L’errore di Netanyahu? Essersi fidato di Abu Mazen

Una bozza di documento del 2013 rivela, per l’ennesima volta, sin dove Israele era disposto a spingere le sue concessioni in nome della pace

Hussein Agha e Yitzhak Molcho

Hussein Agha e Yitzhak Molcho

Scrive Nahum Barnea, su YnetNews: «Nell’agosto 2013 venne redatto un documento che riassumeva anni di negoziati segreti tra il rappresentante di fiducia del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e qualcuno che Netanyahu credeva che fosse il rappresentante di fiducia del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Netanyahu aveva inviato il suo principale collaboratore, l’avvocato Yitzhak Molcho, perché incontrasse l’inviato di Abu Mazen, Hussein Agha, un professore di Oxford nato in Libano, entrato da giovane nell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), considerato uno degli uomini più vicini al presidente palestinese. Molcho ha continuato a servire come capo negoziatore israeliano, insieme a Tzipi Livni, anche durante l’ultimo round di colloqui di pace mediati dagli Stati Uniti.

Il documento ora rivelato mostra che Israele aveva offerto alla dirigenza palestinese quelle che appaiono delle amplissime concessioni su una serie di questioni fondamentali, tra cui lo scambio di territori, un potenziale accordo su Gerusalemme e persino un circoscritto “diritto al ritorno” in Israele. Tra le concessioni, anche quella che sembra essere un’apertura di Israele sulla questione delle linee armistiziali pre-’67: un’annosa richiesta palestinese che Netanyahu si è rifiutato a più riprese di accettare come presupposto del negoziato di pace. Nel quadro di uno scambio di territori, il documento delinea la possibilità di sgomberare un gran numero di insediamenti in Cisgiordania lasciandone altri sotto la giurisdizione dell’Autorità Palestinese. Su Gerusalemme il testo del documento è più cauto, ma non privo di peso giacché offre un implicito riconoscimento delle rivendicazioni palestinese su Gerusalemme est (“Qualsiasi soluzione deve tener conto dei legami storici, sociali, culturali e pratici di entrambi i popoli verso la città, e garantire protezione ai luoghi santi”). E mostra la disponibilità israeliana di offrire ai palestinesi un qualche controllo sulla Valle del Giordano, un’area che Israele è sempre stato riluttante a cedere per il suo vitale valore strategico al confine orientale. Di più. Il documento mostra anche sorprendenti margini di manovra per quanto riguarda il tanto dibattuto “diritto al ritorno” dei palestinesi.

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto d’archivio)

Ma quei colloqui – e i documenti che hanno prodotto – sono stati davvero ciò che sembrano? Sotto un certo aspetto, la scelta di utilizzare Molcho e Agha era geniale. Entrambi preparati, di larghe vedute e pragmatici: uomini capaci di arrivare effettivamente a formulare una bozza di accordo. Ma da un altro punto di vista, assai più rilevante, fu una scelta infelicissima. Molcho dice ciò che dice Netanyahu: i due non sono separabili. Tutti gli attori in campo sanno che Netanyahu tiene d’occhio da vicino i suoi collaboratori. Al contrario, Agha rappresenta se stesso. Netanyahu riteneva che Agha fosse “il Molcho di Abu Mazen”. Ma si sbagliava. Quando si è arrivati al dunque, Abu Mazen ha sostenuto di non aver posto mano alle intese raggiunte da Agha, e che non gli era stato riferito nulla, e che nulla aveva avuto il suo timbro d’approvazione. In pratica, Abu Mazen ha utilizzato Agha come esca: ha spinto Netanyahu a fare concessioni senza impegnarsi da parte sua a fare nessuna concessione. Abu Mazen è un maestro, quando si tratta di questo giochino». (Da: YnetNews, 6.3.15)

Un documento interno, redatto da funzionari israeliani nell’agosto 2013 per descrivere in dettaglio un quadro di principi per i negoziati di pace con i palestinesi, è stato pubblicato venerdì scorso dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth. Il documento, intitolato “Bozza di proposta per una Dichiarazione di principi in vista di un accordo definitivo”, sottolinea la disponibilità di Israele a ritirarsi sulle linee pre-‘67 purché con scambi di territori, a riconoscere la legittimità delle aspirazioni palestinesi su Gerusalemme Est e ad accordare loro un controllo sulla Valle del Giordano. Nel documento, Israele mostra anche un’apertura circa la possibilità di un “ritorno” di profughi palestinesi all’interno Israele su base individuale, circa l’evacuazione di coloni ebrei dalla Cisgiordania e circa la possibilità di lasciare alcuni insediamenti israeliani e relativi abitanti sotto governo palestinese.

La pubblicazione del documento ha scatenato una serie di critiche sia da destra che da sinistra contro il primo ministro Benjamin Netanyahu, accusato da una parte di essersi mostrato disponibile verso eccessive concessioni, dall’altra d’aver mostrato un eccessivo divario tra le dichiarazioni pubbliche e i contenuti delle trattative a porte chiuse. Netanyahu ha reagito affermando di non aver mai approvato le concessioni descritte nel documento. “Non ho mai accettato di dividere Gerusalemme, non ho mai accettato di tornare alle linee del ’67, non ho mai accettato di riconoscere il cosiddetto diritto al ritorno, non ho mai accettato di cedere sulla nostra presenza nella Valle del Giordano”, ha ribadito venerdì durante un discorso a Yehud.

Dennis Ross

Dennis Ross

«Vero – commenta Avi Issacharoff su Times of Israel – ma non c’è contraddizione. Come specifica il documento trapelato, Netanyahu ha “solo” convenuto che, in vista di un documento-quadro per i colloqui su un accordo definitivo, “la Palestina sarà uno stato indipendente e sovrano in un’area delle dimensioni di quelle controllate da Egitto e Giordania prima del 4 giugno 1967″. Un quadro non vincolante, va sottolineato, e che tuttavia mostra la disponibilità di Israele a basare i negoziati sulle linee pre-1967 mettendo in chiaro che, in caso di accordo definitivo, vi sarà uno scambio di territori coi palestinesi secondo un rapporto di uno-a-uno: un principio che nessun primo ministro israeliano aveva mai esplicitamente accettato prima, né Ehud Barak a Camp David nel luglio 2000, né Ariel Sharon e nemmeno Ehud Olmert».

Il giornalista Nahum Barnea, che per primo ha rivelato il documento, ha attaccato Netanyahu per non essersi apertamente attribuito la paternità della bozza. “Netanyahu avrebbe potuto dire quello che Ehud Olmert e Ehud Barak avevano detto prima di lui, e cioè: abbiamo fatto ai palestinesi offerte generose, di ampia portata, ma loro non hanno risposto, dimostrando di non essere autentici interlocutori per la pace. Invece ha preferito dire: non sono stato io, io non c’entro niente”.

All’altro lato dello spettro politico israeliano, il quotidiano Israel HaYom sottolinea l’estraneità del primo ministro citando le parole di Dennis Ross, il diplomatico americano che ha mediato i colloqui tra il negoziatore israeliano Isaac Molho e quello palestinese Hussein Agha: “Ho sempre pensato che il modo migliore per negoziare fosse quello di discutere in un clima di brainstorming informale. A tal fine ho lavorato con due amici di lunga data, Isaac Molho e Hussein Agha, con l’obiettivo di arrivare a una bozza di proposta-quadro americana. L’idea era che entrambe le parti accettassero di negoziare usando tale proposta americana, inteso che ogni parte manteneva le proprie riserve su singoli concetti che considerava contrari alle proprie posizioni. Nel corso degli anni siamo arrivati a stendere molte bozze, sia prima che dopo l’agosto 2013, per cui non esiste una sola bozza dell’agosto 2013. Purtroppo, in ogni caso, quel processo non diede risultati”.

(Times of Israel, Israel HaYom, 7-8.3.15)