L’illusione della deterrenza che funziona sempre

Provate a dissuadere millenaristi fondamentalisti, votati alla guerra santa e al suicidio.

Di Charles Krauthammer

image_3533Ci sono poche posizioni politiche più sciocche di quelle che si basano sul postulato, fuori contesto, che “la deterrenza funziona sempre”. È come dire che l’intervento dell’aviazione funziona sempre: ebbene, in Kossovo ha funzionato, in Nord Vietnam non ha funzionato. O come dire che il bombardamento sulle città funziona sempre. Funzionò con il Giappone (da Tokyo fino a Nagasaki), non funzionò a Londra nella “battaglia d’Inghilterra”. L’idea che una certa tattica militare “funzioni di per sé” è priva di significato. È chiaro che dipende dall’epoca, dalle circostanze, dalla natura del nemico. L’arco lungo ha funzionato benissimo con Enrico V, ma saggiamente Montgomery a El Alamein preferì usare i carri armati.
Eppure esiste una importante scuola di “realisti” americani e occidentali che rimane tenacemente “dogmatica” riguardo alla deterrenza, e che si mostra sempre più irritata da questi scocciatori di israeliani che seminano paure, agitano i mercati mondiali e rischiano una guerra regionale con la minaccia di un raid preventivo per impedire all’Iran di dotarsi di armamenti nucleari. Non capiscono che i loro timori sono grossolanamente esagerati? Dopo tutto non è forse vero che la deterrenza ha funzionato per quarant’anni di guerra fredda? E infatti, qualche tempo fa l’editorialista Fareed Zakaria ha sostenuto esattamente questa tesi, citando un mio scritto dei primi anni ’80 in cui difendevo la deterrenza in polemica con la campagna per il congelamento e il disarmo nucleare unilaterale. Adesso, scrive Zakaria, Krauthammer e altri come lui “hanno deciso che la deterrenza è una panzana”.
Sciocchezze. Quello che ho “deciso” è che usare la deterrenza con l’Iran è cosa fondamentalmente diversa dall’usarla con l’Unione Sovietica. Se su quella si poteva fare un certo affidamento, su questo no. Le ragioni sono ovvie e sono almeno di tre ordini.
1. La natura del regime. Ha mai impiegato l’Unione Sovietica un attentatore suicida nei suoi settant’anni di esistenza? Per l’Iran, come per gli altri jihadisti, gli attentati suicidi sono pura routine: di qui la lunga catena di auto-immolazioni, dall’attentato contro la base dei marines a Beirut del 1983 fino all’attentato anti-israeliano in Bulgaria del luglio 2012. Il regime clericale iraniano governa in nome di una religione fondamentalista secondo la quale è nell’aldilà che si ottiene la ricompensa finale. Per i comunisti sovietici – totalmente atei – una tale dottrina equivaleva a una favola all’oppio per imbonire le masse. Con tutte le sue ambizioni globali, l’Unione Sovietica era profondamente nazionalista. La Repubblica Islamica iraniana, per contro, considera se stessa come uno strumento della sua varietà di millenarismo sciita, il messianico ritorno dell’“imam nascosto”. Un conto è vivere in una condizione di “distruzione reciproca garantita” con Stalin o Breznev, capi di un regime filosoficamente materialista, fondato nella storia, profondamente legato all’immanente. Tutt’altro trovarsi in una condizione di “reciproca distruzione garantita” con dei chierici apocalittici che credono nell’imminente avvento del Mahdi, nella supremazia dell’aldilà e nella guerra santa come via suprema per realizzarlo. La classica formulazione di tutto questo ci arriva dai colleghi (e rivali) di Tehran, i jihadisti di al-Qaeda, che proclamano: “Voi amate la vita, noi amiamo la morte”. Provate a dissuaderli con la deterrenza.
2. La natura delle rivendicazioni. Il contenzioso dell’Unione Sovietica con l’America era ideologico. Il contenzioso dell’Iran con Israele è esistenziale. I sovietici non hanno mai proclamato il desiderio di annientare il popolo americano. Per l’Iran, l’esistenza stessa di uno stato ebraico su terra “islamica” è un crimine, un abominio, un cancro con il quale nessun negoziato, nessuna coesistenza, nessun compromesso è possibile.
3. La natura dell’obiettivo. L’America è una nazione di 300 milioni di abitanti, Israele di otto milioni. L’America è una nazione-continente, Israele un puntino sulla carta geografica, in un certo tratto non più largo di una dozzina di chilometri. Israele è un paese “da una sola Bomba”: il suo territorio è così ristretto, la sua popolazione così concentrata che – per dirla con le celebri parole dell’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani – “con una sola bomba atomica non rimarrebbe nulla d’Israele, mentre la stessa cosa procurerebbe solo qualche danno al mondo islamico”. Un piccolo arsenale nucleare basterebbe alla bisogna.
Nel caso dell’equilibrio della deterrenza fra Usa e Urss, entrambe le parti sapevano che una guerra nucleare avrebbe comportato la loro reciproca distruzione. I mullah hanno “concepito l’impensabile”, ma con una conclusione diversa. Sanno dell’arsenale israeliano. Sanno anche, come ha detto Rafsanjani, che in uno scambio di colpi Israele uscirebbe distrutto all’istante e per sempre, mentre la Ummah – il mondo islamico di un miliardo e 800 milioni di persone la cui redenzione è lo scopo ultimo della rivoluzione iraniana – sopravvivrebbe danneggiata, ma quasi tutta intera.
Questo non significa che i mullah rischieranno necessariamente una terribile carneficina nel loro paese allo scopo di distruggere irrevocabilmente Israele. Significa, però, che la spensierata garanzia che non lo facciano solo perché i sovietici non hanno mai sparato il primo colpo è una stupidaggine. I mullah hanno una visione del mondo totalmente diversa, rivendicazioni totalmente diverse e un calcolo totalmente diverso delle conseguenze di una guerra nucleare. La fiduciosa convinzione che siano uguali ai sovietici è pura fantasia.
Ecco perché Israele prende in considerazione un attacco preventivo. Israele si rifiuta di affidare la propria stessa esistenza alle comode teorie di analisti che vivono confortevolmente a diecimila chilometri dal suo Ground Zero.

(Da: Jerusalem Post, 3.9.12)

Nella foto in alto: Charles Krauthammer, autore di questo articolo

Si veda anche:

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