Le elezioni del cambiamento

Queste elezioni costituiscono solo linizio di una trasformazione della politica israeliana.

Da un articolo di Gerald M. Steinberg

image_1140Martedì gli israeliani si recano a votare per la sesta volta in quattordici anni, un record poco invidiabile fra le democrazie. L’alta frequenza di elezioni nazionali è sicuramente una delle cause di quella apatia e incertezza che i sondaggi registrano fra gli elettori. Altre cause sono la mancanza di candidati carismatici nell’era post-Sharon e il vantaggio apparentemente insormontabile di Kadima.
Tuttavia queste elezioni appaiono diverse dalle altre elezioni israeliane almeno degli ultimi vent’anni. Nelle elezioni precedenti le principali questioni in discussione erano di carattere ideologico: sinistra e destra, laici e religiosi e così via. In queste elezioni, invece, il tema caratterizzante è il realismo pragmatico, e non solo per il Kadima ma anche in una parte di laburisti e Likud.
E così non c’è praticamente nessuno che parli di negoziati con Hamas o con un’Autorità Palestinese in preda all’anarchia, e persino Yossi Beilin sembra aver abbandonato l’illusione di una pace negoziata nel futuro immediatamente prevedibile. Sottolineando il tema di Israele come stato ebraico e democratico, Ehud Olmert e la dirigenza del Kadima hanno introdotto con accortezza il concetto di un ulteriore disimpegno, fondato sul completamento della barriera difensiva e sul livello reale di terrorismo palestinese.
Le alternative poste da Amir Peretz e Binyamin Netanyahu ruotano intorno a questioni di tempistica e di estensione del disimpegno, ma nessuno dei due presenta un approccio sostanzialmente diverso. Ne risulta che, per la prima volta in vent’anni, la questione della guerra e della pace non è quella su cui si gioca realmente la partita politica. La vera questione è piuttosto quella dello stesso quadro politico israeliano e di come l’emergente Kadima possa plasmare la società israeliana sia a breve che a lungo termine.
Olmert – un politico relativamente non sperimentato e senza esperienza personale nel campo della sicurezza – saprà guidare Israele attraverso le inevitabili crisi legate vuoi al terrorismo palestinese, vuoi al programma nucleare iraniano? Saprà ascoltare consiglieri non politici meglio di Ariel Sharon (e della maggior parte degli altri leader israeliani), evitando crisi ed errori? Sarà capace di collaborare con gli altri dirigenti di Kadima che hanno abbandonato i rispettivi partiti sottolo la guida di Sharon, o finiranno per ripetere il modello autodistruttivo che si è visto in altri casi precedenti? Che tipo di coalizione formerà Olmert: stretta e rigida per evitare gravi divergenze, o ampia e aperta a diverse opzioni per affrontare meglio le sfide?
Nell’immediato, dopo l’improvvisa uscita di Sharon dalla scena politica, Olmert ha adottato un profilo basso evitando scontri e parlando generalmente in termini neutrali. Trovandosi nella posizione del favorito, si è trattato di una strategia sensata, che tuttavia lascia molti interrogativi senza risposta fino al dopo-elezioni.
La relativa calma di questa campagna elettorale è dovuta anche all’azzittirsi della diatriba fra laici e religiosi, così centrale nelle battaglie ideologiche degli anni scorsi. Nelle elezioni del 2003 il partito Shinui – la cui campagna era basata quasi interamente su una piattaforma anti-ortodossi – emerse improvvisamente come il terzo partito del paese. Ora, solo tre anni più tardi, i pezzi che restano dello Shinui si battono per la semplice sopravvivenza elettorale. E lo Shas – la maggiore formazione ortodossa, arci-rivale dello Shinui – ha spostato l’attenzione dai temi strettamente religiosi a temi più ampi di natura economica e sociale. La calma fra laici e religiosi è un altro aspetto del crescente centralismo e del declino delle ideologie nella politica israeliana. Dare addosso agli ortodossi non paga più in termini elettorali, mentre i leader del settore religioso sono impegnati sempre più in politiche di più ampio respiro, che interessano anche il pubblico laico. Un certo numero di leader religiosi sionisti si è unito a Kadima, altri sono attivi nel partito laburista e nel partito Tafnit di Uzi Dayan.
Se la campagna elettorale è in qualche modo indicativa del trend di fondo, l’era dell’ossessione messianica per gli insediamenti scaturita dalla guerra del 1967 sta giungendo al termine, mentre coloro che sembrano disposti a ricorrere a forme di violenza pur di opporsi allo sgombero di insediamenti illegali stanno gradualmente riducendosi a un gruppo marginale.
Al posto di queste diatribe, la campagna di quest’anno si è focalizzata di più su temi economici e sociali. I candidati di tutto lo schieramento politico si sono impegnati a promuovere politiche che invertano il crescente divario nei redditi, in linea con la tradizione ebraica di equità sociale. Kadima ha appoggiato il concetto di una tassa negativa sui redditi bassi, i laburisti hanno cercato di rimediare ai limiti della formazione di Peretz abbracciando la richiesta di un salario minimo garantito. Persino Binyamin Netanyahu si è impegnato a rivedere alcune delle sue riforme liberiste e a ripristinare alcune sovvenzioni assistenziali. Impegni facilmente respinti come promesse elettorali, certo non sufficienti per suscitare entusiasmo o fiducia.
Il vecchio sistema elettorale israeliano costringe gli elettori a votare su liste bloccate, impedendogli di promuovere singole personalità considerate competenti o di penalizzare politici percepiti come corrotti, presenti un po’ in tutte le liste. La lista d Kadima in particolare è stata formata nella concitazione seguita all’ictus di Sharon, senza primarie interne o indicazioni dalla base. Di conseguenza queste elezioni, pur marcando un grande cambiamento rispetto alle tornate precedenti, costituiscono solo l’inizio di una trasformazione della politica israeliana. Come si svilupperà questo processo dipenderà dal risultato elettorale, dalla colazione che verrà formata dopo le elezioni e da quanto il mondo esterno permetterà agli israeliani di focalizzarsi sui principali obiettivi del sionismo e del rinascimento ebraico.

(Da: Jerusalem Post, 26.03.06)

Nelle foto in alto (dall’alto in basso): il primo ministro israeliano ad interim Ehud Olmert e leader di Kadima Ehud Olmert, il presidente dei laburisti Amir Peretz, il ledaer del Likud Binyamin Netanyahu.