Lennesimo errore dei palestinesi

LOlp sta tornando esplicitamente agli slogan degli anni 60 e 70: eliminazione di Israele.

Da un articolo di Barry Rubin

image_405Lo scorso 4 ottobre è passato ingiustamente inosservato un fatto importante: la pubblicazione sul The New York Times di un articolo, firmato dal consulente legale dell’Olp Michael Tarazi, che conteneva un’affermazione politica di primissima importanza. Un articolo che non sarebbe mai potuto comparire senza l’approvazione della dirigenza dell’Olp e un ampio consenso fra i suoi quadri. Il titolo, “Due popoli, uno solo stato”, dice tutto.
La posizione dell’Olp è dunque tornata pubblicamente e ufficialmente quella che era negli anni ’60 e ’70. Il suo obiettivo dichiarato: l’eliminazione di Israele.
Sarebbe un errore minimizzare la novità della cosa dicendo che questo è sempre stato l’intento implicito dell’Olp. Il fatto che adesso l’Olp renda esplicita questa posizione segnala un cambiamento davvero rilevante. Questa scelta costituisce un’ulteriore prova che le possibilità di far avanzare il processo di pace con questi interlocutori sono illusorie. Dichiarazioni, delegazioni, Road Map e quant’altro possono contribuire alla pace nel lungo periodo, ma nel contesto immediato sono vani esercizi di wishful thinking.
La chiave per comprendere la storia del conflitto arabo-israeliano degli ultimi cinquant’anni è che l’Olp non è mai stato un autentico movimento nazionalista. Se lo fosse stato, il problema sarebbe stato risolto già da un pezzo. Per l’Olp, distruggere Israele è più importante che edificare uno stato palestinese indipendente o alleviare le sofferenze del popolo palestinese. Questo è il motivo per cui Yasser Arafat respinse l’offerta israeliana a Camp David e la proposta di Clinton, benché entrambe offrissero la possibilità di fondare uno stato indipendente e vitale con capitale a Gerusalemme. In effetti non è mai stata seriamente considerata l’assoluta irrazionalità di tale comportamento dal punto di vista di un genuino nazionalismo palestinese. Un nazionalista vuole che il suo popolo viva in un paese che sia suo, dove sviluppare la propria identità e il proprio benessere. Pretendere il “diritto al ritorno” dentro Israele fa a pugni con qualunque forma di nazionalismo palestinese. Se l’obiettivo fosse davvero quello di costruire uno stato palestinese forte e stabile, che viva in pace a fianco di Israele, bisognerebbe fare di tutto per dissuadere i profughi dall’andare a stabilirsi in Israele. Perché mai lo stato palestinese dovrebbe regalare a qualcun altro questa gente, con le sue risorse e le sue potenzialità? Ma, sapendo che Israele respingerà un tale “ritorno”, allora ciò che si ottiene pretendendolo è il rinvio della fine dell’occupazione, altra violenza, altre vittime e miliardi di dollari di aiuti. La pretesa del ritorno – i documenti dell’Olp lo affermano esplicitamente – serve a rovesciare Israele dall’interno e porlo sotto un governo palestinese. In questo caso i “ritornati” non sarebbero persi dalla Palestina, ma anzi protagonisti di ben altro ritorno allo stato palestinese, portando tutto Israele con sé.
Ma anche questo sottile piano “in due fasi” è troppo per l’Olp, che dunque è tornata alla richiesta esplicita di un unico stato unitario come inizio del processo anziché come risultato di anni di sovversione. Non occorre un genio per capire le conseguenze di una tale “soluzione”. Battaglia quotidiana per il potere, spargimenti di sangue, guerra civile farebbero sembrare una quisquilia quel che accade oggi.
Per prendere sul serio lo schema che Tarazi propone in tutta serietà bisognerebbe presumere che la dirigenza palestinese diventasse a un tratto così umanitaria, così liberale, così democratica da sacrificare le proprie ambizioni e cambiare totalmente il proprio comportamento tradizionale. L’attiva promozione di terrorismo e odio anti-israeliano in cui è impegnato quel movimento lascia ben poche speranze.
In fondo, e sfortunatamente, questa nuova campagna dimostra che, quando anche Israele si ritirasse dalla striscia di Gaza o accettasse uno stato palestinese in Cisgiordania, avrebbe solo inizio una nuova fase nella quale la dirigenza palestinese pretenderebbe come passo successivo la demolizione di Israele.
Tarazi vuole far credere che questa pretesa palestinese sia qualcosa cui i palestinesi sono stati costretti dalla politica d’Israele. In realtà, è ciò che i leader palestinesi vanno ripetendo da anni in privato, anche nel pieno del processo di pace.
La richiesta esplicita di smantellare Israele anziché cercare di costruire uno stato palestinese al suo fianco scaturisce anche dalla valutazione attuale che fanno i palestinesi. E’ un “diritto al ritorno” agli slogan degli anni ’60 e ’70 che nasce dalla combinazione di intifada perduta, vittoria nell’arena della propaganda internazionale e rifiuto di un reale compromesso di pace.
Ed è anche l’ultimo di una lunga serie di errori da parte dei palestinesi. Per ogni persona in occidente che è disposta ad assecondare i palestinesi nella loro pretesa di distruggere Israele, ve ne sono altre cinque o dieci che sono disposte ad accettare solo la presunta posizione nazionalista palestinese: credono ai palestinesi quando dicono di volere soltanto una patria per se stessi, ma non accetteranno l’idea che quella patria debba comprendere anche Israele. A maggior ragione i governi e i politici occidentali. La nuova linea dell’Olp rischia di tradursi in un disastro sul piano delle pubbliche relazioni, annullando quelli che sembrano essere i grandi successi dei palestinesi nella battaglia per l’opinione pubblica.
Lo stesso Tarazi svela l’ipocrisia di fingere che la nuova posizione politica palestinese sia una sofferta scelta politica ancora in discussione, quando conclude: “La sola questione è quanto tempo ci vorrà, e quanto le due parti dovranno ancora patire” prima che gli ebrei israeliani si rassegnino al risultato finale.
Come sanno bene i veri moderati palestinesi, definire il conflitto in questi termini serve solo a garantire che, indipendentemente da chi guida Israele, la lotta andrà avanti per molto tempo, con molte altre sofferenze, e che i palestinesi non avranno uno stato per molti anni ancora.

(Da: Jerusalem Post, 12.10.04)

Nell’immagine in alto: l’emblema dell’Olp (lo stato palestinese al posto di Israele)

Vedi anche:
“Fine dell’occupazione e fine del conflitto non sono la stessa cosa”
di Shlomo Avineri

http://israele.net/prec_website/analisi/27031avi.html