, i sermoni antisemiti e la glorificazione della violenza contro gli israeliani devono cessare. Alla fine, la negazione della connessione storica fra ebrei e Terra d’Israele dovrà essere sostituita, per quanto difficile, da uno sfumato riconoscimento del sogno sionista che percorre tutta la storia dai tempi della Bibbia sino ai nostri giorni.

In caso contrario, niente concessioni e niente ritiri.

(Da: Israel HaYom, 18.4.14)