L’eterno colpevole, ovvero: come manipolare le risoluzioni dell’Onu

Un documento internet molto citato da opinionisti e giornalisti denuncia “73 risoluzioni dell’Onu di condanna a Israele”. Ma è un classico caso di calunnia e disinformazione

M. Paganoni per NES, aprile 2004

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29 novembre 1947, l’Assemblea Generale dell’Onu sancisce il diritto ad esistere dello Stato d’Israele

Si immagini di assistere a una partita a scacchi e di cercare di capire le mosse dei pezzi neri senza poter vedere i pezzi bianchi. O di assistere alla differita di una partita di calcio dalla quale siano stati tagliati i fischi dell’arbitro verso una squadra per dare l’impressione che il gioco dell’altra sia inutilmente aggressivo e scorretto. Questa più o meno è l’operazione che hanno fatto gli autori (anonimi) di un documento che ultimamente circola su internet e viene ripreso da giornalisti e politici . Titolo: “Settantatre risoluzioni dell’Onu di condanna a Israele”. Sottotitolo (insinuante): “Nessun ispettore, nessuna guerra per farle rispettare”. Segue un nudo elenco di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che “esprimono condanna all’operato di Israele”, citate per numero e data e accompagnate da brevi “estratti che ne illustrano il contenuto”. Insomma: un documento che parla da sé, che non ha bisogno di commenti tanto è evidente il torto di Israele.
E invece di commenti ha bisogno eccome.
Innanzitutto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sono tutte uguali. Vi sono quelle approvate sulla base del Capitolo 6 della Carta delle Nazioni Unite (“Composizione pacifica dei conflitti”) e quelle sulla base del Capitolo 7 (“Azioni in caso di minacce alla pace, violazioni della pace e atti di aggressione”). Solo il Capitolo 7 conferisce al Consiglio di Sicurezza la facoltà di ricorrere a varie forme di coercizione, dalle sanzioni fino all’uso della forza militare.
Ora, come ricordava qualche mese fa anche l’Economist, “nessuna delle risoluzioni a proposito del conflitto arabo-israeliano è stata emanata ai sensi del Capitolo 7. Imponendo sanzioni anche militari contro l’Iraq, ma non contro Israele, l’Onu non fa che rispettare le proprie stesse regole interne”. E aggiungeva: “Che le risoluzioni ai sensi del Capitolo 7 siano diverse, e che nessuna di esse sia stata approvata contro Israele, è un fatto riconosciuto dagli stessi diplomatici palestinesi”, che infatti se ne lamentano . Quella velata minaccia contenuta nel titolo del documento (“nessuna guerra per farle rispettare”) può essere stata scritta solo da una persona molto ignorante o in mala fede.
Vale la pena sottolineare che la distinzione fra Capitolo 6 e Capitolo 7 non è puramente formale. Essa riflette due situazioni politiche completamente diverse. In un caso, infatti, il Consiglio di Sicurezza individua nel regime iracheno e nei suoi comportamenti una minaccia alla stabilità e alla pace e pertanto esige da quel regime comportamenti diversi, pena il ricorso alla forza. Nell’altro caso, invece, il Consiglio di Sicurezza deve promuovere la composizione di un conflitto arabo-israeliano che vede coinvolte più parti, ognuna con le proprie responsabilità. Ma gli autori del documento vogliono che le responsabilità siano solo di Israele e dunque riportano, di molte risoluzioni, solo la porzione che si rivolge a Israele, convenientemente scordando l’altra, quella che si rivolge agli arabi. Appunto, come una partita truccata.
Così ad esempio, è vero – come dice il documento – che le risoluzioni 1402 e 1403 (2002) chiedevano “alle truppe israeliane di ritirarsi dalle città palestinesi”. Ma chiedevano anche e contemporaneamente “l’immediata cessazione di tutti gli atti di violenza, compresi tutti gli atti di terrore, provocazione, istigazione”. In sostanza il Consiglio di Sicurezza ribadiva che solo un cessate il fuoco “significativo” (meaningful, nel testo originale), cioè non a parole, unito a un ritiro israeliano dalle ultime posizioni rioccupate, avrebbe permesso la ripresa del negoziato di pace. Tacendo mezza risoluzione, gli autori del documento fanno dire al Consiglio che Israele doveva ritirarsi senza se e senza ma, mentre i palestinesi potevano continuare con spari e attentati. Giudichi il lettore se è la stessa cosa.
Allo stesso modo, è vero – come dice il documento – che la risoluzione 1435 (2002) chiedeva a Israele “la fine immediatamente delle misure adottate a Ramallah e dintorni” e “il rapido ritiro delle forze di occupazione israeliane dalle città palestinesi”. Ma è vero anche che essa ribadiva “la richiesta di una completa cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione, istigazione”, e faceva “appello all’Autorità Palestinese affinché adempia al suo esplicito impegno di garantire che i responsabili di atti terroristici vengano da essa assicurati alla giustizia”. Ma di nuovo, questa parte della risoluzione è scomparsa.
Il più delle volte il Consiglio di Sicurezza, quando chiama in causa Israele, formula anche contemporaneamente precise richieste alle controparti arabe, e ciò per la ovvia considerazione che la pace in Medio Oriente non può essere fatta da una parte soltanto. Ma questo è appunto ciò che gli autori del documento non vogliono capire (o farci capire).
Non basta. Gli autori non omettono solo pezzi di risoluzione. Omettono anche intere risoluzioni. Ad esempio, per restare nel 2002, non viene citata la 1397. Come mai? Forse perché esprimeva “grave preoccupazione […] per i recenti attentati”, chiedeva “l’immediata cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione, istigazione” ed esortava “le parti israeliana e palestinese e i loro dirigenti a cooperare nella realizzazione del piano Tenet e del Rapporto Mitchell, allo scopo di riavviare negoziati per una composizione politica”: tutte cose che la parte palestinese, non quella israeliana, si è rifiutata di fare.
Vistosa, poi, l’assenza di una delle più importanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di tutta la storia del conflitto: la 242 del 1967. Di nuovo, come mai? Forse perché chiedeva (agli arabi, ovviamente) la “fine di ogni stato di belligeranza” e il “riconoscimento del diritto [di Israele] di vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, libero da minacce o atti di forza”?
Della 425 (1978) si dice che “ingiungeva a Israele di ritirare le sue forze dal Libano”. Ma non si ricorda che chiedeva anche il ripristino della pace al confine israelo-libanese e un “rigoroso rispetto della integrità territoriale, sovranità e indipendenza politica del Libano”, tutte cose che truppe siriane, milizie palestinesi, agenti iraniani e terroristi Hezbollah non si sognano minimamente di fare. Né viene riportata la Dichiarazione del 18 giugno 2001 con cui il Consiglio di Sicurezza certificava che “Israele ha ritirato le sue forze dal Libano in conformità con la risoluzione 425”.
Ancora più curioso il fatto che l’elenco delle risoluzioni viene fatto iniziare con la n. 93 del 18 maggio 1951. Eppure il conflitto arabo-israeliano scoppia almeno tre anni e mezzo prima, con il rifiuto arabo della risoluzione di spartizione 181 dell’Assemblea Generale dell’Onu (29.11.47) e l’attacco degli eserciti arabi a Israele. Prima della 93 (1951) a noi risultano non meno di 21 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, tra cui quelle – ufficialmente respinte dai governi arabi – che chiedevano il cessate il fuoco e il rispetto della 181. In pratica, il rispetto della nascita di Israele.
Non manca, invece, la risoluzione 487 del 19 giugno 1981: quella che condannava “con forza” la distruzione del reattore nucleare iracheno di Osirak da parte dell’aviazione israeliana, oggi da tutti lodata . Una condanna che, riletta oggi, basta da sola a screditare l’Onu agli occhi degli israeliani e di chiunque abbia a cuore la pace e la stabilità internazionali.
Resta da fare un’ultima considerazione, di carattere storico-politico. Tutti sanno che i paesi arabi, ripetutamente sconfitti in campo aperto, hanno fatto costantemente ricorso al terrorismo (dai feddayin degli anni ‘50 fino agli Hezbollah degli anni ‘80 e ‘90) per esercitare una continua pressione militare ai confini e all’interno dello Stato di Israele. L’hanno fatto organizzando, finanziando, addestrando, capeggiando varie formazioni “guerrigliere” palestinesi, nella consapevolezza che l’Onu avrebbe dovuto per forza condannare le “violazioni” delle linee d’armistizio fatte da uno stato (Israele), ma non avrebbe mai potuto condannare allo stesso modo le “violazioni” (infiltrazioni, attentati, stragi di civili) fatte da formazioni irregolari (i terroristi) che provocavano la reazione d’Israele. Un trucco palese, persino dichiarato, che non inganna più nessuno. Salvo i “volonterosi” autori del “documento” in questione, e i loro sfortunati lettori.