Le nuove regole del gioco

Le grandi sfide della diplomazia nel XXI secolo

Da un articolo di Ephraim Halevy

image_2293Una combinazione unica di fattori senza precedenti nell’arena mediorientale e internazionale sta modificando rapidamente le regole, le potenzialità, le minacce e le sfide che abbiamo di fronte.
In primo luogo, acquista sempre più slancio la gara fra la nuclearizzazione militare del globo e una sua efficace prevenzione. Fu Henry Kissinger che definì incontrollabile un mondo nuclearizzato. Ecco perché questo sviluppo va impedito ad ogni costo. Ma cosa significa ad ogni costo? Tre recenti sfide su questo terreno sono state affrontare in tre modi diversi. Sulla Corea del Nord sono state esercitate aggressive pressioni economiche: per due volte ha fatto accordi con gli Stati Uniti e per due volte è stata colta a imbrogliare sulla loro applicazione. L’Iran è stato coinvolto e allettato con vani negoziati e minacciato di raid militare, finora senza alcun risultato. La Siria è stata sottoposta a un’azione militare chirurgica, il cui risultato non è ancora del tutto chiaro. La necessità di creare un sistema, di dare forma a un regime di reciproca coesistenza in un ambiente nucleare affollato o di escogitare un metodo efficace per prevenire la proliferazione sarà uno degli elementi più importanti di questo secolo: cosa tanto più urgente, giacché le capacità nucleari sono destinate a diventare meno costose, più accessibili e di dimensioni sempre più ridotte e trasportabili. Finora su questo terreno non si sono registrati veri progressi.
In secondo luogo, il sistema internazionale dovrà affrontare il crescente fenomeno dei protagonisti non-statali: movimenti terroristi di portata globale o gruppi regionali con forte impatto sugli interessi globali, compreso quello di ambire o persino ottenere armi non convenzionali. Hamas in Medio Oriente e i Talebani con i loro alleati in Pakistan, nel sub-continente indiano nuclearizzato, non sono che due esempi di questo tipo. Sarà necessario ideare una varietà di politiche e di strategie per affrontare questo fenomeno dei non-stati. L’impiego della forza bruta non sarà sempre l’approccio più efficace o più saggio.
Terzo, la natura delle minacce – che alcuni indicano con l’infelice termine di “esistenziali” – impone cambiamenti nella dottrina della sicurezza e della difesa. Tra l’altro, nessuno stato o non-stato sarà più in grado di dotarsi di uno scudo difensivo operando esclusivamente all’interno del propri confini. La natura dell’aggressione e il sistema con cui viene portata, sempre più balistico e a lungo raggio, detteranno risposte sempre più globali alle minacce, così come l’11 settembre sul continente americano ha innescato reazioni a lungo termine nel cuore dell’Asia e del Medio Oriente. Un numero sempre più alto di attori si faranno globali, e le influenze fra attori grandi e meno grandi si faranno sempre più reciproche. Al villaggio globale dell’economia, degli affari e del commercio si aggiungerà il villaggio globale della difesa e delle sicurezza.
Quarto, le regole e le norme del conflitto cambieranno rapidamente. Le leggi e convenzioni tradizionali del diritto internazionale stanno diventando sempre meno pertinenti e obsolete, totalmente slegate dalla realtà, e diventerà urgente riscrivere le regole del combattimento affinché siano coerenti con i nuovi strumenti di combattimento. Non si potranno più applicare diritti e torti del passato.
Quinto, il tradizionale stato-nazione, che è stato il fondamento delle relazioni fra stati, continuerà a subire profondi mutamenti nel corso di questo secolo. Così, ad esempio, verso la metà degli anni ’50, il 50% dei cittadini della Federazione Russa potrebbe essere di fede musulmana. Religione e identità etnica potrebbero trasformare il carattere stesso di stati ed entità politiche. L’ordine mondiale come lo conosciamo oggi potrebbe essere sull’orlo di un precipizio. E non abbiamo ancora menzionato questioni come lo scompiglio economico, il riscaldamento globale e le nuove epidemie.
Cosa si può fare? Che posto occupa la diplomazia in questa lotta per la sopravvivenza?
La prima sfida da affrontare è stabilire le priorità delle minacce e delle opportunità. Cosa è più importante? Il mondo non potrà affrontare tutte le crisi multiple contemporaneamente.
Non c’è dubbio che le crisi mediorientali saranno vicine al primo posto dell’agenda, giacché le tre maggiori minacce all’ordine internazionale – proliferazione non convenzionale, terrorismo islamista internazionale e crisi petrolifera – hanno profonde radici in questa regione. La sorte ha voluto che Israele si ritrovasse nel cuore di tutte e tre.
La seconda necessità sarà quella di distinguere e mettere in ordine di priorità gli avversari. Fu Albert Einstein che negli anni ’30 scrisse: “Per prevenire il male maggiore è necessario accettare per il momento il male minore”. E così dicendo, abbandonò il suo antico sostegno al pacifismo. Sorgeranno delle opportunità quando cesseremo di ammucchiare tutti i nemici sotto un unico titolo e li affronteremo in una maniera più sofisticata e per ordine di priorità. Un esempio può essere quello di congegnare una distinzione fra il modo con cui si affronta Hamas e quello con cui si affronta al-Qaeda. Hamas è considerata da al-Qaeda un nemico giurato, un traditore della causa. E Hamas si sente profondamente minacciata da quelli come Osama bin Laden e dalla sua banda. La capacità di identificare queste fratture nel muro dell’odio e dell’estremismo e di metterle a proprio vantaggio nella guerra al terrorismo sarà una delle principali sfide da vincere nei prossimi decenni.
Il terzo principio che permetterà di aprire delle opportunità sarà quello di abbandonare la ricerca di soluzioni definitive a vantaggio di accomodamenti provvisori a medio termine. Bisognerà accettare il fatto che i conflitti non possono sempre essere risolti in un arco di tempo stretto e che pertanto, anziché prolungare le ostilità, occorrono temporanee misure ad hoc che fungano da strategia-ponte fino a quando i tempi non sono maturi per una autentica riconciliazione.
Quarto: questi approcci sgombreranno il tavolo internazionale cosicché la comunità mondiale potrà, da una parte, concentrarsi sulla cooperazione costruttiva nei campi dell’economia, della sanità e del riscaldamento globale, e dall’altra creare condizioni per una guerra senza quartiere contro le minacce alla sicurezza internazionale poste in vetta all’agenda di priorità.
Quinto: in queste circostanze, si formeranno coalizioni ad hoc, sulla falsariga ma non identiche a quella del 1991 contro l’Iraq, per affrontare insieme la minacce e i pericoli maggiori. Tali coalizioni comporteranno concessioni reciproche fra partner su questioni secondarie, concessioni che potrebbero essere tali da durare un bel po’ di tempo.
Israele, un importante attore sulla scena mediorientale ma un attore minore sul piano internazionale, allo stato attuale deve assicurarsi di essere un partner indispensabile in ogni futura coalizione nata per affrontare sopraffare le minacce esistenziali internazionali, quali che siano i metodi scelti per affrontarle.
Un caso di questo tipo è quello dell’Iran, che costantemente e rumorosamente invoca la fine dell’esistenza di Israele come stato sovrano e indipendente. Se tutte le altre opzioni dovessero fallire, quella militare potrebbe emergere come l’unica rimasta sul tappeto. Non occorre spiegare oltre i pericoli che una tale situazione comporterebbe per tutte le parti coinvolte. Ma se l’opzione “diplomatica” resterà al centro della scena, è più che ovvio che i punti in discussione nei negoziati comprenderanno interessi fra i più vitali per Israele. Eufemismi come “sicurezza regionale” o “egemonia regionale” o “garantire gli interessi di sicurezza dell’Iran” sono inseparabilmente legati alle esigenze più critiche di Israele. Se l’Iran perseguirà quello che viene chiamato col termine allettante di “grande bargain”, non è pensabile che ciò possa essere negoziato senza che Israele sieda al tavolo della trattativa. Nessun alleato di Israele per quanto leale e sensibile, e gli Stati Uniti lo sono, può agire al suo posto nel definire i sacrifici che a Israele si possono chiedere, negoziando con l’Iran in assenza di Gerusalemme.
Questo è il genere di sfide che la diplomazia dovrà affrontare nei prossimi anni. E l’Iran non è che un esempio – anche se di gran lunga uno dei più importanti – degli intricati dossier che ci attendono.
Questa, dunque, la grande sfida diplomatica del XXI secolo. Israele ha tutti i numeri militari, scientifici, economiche e culturali per assicurarsi un posto attorno al tavolo, e per insistere su questo ogni volta e in ogni occasione che riguardi la sua sicurezza e benessere. È compito della diplomazia tradurre queste capacità uniche in una formula vincente.

(Da: Jerusalem Post, 12.10.08)

Nella foto in alto: l’autore di questo articolo, Ephraim Halevy, ex capo del Mossad (1998-2002), poi consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro israeliano Ariel Sharon (2002-2003), oggi direttore dello Shasha Center for Strategic Studies presso l’Università di Gerusalemme.