L’illusorio riconoscimento che allontana l’accordo di pace

Incoraggiandoli ad evitare il negoziato con Israele, gli europei rafforzano nei palestinesi l’illusione di poter ottenere uno stato senza accettare compromessi né concessioni

Hillevi Larsson, una delle parlamentari svedesi che hanno promosso il riconoscimento dello “stato palestinese”. Fra le sue mani, la mappa dello “stato di Palestina” da cui risulta che Israele è cancellato dalla carta geografica (clicca per ingrandire)

Il riconoscimento, recentemente in voga in Europa, di uno “stato palestinese” prima che i palestinesi accettino di negoziare seriamente un accordo di pace con Israele è controproducente, illusorio e un po’ arrogante. E’ controproducente perché premia l’estremismo e l’intransigenza della parte palestinese mentre alimenta il senso di isolamento e dunque la rigidità da parte israeliana. Ma è anche illusorio: gli europei, che sono terrorizzati da ISIS e affini, che non sanno che pesci pigliare in Siria e Libia e che non hanno il fegato di fronteggiare l’Iran, sperano come sempre di comprarsi l’immunità dando un contentino agli arabi (simbolico, per carità) e calci negli stinchi agli israeliani (simbolici, naturalmente): dove oltretutto la continua sottolineatura del carattere “puramente simbolico” di tali riconoscimenti suona come un trucco opportunistico un po’ vile: lo faccio e non lo faccio, qui lo dico e qui lo nego. Come al solito, non funzionerà. Infine, l’arroganza: come saranno visti dagli israeliani questi europei sempre col ditino alzato, pronti ad ammaestrarli su cosa devono o non devono fare per la pace (eventualmente affiancati dalla consueta compagnia di giro di pacifisti israeliani che per qualche oscuro motivo non vengono ascoltati in patria)? E da che pulpito, poi? Quello della brillante gestione delle crisi in Iugoslavia, in Libia, in Ucraina? Questa curiosa diplomazia della ricompensa anticipata ricorda un po’ il premio Nobel per la pace assegnato a Barack Obama quando era alla Casa Bianca da pochi mesi: in una parola, una stupidaggine. (m.p.)

Scrive Lawrence Grossman, su Times of Israel: «Gli architetti degli accordi di Oslo del 1993, su cui saggiamente si basano i negoziati di pace in Medio Oriente, avevano vietato qualunque iniziativa diplomatica unilaterale sia da parte israeliana che palestinese, insistendo sul fatto che l’accordo definitivo (dopo quelli provvisori che hanno dato vita all’Autorità Palestinese) venisse raggiunto attraverso il negoziato diretto fra le parti. Avevano la piena consapevolezza che solo un’intesa reciproca tra le parti può portare a una pace duratura. Eppure oggi gran parte dell’Europa si è innamorata dell’idea di riconoscere uno stato di “Palestina” in mancanza di negoziati, lasciando fuori dalla discussione Israele che in realtà amministra gran parte del territorio cui tale “stato” aspira. Questo tentativo di imporre a Israele una soluzione senza interpellarlo alimenta in misura irrealistica le aspettative palestinesi e dunque costituisce una vera e propria ricetta per il fallimento. Incoraggiando la strategia sbagliata del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di schivare il tavolo dei negoziati con Israele alla ricerca di una statualità puramente teorica, gli europei rafforzano l’illusione palestinese di poter ottenere in qualche modo il loro stato senza dover scendere a compromessi né fare concessioni.

Lawrence Grossman

Lawrence Grossman

Anzi, senza dover nemmeno riconoscere il diritto d’Israele ad esistere come stato nazionale del popolo ebraico accanto allo stato nazionale del popolo arabo-palestinese. Nel frattempo gli israeliani, esclusi dalla decisione, si sentono abbandonati dai paesi europei, profondamente amareggiati per questo trattamento e certamente meno propensi che mai a fare concessioni sul terreno. Da tempo Israele ha accettato la necessità di uno stato palestinese e nel corso degli anni si è impegnato in colloqui di pace con i rappresentati palestinesi, da ultimo sotto il patrocinio del segretario di stato americano John Kerry, per arrivare a una soluzione a due stati. Israele ha fatto ed è pronto a fare ulteriori compromessi territoriali, ma siede al tavolo dei negoziati con una serie di proprie richieste che invece il prematuro riconoscimento europeo di uno “stato palestinese” trascura totalmente come se non avessero nessuna importanza. Israele insiste sulle garanzie della propria sicurezza: garanzie che devono tenere in considerazione non solo gli orrendi massacri che regimi spietati e jihadisti islamisti stanno infliggendo da anni nelle altre parti del Medio Oriente, ma anche la recente recrudescenza del terrorismo contro gli israeliani. Inoltre, qualunque accordo di pace deve tener conto della forza di Hamas, che continua a controllare la striscia di Gaza e a rifiutarsi di riconoscere Israele: dopo un accordo con Israele l’Autorità Palestinese non avrà più controllo di quanto ne abbia oggi su Hamas, caso mai di meno. Con tutti i rischi che ciò comporta in Cisgiordania. Israele ha poi sicuramente il diritto di opporsi al cosiddetto “ritorno” di centinaia di migliaia, se non milioni, di discendenti dei palestinesi sfollati nel 1948 e tenuti nei campi-profughi dai regimi arabi e dalle agenzie internazionali senza potersi costruire una nuova vita nei paesi di residenza. L’insistenza palestinese sul cosiddetto “diritto al ritorno” ha lo scopo esplicito di porre fine al carattere ebraico dello stato d’Israele. È per questo che i palestinesi sono così contrari a riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico, una caratteristica che rimane valida nella realtà indipendentemente dal fatto che Israele approvi o meno una legge in questo senso. Una Palestina indipendente potrà nascere e svilupparsi solo se le legittime esigenze di Israele troveranno adeguata risposta attraverso il processo negoziale. Come ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel, “il riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese non ci fa progredire sulla via di una soluzione a due stati”». (Da: Times of Israel, 7.12.14)

Noah Klieger

Noah Klieger

Scrive Noah Klieger, su YnetNews: «Con tutta la mia buona volontà di capire questi riconoscimenti, che sono comunque privi di significato, non riesco proprio a comprendere cosa spinga i paesi europei a fare una mossa che non ha alcuna logica, né comporta alcun beneficio per l’inesistente stato di Palestina. Ma i governi di questi paesi non hanno veramente nessun altro problema più concreto e urgente di cui occuparsi? La Francia, per esempio: il fatto che oltre il 10% dei cittadini francesi siano musulmani non ha proprio nulla a che vedere con questa decisione? Strana anche la decisione del governo spagnolo, che combatte una battaglia senza quartiere contro le aspirazioni indipendentiste dei catalani. Una Catalogna indipendente? Non sia mai, e poco importa se la maggior parte dei residenti di quella regione sono a favore della separazione da Madrid. Molto più facile riconoscere la Palestina, una mossa che alla maggior parte degli spagnoli non potrebbe interessare di meno, che prendersi cura dei veri problemi nazionali interni. A Londra sanno bene che la vittoria sulle ambizioni di indipendenza del popolo scozzese è solo temporanea. Ma insieme allo sforzo di contrastare le aspirazioni del popolo scozzese, il parlamento inglese non ha dimenticato la Palestina. Indipendenza per gli scozzesi? Non sia mai. Ma per la Palestina non c’è problema. Forse perché la Gran Bretagna ha una percentuale assai elevata di residenti musulmani? Questi atti di riconoscimento sono inutili. Significano che c’è realmente uno stato palestinese? Nient’affatto. Sono un trucco di public relation, privo di sostanza. Persino Abu Mazen e la sua gente sanno bene che tutte queste votazioni e dichiarazioni non faranno avanzare le loro aspirazioni. Senza il consenso di Israele non ci sarà mai uno stato palestinese. Lo potranno ottenere solo attraverso un accordo con Israele. Perché quando si tratta di questo problema, il piccolo Israele vale quanto l’enorme blocco di decine di paesi arabi e musulmani e dei loro sostenitori ovunque si trovino. Se vogliono appagare le proprie aspirazioni, i palestinesi farebbero meglio a rendersene conto il più presto possibile». (Da: YnetNews, 7.12.14)

Olivia Flasch

Olivia Flasch

Scrive Olivia Flasch, su Times of Israel: «Il riconoscimento di per sé non crea statualità, così come chiamare orso un’anatra non ne fa davvero un orso. Detto questo, vale la pena ricordare che diventare uno stato significa anche essere trattati come tale. Uno dei principali problemi che Israele ha dovuto affrontare nel corso degli ultimi decenni è il fatto che i terroristi palestinesi sono soggetti non statuali, e poco importa se Hamas è stata votata a maggioranza dal popolo di Gaza. In base al diritto internazionale dal momento che la Palestina non è uno stato, azioni e comportamenti dei suoi “esponenti” e “rappresentanti” sono commessi da attori non statuali. Mentre gli stati sono vincolati dalle leggi internazionali sull’uso della forza, gli attori non statuali non lo sono. Ciò significa che se normalmente uno stato attaccato da un altro stato ha il diritto di reagire per legittima difesa contro lo stato aggressore, questa possibilità scompare quando l’aggressione è commessa da un soggetto non statuale. A mio parere, uno stato palestinese con un governo unitario Hamas-Olp-Fatah significherebbe che le risposte di Israele ai razzi lanciati da Hamas non potrebbero più essere messe in discussione sul piano del diritto e della credibilità internazionale. Per cui, certo, i riconoscimenti prematuri  sono dettati da opportunismo interno e poi, sì, illudono i palestinesi di poter ottenere il loro obiettivo senza fare alcuna concessione né riconoscere lo stato di Israele. Ma d’altra parte questi riconoscimenti cambiano ben poco le cose sul terreno, e sul piano teorico potrebbero persino comportare dei vantaggi». (Da: Times of Israel, 30.11.14)