Le radici medioevali dell’11 settembre

Merita ripeterlo: la jihad islamista attuale non è causata dall’esistenza di Israele

Da un articolo di Eli Kavon

image_2251Nei giorni successivi alla tragedia dell’11 settembre 2001, accademici esperti e opinionisti si industriarono a cercare una ragione che spiegasse quegli attacchi terroristici. L’opinione corrente era che gli estremisti islamici che avevano preso di mira il World Trade Center e il Pentagono lo avessero fatto a causa dell’alleanza dell’America con Israele. Secondo questo ragionamento, gli Stati Uniti si erano alienati i soggetti del mondo arabo e islamico con il loro appoggio allo stato ebraico e ignorando la repressione israeliana dei palestinesi, cosa che aveva incendiato l’opinione pubblica della “piazza islamica”. I terroristi, stando a questa tesi, erano dei disperati che, volendosi vendicare del colonialismo americano in Medio Oriente, avevano perpetrato l’assassinio di quasi tremila persone nel nome di un islam assediato. Se solo l’America fosse stata più favorevole al mondo islamico anziché un ferreo alleato di Israele, gli attacchi non sarebbero nemmeno avvenuti.
Questo sembrava dettare il senso comune, ma il senso comune di solito si sbaglia, e il caso dell’11 settembre non fa eccezione.
Per capire le motivazioni di quei 19 terroristi bisogna andare ben oltre il conflitto israelo-palestinese e il moderno colonialismo europeo. La verità è che l’appello alla jihad – alla lotta violenta contro gli infedeli e contro gli islamici apostati – si può rintracciare sin dai primissimi anni dell’islam. Tutti impegnati a cercare le cause economiche, sociali e politiche dell’ascesa dell’estremismo islamista, tanti americani e occidentali non vollero vedere come quegli attacchi fossero il frutto di una concezione del mondo che risale a molti secoli fa, e che ha sempre fatto parte dell’islam.
I terroristi dell’11 settembre non erano affatto dei disperati senza futuro e con le spalle al muro. Erano persone istruite appartenenti alla middle-class. Molti degli attentati suicidi che vengono perpetrati in Israele, in Iraq, in Pakistan sono il frutto si una precisa teologia islamica, e non hanno nulla a che fare con la povertà o la disperazione. Si può anzi affermare che, se anche il movimento sionista e lo stato di Israele non fossero mai comparsi sulla terra, agli atroci attentati dell’11 settembre si sarebbe arrivati lo stesso.
L’appello per la lotta armata contro i non musulmani e gli islamici eretici si può far risalire perlomeno alla vita e al pensiero di Ahmed Ibn Taymiyyah, un riformatore e pensatore religioso arabo vissuto a Damasco nel XIII secolo. Il suo appello per la guerra santa precedette di settecento anni l’avvento in Medio Oriente del colonialismo europeo e dello stato di Israele. Ibn Taymiyyah invocava la jihad contro i mongoli che dominavano il Medio Oriente. I mongoli si erano convertiti all’islam, ma non governavano secondo la Shari’a. Il riformatore sollecitava gli arabi alla guerra per rovesciare gli apostati mongoli e ristabilire l’autorità religiosa islamica in un grande impero musulmano. La teologia di Ibn Taymiyyah non prendeva di mira direttamente gli infedeli: si indirizzava piuttosto contro i musulmani che considerava illegittimi e apostati. Il suo astio non era diretto tanto contro cristiani ed ebrei quanto contro i mongoli convertiti all’islam.
La teologia della jihad era – ed è – una realtà, che Israele esista o meno. Pertanto incolpare Israele, anche solo indirettamente, per il terrorismo del 2001 di Osama bin Laden è una stupidaggine. Incolpare Israele per il terrorismo di sette anni fa significa non aver capito niente del ruolo giocato dall’estremismo nel mondo islamico. Sebbene Ahmed Ibn Taymiyyah sia vissuto centinaia di anni fa, la sua resta una figura cruciale nel mondo dell’odierno fondamentalismo islamico: è la personalità che ha influenzato Muhammad Ibn Abd-al Wahhab nel XVIII secolo in Arabia, ed è uno dei principali ispiratori di Sayyid Qutb, il più importante pensatore dell’estremismo islamico nel XX secolo.
I musulmani che uccisero il presidente egiziano Anwar Sadat nel 1981 compirono il loro gesto nel nome di una fatwa promulgata da Ibn Taymiyyah nella sua battaglia contro il dominio mongolo. Gli assassini di Sadat consideravano il rais egiziano un apostata che non governava il suo paese in base alla legge islamica, e che pertanto meritava la morte. Anche quello non fu un attentato terrorista contro ebrei o cristiani, bensì contro altri musulmani.
Nonostante tutta la propaganda di bin Laden contro i “crociati” americani e il sionismo, la maggior parte degli estremisti islamisti compie attacchi contro altri musulmani. La guerra civile attualmente in corso in Iraq è il risultato di un conflitto vecchio di 1.300 anni tra arabi, e ha ben poco a che vedere con Israele né con la politica americana verso lo stato ebraico.
L’estremismo di Ahmed Ibn Taymiyyah è vivo e vegeto, ed è a nostro rischio e pericolo che ignoriamo la sua influenza sul fondamentalismo nel mondo islamico attuale. Dobbiamo aprire gli occhi sul fatto che le radici degli attentati dell’11 settembre 2001 affondano in una precisa teologia islamica della lotta armata che risale a quasi mille anni fa.

(Da Jerusalem Post, 11.09.08)