L’eco di Sharon nella voce di Lieberman

La Road Map punta ai due stati, ma con precise condizioni

di Herb Keinon

image_2459Chi pensava che il ministero degli esteri israeliano avrebbe ammorbidito il suo nuovo titolare o che l’avrebbe reso più diplomatico ha avuto mercoledì una bella delusione, quando Avigdor Lieberman ha dato al mondo un primo assaggio di cosa ha in serbo: ha in serbo un ministro degli esteri che respinge completamente le politiche dei precedenti governi, convinto com’è che le concessioni fatte da Israele negli ultimi 15 anni non abbiano né avvicinato il paese alla pace, né migliorato la sua posizione internazionale, e che sia dunque necessario un approccio totalmente nuovo. Un ministro degli esteri, inoltre, che dice senza peli sulla lingua ciò che pensa, anche a costo d’essere poco diplomatico.
Prendendo completamente alla sprovvista lo staff del ministero, che per lo più si aspettava la consueta cerimonia d’investitura con le solite banali amenità, Lieberman ha trasformato il passaggio di consegne in un podio dal quale ha semplicemente ribaltato la politica diplomatica israeliana degli ultimi due anni e ha annunciato l’abbandono del processo di Annapolis.
Certo, il processo di Annapolis non stava portando da nessuna parte e lo stesso presidente Usa Barack Obama aveva decisamente smesso di parlarne. E tuttavia è stato molto “alla vecchio Lieberman” il modo con cui il neo ministro ha “sbattuto in faccia” a tutti questa realtà, dicendo sostanzialmente al ministro uscente Tzipi Livni,che lo ascoltava seduta sul palco, che le politiche da lei impersonate promosse nei due anni scorsi erano inutili e verranno gettate dalla finestra.
Ma c’era qualcos’altro di molto evidente, mercoledì, al ministero degli esteri israeliano, ed era un ritorno alla politica pre-disimpegno dell’allora primo ministro Ariel Sharon. Cosa ha detto in sostanza Lieberman? Ha detto che il disimpegno è stato un fallimento, come lo è stato Annapolis e come lo sono state tutte le generose concessioni che l’ex primo ministro Ehud Olmert dice d’aver offerto ai palestinesi negli ultimi due anni. Lieberman ha detto che nulla di tutto ciò ha minimamente avvicinato la pace, ed anzi l’ha allontanata ancora di più.
Ma ha ribadito fedeltà alla Road Map, dicendo che quello è un documento vincolante per il governo israeliano. Ora, qual è il titolo esatto della Road Map? È piuttosto interessante ricordare che il suo titolo è “Una Road Map, imperniata sui risultati, verso una soluzione a due-stati del conflitto israelo-palestinese”
Lieberman può anche buttare nella spazzatura Annapolis, ma dichiarandosi impegnato dalla Road Map accetta nel contempo la soluzione due popoli-due stati, giacché quella è la prospettiva verso cui muove la Road Map.
Ma, anche qui riecheggiando Sharon, Lieberman dice che la Road Map deve essere attuata alla lettera, e che deve essere attuata fase per fase, come prevede il testo. Il che significa che i negoziati su un accordo finale devono aver luogo (così dice la Road Map) alla fine del percorso, e non all’inizio: non prima che il terrorismo sia stato sradicato, non prima che siano state create affidabili istituzioni di governo palestinesi, non prima che i palestinesi abbiano dimostrato reali capacità di gestire ordine e sicurezza.
Con una mossa che non sembra essere stata coordinata con il primo ministro Binyamin Netanyahu, Lieberman ha affossato il quadro diplomatico degli ultimi due anni a favore di quello adottato da Sharon nel 2003. Davvero nulla di realmente sorprendente, se si considera che due dei suoi consiglieri diplomatici sono Danny Ayalon¸ che fu il fidato ambasciatore di Sharon negli Usa, e Dov Weisglass, il consigliere diplomatico più vicino a Sharon.

(Da: Jerusalem Post, 2.04.09)

Nella foto in alto: il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman